Vita Chiesa

Cei, Bagnasco: C’è bisogno di un di più di Europa

«La forza dello spirito, che la fede alimenta, è più forte del terremoto». Ne è convinto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, che ha aperto il Consiglio permanente dei vescovi italiani con un pensiero al recente terremoto del Centro Italia, che «come un’ombra maligna ha falciato centinaia di vite, ha distrutto abitati, ha creato un popolo senza casa, ma non ha piegato la voglia e il coraggio di ricominciare». «Più forti persino delle immagini dello scempio impietoso», ha detto il cardinale, «abbiamo davanti agli occhi i volti di tanti – operatori della Protezione Civile, volontari, membri di associazioni – che, con semplicità, danno al Paese una testimonianza, vorremmo dire una lezione, d’incomparabile valore. È l’esempio innanzitutto della fierezza di appartenere ad una terra, ad un popolo, ad una storia. Ci danno l’esempio di un modo di vivere alternativo alla cultura diffusa, che tende a svalutare le appartenenze come se fossero sinonimo di chiusura, di condizionamento, di ripiegamento sul passato». «Sui volti delle popolazioni colpite brilla anche la fierezza umile e discreta della fede», ha proseguito Bagnasco, ricordando che «la fede cristiana ispira il modo di vedere noi stessi e gli altri, la felicità e il dolore, la vita e la morte».

L’importanza dei piccoli centri. Dalla tragedia del terremoto, ha osservato Bagnasco, «siamo richiamati all’importanza dei piccoli centri, dove la cultura dei legami, i mestieri antichi e nuovi, le tradizioni umane e religiose costruiscono un tessuto solido e dinamico, come un grembo che genera, sostiene e offre una visione alta della vita. Meritano anche per questo ogni attenzione e cura, perché non si sfaldino nella malinconia del tramonto che una certa visione socio-economica ritiene non solo inevitabile, ma persino auspicabile», ha proseguito, definendo i piccoli centri «una realtà preziosa, luoghi di fede e di umanità: anche chi ha fatto altre scelte rispetto alla fede cristiana, ne resta beneficamente toccato». La globalizzazione, la tesi del presidente della Cei, «richiede un affronto non fatalista, ma sereno e critico, affinché la persona non venga spersonalizzata in nome di alcun interesse, né particolare né generale. Non è il ‘girare’ il mondo che allarga lo spirito: si può cambiare posto ogni giorno, conoscere ambienti, ma rimanere inconsistenti e meschini; mentre si può vivere tutta la vita in un punto e maturare una profondità interiore che dà visione e pace». A fare la differenza, invece, «è il ‘come’ si vive ogni momento, con quale intensità, con quali valori e prospettive; un ‘come’ che si riflette nelle nostre tradizioni, nei riti, nei luoghi, nelle immagini sacre, nelle benedizioni su persone e cose. Tutto quanto, infatti, viene a contatto con noi, si impregna della nostra umanità che vive, spera, lavora».

«Oggi c’è bisogno di un di più di Europa», questo il grido d’allarme del presidente dei vescovi italiani.  «È possibile pensare che nel vortice del mondo globalizzato, dove sono saltati molti schemi e parametri, sia possibile vivere allontanandosi gli uni dagli altri?», si è chiesto, precisando che «ciò non ha nulla da vedere con qualche forma di internazionalismo che crea confusione di popoli: essere popolo, infatti, significa avere una propria missione presso la comunità più alta, in quanto si ha un patrimonio di storia e di cultura da offrire. Solo così l’Europa sarà il luogo del superamento di ogni forma di sciovinismo, che mira a primeggiare e a imporsi ai singoli membri». «I nazionalismi – ha spiegato il cardinale – non si vincono né con l’omologazione forzosa, che è una sottile espressione di violenza, né con l’irenismo miope che è una forma sofisticata di deriva etica e di annullamento identitario. Nessuno pensi che si voglia riproporre una visione eurocentrica del mondo; se guardiamo la geografia del pianeta, ogni continente ha qualcosa da portare a tutti, qualcosa di peculiare, che oggi sta emergendo in modo più chiaro e progressivo». Un esempio, «l’esodo di tanti disperati che bussano alle porte del continente», nei confronti dei quali bisogna adottare «lo stile dell’accoglienza e dell’integrazione, che richiede generosità e intelligenza politica e sociale; è uno stile che coinvolge tutti, chi accoglie e chi è accolto. L’Italia è in prima linea e, nonostante difficoltà oggettive, continua a fare tutto il possibile su questo fronte che la vede ancora troppo sola. Le comunità cristiane cercano di allargare gli spazi dell’accoglienza e soprattutto del cuore, affinché si vada oltre l’emergenza verso percorsi di integrazione per quanti – mostrando consapevolezza e impegno – desiderano rimanere».

