L’insegnamento della religione è importante per la crescita complessiva delle persone e rappresenta un valido contributo alla costruzione di una nuova cittadinanza. Su questo filo conduttore, verrà presentata questo pomeriggio a Strasburgo presso il Consiglio d’Europa, una ricerca sull’insegnamento della religione nelle scuole in Europa, realizzata dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) con il sostegno della Conferenza episcopale italiana. Alla ricerca, che si è svolta tra il gennaio 2005 e il novembre 2007 hanno partecipato i delegati di 33 Conferenze episcopali europee e ha permesso di raccogliere complessivamente 33 report (29 rapporti più 4 schede) sulla situazione in altrettanti Stati nazionali. Dalla ricerca emerge che in quasi tutti i Paesi d’Europa viene garantita una qualche forma di insegnamento della religione. Fanno eccezione la Bulgaria, la Bielorussia e gran parte della Francia (salvo le regioni dell’Alsazia e della Mosella). In Bulgaria, si legge nel rapporto, i cattolici sono molto pochi ed è dunque molto difficile organizzare per loro un corso di Ir, mentre in Bielorussia, la Chiesa ortodossa sta studiando con il Ministero dell’educazione la possibilità di introdurre un corso di educazione ortodossa nelle scuole e la chiesa cattolica ha presentato un programma per corsi facoltativi di religione. Nel caso della Francia, invece, il rapporto riferisce solo dell’Alsazia e della Mosella, le uniche regioni del Paese dove è presente un Ir. Dalla ricerca risulta che nel resto dei paesi di Europa, l’insegnamento della religione segue dure principali formule: quella di un’istruzione religiosa basata sul modello delle scienze delle religioni gestito direttamente dallo Stato e quella di un insegnamento della religione a contenuto confessionale in cui le Chiese (e, dove presenti, altre denominazioni religiose) giocano un ruolo attivo. Il modello ispirato alle scienze delle religioni è caratteristico dei Paesi scandinavi (Norvegia, Svezia e Danimarca), in cui la presenza di una religione di Stato (quella luterana), porta probabilmente ad integrare anche i contenuti culturali di tipo biblico-teologico in un impianto curricolare profondamente segnato dalla secolarizzazione che caratterizza la cultura di quelle terre. L’insegnamento della religione a contenuto confessionale rappresenta il modello largamente prevalente a livello europeo. In Polonia, l’insegnamento della religione è facoltativo e confessionale e viene frequentato dal 95,1% degli studenti. In Belgio, ogni alunno di età compresa tra i 6 e i 18 anni ha diritto ad un corso filosofico, il cui insegnamento è di competenza dei culti riconosciuti o delle associazioni riconosciute.Si avvalgono dell’Ir cattolico il 64% degli studenti nelle primarie e il 32% nella secondaria. In Italia, si avvalgono dell’Ir il 91,6% degli studenti (percentuale che scende all’85% nella secondaria di II grado). Nel rapporto, alla voce Italia, si parla degli attacchi all’Ir provenienti da aree radicali e laiciste volti alla sua soppressione. Interessante il caso Germania dove la ricerca registra una cooperazione ecumenica tra Chiesa cattolica e Chiesa evangelica, sancita da un accordo del 1998. L’accordo consiglia la collaborazione tra i docenti, un certo numero di ore di lezioni in comune, lo svolgimento di servizi liturgici scolastici comuni. In Romania, l’insegnamento della religione è stato reintrodotto nel 1990 ed è garantito a tutti i livelli, a partire da classi di minimo 10 allievi. Essendo però gli studenti cattolici minoritari in molte scuole statali, spesso si trovano nella condizione di non raggiungere il minimo degli allievi ed optare per l’insegnamento ortodosso, insegnamento alternativo oppure nessun insegnamento. Alla voce Inghilterra e Galles, il rapporto afferma che a livello di opinione pubblica, soprattutto dopo gli attentati del 2005, si è ulteriormente consolidata l’opinione circa l’importanza dell’Ir come fattore sociale e reciproca comprensione.Sir