Opinioni & Commenti

Cattolici e politica: più che ricompattare bisogna dialogare

di Piero TaniDopo Verona, è opportuno continuare la riflessione aperta su ToscanaOggi dall’articolo di Franco Vaccari e ripresa da Andrea Tomasi e da Giorgio Campanini, ma sviluppata anche nei commenti di Andrea Fagioli sul Convegno e dall’articolo di Alessandro Martini. Il tema è quello dell’impegno dei cattolici nella politica, in Italia, un tema la cui importanza e urgenza è stata ampiamente confermata dal Convegno di Verona.

Due sono le principali direzioni in cui questa riflessione si è sviluppata. La prima riguarda il dovere dei cattolici nei confronti dell’attività politica, intesa come partecipazione attiva agli organismi di rappresentanza, ma anche come impegno a informarsi, ragionare, discutere della situazione politica e delle sue prospettive, compiendo conseguenti scelte di campo e comportamenti elettorali. Appartiene, in senso lato, all’impegno politico anche il «volontariato sociale», a condizione che non venga inteso come alternativa «virtuosa» rispetto alla politica, ma sia orientato ad essa.

È giusto chiedersi se vi sia un carattere specifico di questo impegno dei cattolici, un loro ruolo. Al riguardo, ci si riferisce spesso, in primo luogo, alla difesa di alcuni valori, particolarmente a rischio nella situazione attuale, quali il rispetto per la vita e la famiglia. Tuttavia, questo riferimento non può essere esclusivo, e non si può ritenere – il Convegno di Verona e, prima ancora, la Settimana sociale di Bologna, lo hanno chiarito bene – che per i cattolici l’obbligo ad occuparsi di politica nasca solo quando sono in gioco quei principi, e non anche su questioni più negoziabili.

Ma un ruolo fondamentale della presenza dei cattolici in politica mi pare che possa essere oggi riferito non tanto ai contenuti, quanto al metodo generale del fare politica, con particolare riferimento a una ripresa forte dell’etica pubblica. Non è solo questione di onestà (anche di questo vi è certamente bisogno); è anche questione di proporre e realizzare programmi politici orientati non all’interesse di singole categorie o classi sociali, ma al bene comune.

Questo concetto, di cui sembra si siano un po’ perse le tracce, ha chiare origini nella teologia cattolica e permea tutta la dottrina sociale. Esso è particolarmente adatto a coniugare il riferimento a principi forti con l’esigenza di tener conto delle differenze di situazioni concrete, di interessi e di opinioni largamente presenti nella società. Per la difficile aggregazione di questi obiettivi diversi, i cattolici possono anche proporre alcuni criteri significativi: il rispetto dei diritti della persona, allargato anche a chi non ha la cittadinanza formale; la preferenza per gli ultimi; una valutazione del lavoro umano che non faccia riferimento solo al prodotto che se ne ottiene; la necessità di includere le generazioni future nella valutazione del bene comune. La riproposta del riferimento al bene comune ha come corollario che i cattolici non operino – e, per quanto possibile, neppure appaiano – come difensori di interessi specificamente cattolici.

La seconda direzione in cui si muove la riflessione sulla partecipazione dei cattolici alla politica è quella delle condizioni strutturali (istituzioni, comportamenti,…) che possano rendere più efficace tale partecipazione: maggioritario o proporzionale; unità politica o diaspora; separazione o collaborazione con altri.

Oggi è ben difficile pensare a una rinnovata unità dei cattolici in un solo partito o aggregazione, almeno nella misura, certamente anche allora non completa, che si realizzava con la Democrazia cristiana. Ma, anche se questo fosse possibile, non credo che sarebbe oggi la soluzione preferibile: l’esistenza di differenti opinioni politiche compatibili con i principi della dottrina sociale, e di differenti legittime posizioni circa le collaborazioni da instaurare anche con chi non condivide in pieno quei principi, rende proficua una presenza sparsa.

L’efficacia di questa presenza dispersa richiede però un generalizzato riconoscimento della legittimità delle differenti posizioni. Il problema di più difficile soluzione oggi non è quello di ricompattare i cattolici quando sono in gioco i principi irrinunciabili, quanto quello di realizzare un dialogo utile a rendere più profonda e convinta la scelta di ciascuno. Avere la pazienza di mettersi in ascolto delle posizioni diverse dalle proprie, riconoscerne i valori, anche quando non si concorda, è un contributo ad affinare le proprie idee: quello che Vaccari ha efficacemente rappresentato con l’immagine dei portici sotto i quali «si conversa delle questioni urgenti, passeggiando con calma», superando l’atteggiamento, purtroppo ancora troppo diffuso, di vedere in chi milita in un altro partito (altro da quello che preferiamo) una persona che, avendo scelto la parte sbagliata, merita il nostro disprezzo e non deve dunque neppure essere ascoltata con attenzione.

Sta diffondendosi, per fortuna, la richiesta di consentire di nuovo al corpo elettorale una reale possibilità di scelta delle persone da eleggere, da realizzarsi sia al momento del voto (quindi, con possibilità di voti di preferenza), sia al momento della formazione delle candidature. È questa, d’altra parte, la strada maestra perché risultino sanzionabili nel modo democraticamente più corretto anche le carenze etiche dei comportamenti politici. L’affievolimento di interesse di molti per la politica ha origine anche in una doppia delusione: l’insoddisfazione per l’azione di alcuni politici e l’impossibilità di sceglierne di nuovi.

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