La colonizzazione del pensiero unico. «L’isolamento delle persone, la paura degli altri, il conflitto tra Stati, la destabilizzazione della famiglia, di gruppi e nazioni, favoriscono approfittatori cinici, e spesso oscuri, attenti a lucrare denaro e potere». È questo «modo di pensare», secondo il cardinale Angelo Bagnasco, «che il vecchio mondo dovrebbe temere, anziché corteggiarlo e inseguirlo compiaciuto». Nella prolusione, il presidente della Cei ha pronunciato un forte e deciso «no» alle «colonizzazioni» del «pensiero unico» – a più riprese stigmatizzato dal Papa – che consiste nel «propagandare in modo ossessivo certi stili di vita, inculcare il principio del piacere a qualunque costo, esaltare la dea fortuna e il gioco anziché il gusto del dovere, del lavoro, dell’onestà; insinuare il fastidio dei legami, se questi non appagano sempre e comunque, far sognare una perenne giovinezza, spingere alla ricerca di evasioni continue dalla vita reale, non sostenere la fedeltà agli impegni di coppia, di famiglia, di lavoro». In una parola, all’«individualismo esasperato, propagato come libertà», in cui «l’io resta separato, privo di contatti, solo con se stesso» e «nelle relazioni interpersonali scompare il prossimo, resta l’altro, l’estraneo, o addirittura il nemico». Di qui la necessità di superare il «laicismo, che è la deformazione miope dell’autentica laicità», e di riconoscere «le identità religiose con i loro riti e costumi». «Anche il nostro popolo, al di là di sondaggi e previsioni, riconosce, pur in mezzo a credi diversi, quali sono i tratturi veraci del Paese», l’analisi del cardinale: «E non gradisce – in nome di una laicità malintesa e succube al giudizio di qualcuno – che si oscurino gesti e segni, tradizioni e luoghi».

«Emarginare dalla sfera pubblica il cristianesimo non è intelligente

No alla trappola della guerra di religione. Gli «abomini» del terrorismo «si mascherano di un manto religioso per accreditare una ‘guerra di religione’, ma – come ci ricorda il Santo Padre – non bisogna cadere in questa trappola che mira a scatenare un conflitto globale». Nella parte della prolusione al Consiglio permanente della Cei dedicata agli scenari internazionali, il cardinale Angelo Bagnasco ha fatto notare che «il terrorismo si serve non solo del fanatismo di gruppi, ma anche del disagio sociale, e soprattutto del vuoto spirituale e culturale di non pochi giovani occidentali che – paradossalmente – spesso cercano un motivo per vivere in una perversa ragione per morire. Come sempre, i mercanti di armi, di petrolio o di potere, speculano nell’oscurità di affari e posizioni d’oro». Il caso del «burkini», ad esempio, «ha suscitato polemiche ma anche riflessioni: in linea con un criterio che già il Concilio Vaticano II aveva chiarito in termini di principio, sia il Consiglio di Stato francese che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani hanno sottolineato che le limitazioni della manifestazione del credo religioso, inclusa la scelta dei vestiti, sono permesse solo in circostanze molto limitate, come la sicurezza, l’ordine e la salute pubblica o la morale». «Come non ribellarsi davanti alla mancanza di sensibilità e di rispetto espressa dalle vignette di Charlie Hebdo sulle vittime del terremoto?», ha poi tuonato il presidente della Cei: «Noi – anche a nome del nostro popolo – chiediamo: è questa la società che vogliamo, dove pensiamo di sentirci bene, insieme, solidali, a casa? È questo che intendiamo per libertà? Non esiste dunque nulla di talmente profondo e sacro – anche umanamente – che non debba essere sbeffeggiato da alcuni ‘illuminati’? La coscienza collettiva è chiamata a reagire in maniera chiara, alta e indignata».

Manca il lavoro: Iìil nostro popolo costretto ad emigrare. «Siamo fortemente preoccupati che il patrimonio di capacità e di ingegno del nostro popolo sia costretto a emigrare, impoverendo così il Paese. La globalizzazione deve essere un’opportunità per tutti, non solo per pochi». È la parte della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco dedicata all’analisi della situazione italiana a partire dai dati Istat sulla disoccupazione. «Le nostre parrocchie sono testimoni di come la povera gente continui a tribolare per mantenere sé e la propria famiglia», ha esordito il presidente della Cei: «Seguiamo con viva partecipazione i tentativi di varie categorie di lavoratori del mondo dell’industria, della ricerca, delle aree portuali, e altro», le parole del cardinale: «La Chiesa è vicina ai lavoratori e alle loro famiglie, e lo sarà sempre in nome della dignità di ogni persona, consapevole che lavoro e famiglia sono legati e costituiscono il tessuto connettivo della società e dello Stato». «Anche in queste situazioni, come pure in quella dei migranti, la Chiesa non si limita a dar voce alla gente più esposta, a richiamare l’attenzione collettiva, a incoraggiare perché non vinca la sfiducia», ha rivendicato Bagnasco: «La Chiesa opera. I nostri sacerdoti sono in prima linea, a totale disposizione del popolo», grazie anche «alla generosità consapevole della gente, di cui l’otto per mille è una forma provvidenziale». Poi l’appello alla politica, per «creare e incentivare lavoro e occupazione», e l’affondo alla «teoria della flessibilità», che «può avere le sue ragioni» ma «getta la persona in un clima fluido e inaffidabile»: «Coloro che teorizzano non sono forse i primi a essere ben sicuri sul piano del proprio lavoro e, forse, del proprio patrimonio?».

No a mettere sullo stesso piano famiglia e altre forme di unione. «La famiglia è la prima forma di società: non può essere paragonata ad alcuna altra forma di unione. Presentare tutto sullo stesso piano – come qualcuno intende – è un errore educativo grave». Parole chiare e inequivocabili, quelle dedicate dal cardinale Angelo Bagnasco alla famiglia, nella parte finale della prolusione di apertura del Consiglio permanente della Cei, in cui ha anche rivolto «una parola di incoraggiamento alle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana, ancora numerose e ben radicate nel territorio». «In questo lungo momento di crisi, nonostante difficoltà e problemi, esse partecipano a promuovere l’accoglienza e la cura totale delle persone», ha ricordato il presidente della Cei, auspicando che «la loro sussidiarietà sia riconosciuta nei piani sanitari regionali, perché la disparità di trattamento non veda penalizzate realtà essenziali al servizio di tutti i cittadini». A proposito della recente morte di un bambino, avvenuta in Belgio per eutanasia, Bagnasco si è chiesto: «Dove stiamo andando?». E ha commentato: «Ogni volta che si ipotizzano leggi su questi temi decisivi, subito si cerca di pilotare la sensibilità e l’opinione pubblica appellandosi a casi eccezionali di grande impatto emotivo; e si invoca la necessità di ordinare le cose, di normare le procedure. Ma tutto questo accade senza partire dal principio di base, l’inviolabilità della vita umana sempre e comunque: se cade questo principio l’individuo passerà da soggetto da rispettare a oggetto di cui disporre». «Il compito vero dello Stato di diritto – ha spiegato il cardinale – non è quello di stabilire la vita e la morte, ma – molto più responsabilmente e con impegno concreto – di farsi carico delle situazioni, di non lasciar soli i cittadini specialmente nelle circostanze più drammatiche, come quelle di genitori con figli malati, per accompagnarli e sostenerli in ogni modo».

«Informarsi personalmente». È l’indicazione della Chiesa italiana sull’«importante appuntamento» che attende il Paese, il Referendum sulla Costituzione. Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, gli ha dedicato alcune righe al termine della prolusione di apertura del Consiglio permanete dei vescovi italiani. «Come sempre, quando i cittadini sono chiamati ad esprimersi esercitando la propria sovranità – le sue parole a nome della Chiesa italiana – il nostro invito è di informarsi personalmente, al fine di avere chiari tutti gli elementi di giudizio circa la posta in gioco e le sue durature conseguenze».

(testo integrale prolusione)