Opinioni & Commenti

Cattolici e politica, è finito il tempo della diaspora?

di Giuseppe Savagnone

Ciò che forse più colpisce, nell’intervento con cui il card. Angelo Bagnasco ha aperto il Forum del mondo del lavoro, a Todi,  (testo integrale), è la fierezza con cui egli ha rivendicato il ruolo dei cattolici nella costruzione dell’Italia del passato e di quella del futuro. A fronte di una situazione che, in questi ultimi anni, li ha visti nella infelice condizione «degli ostaggi corteggiati a destra e degli invisibili tollerati a sinistra», come ha scritto Ferruccio De Bortoli nel suo editoriale sul Corriere della Sera del 17 ottobre, il cardinale ha sottolineato con forza il concetto che lo stesso De Bortoli metteva in apertura del suo articolo: «Il Paese ha bisogno dei cattolici».

Lo sappiamo bene (anche i cosiddetti «laici» intellettualmente onesti lo riconoscono): la loro irrilevanza sulla scena pubblica, nella Seconda Repubblica, non ha portato fortuna all’Italia e ha fatto rimpiangere, perfino ai critici più accaniti, i tempi della Prima, dove essi avevano un posto centrale.

Oggi non si tratta di ricostituire la vecchia Dc. Ma l’incontro di Todi è egualmente destinato ad avere delle precise ricadute sulla vicenda politica nazionale, nella misura in cui getta le basi per un percorso che, attraverso un profondo rinnovamento culturale, dovrebbe mirare, come è avvenuto fin dai primordi dell’unità, «a costruire l’anima dell’Italia prima ancora che l’Italia politica», per usare l’espressione del cardinale. Perché è dell’anima, prima che della stabilità economica, che questi ultimi anni ci hanno in larga misura privato, ed è da essa che bisogna ripartire. «L’esperienza insegna da sempre – ha detto il card. Bagnasco – che, in ogni campo, non sono l’organizzazione efficiente o il coagulo di interessi materiali o ideologici che reggono gli urti della storia e degli egoismi di singoli o di parti, ma la consonanza delle anime e dei cuori, la verità e la forza degli ideali». La posta in gioco è, dunque, altissima: «Se, in forza del relativismo gnoseologico e morale, venissero corrosi i valori che giustificano l’impegno della vita, allora verrebbero meno anche le fondamenta e le forze che sostengono la convivenza sociale, ed edificano una Nazione come comunità di vita e di destino». È di questo recupero di tali fondamenta che il Paese ha bisogno, nella vita privata come in quella pubblica, e oggi non vi è nessuno, in un panorama culturale dominato da relativismo e individualismo, che possa rappresentare una istanza così impegnativa, se non i cattolici.

Ma questo comporta per loro, innanzitutto, un’enorme responsabilità nei confronti di ciò che li caratterizza, che è il primato dello spirituale. «Qualora si sbiadisse questo primato – ha ammonito il cardinale – i cristiani sarebbero omologati alla cultura dominante e a interessi particolari». Come forse è avvenuto, talvolta in questa infelice stagione. L’incontro di Todi, ben lungi dall’avere una funzione strategica, punta a recuperare l’intesa su questa base valoriale ineludibile, nella consapevolezza che essa non si riduce a singoli punti programmatici, ma abbraccia tutta l’ampiezza della persona umana e del bene comune. È in quest’ottica che bisogna leggere anche il richiamo del cardinale ai «valori non negoziabili». Se essi sono così spesso ribaditi non è certo, ovviamente, perché siano gli unici, ma perché in essi si manifesta con particolare evidenza un orizzonte di verità che ha al suo centro la persona e che la Chiesa propone senza sconti a nessuno: «La dottrina sociale della Chiesa non è un insieme di argomenti slegati e chiusi, ma un corpo organico con un centro vitale e dinamico che è la natura umana con i suoi dinamismi e le sue leggi». È l’essere umano, soprattutto quello più debole e indifeso, sono la sua dignità, la sua vita (non solo all’inizio e alla fine, ma anche, evidentemente, nell’arco tra i due termini), che costituiscono, nel loro ineliminabile riferimento a Dio, il centro di tale organismo dottrinale.

È solo su questo «umanesimo plenario» che caratterizza il cattolicesimo (dal greco katà òlon, secondo pienezza) che si potrà costruire, secondo il card. Bagnasco, il riscatto dell’Italia dalla difficile situazione in cui si trova. La crisi che viviamo, prima che politica, è culturale e, più profondamente, spirituale. «Proprio per questo – ha concluso il cardinale – i vescovi italiani, che vivono accanto alla gente con i loro sacerdoti e sentono pulsare la vita complessa degli uomini d’oggi, hanno posto al centro degli Orientamenti pastorali del decennio la missione educativa». Anche la politica deve tornare ad essere, «con la coerenza della vita e il coraggio della parola», protagonista di questa missione.

«La Chiesa non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione», ha sottolineato con forza il presule. Le basta, come ha detto il Santo Padre nella sua prima enciclica, «contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali» («Deus caritas est», n.29). Questo ha voluto fare il card. Bagnasco nel suo intervento. Il resto toccherà ai cristiani in quanto cittadini realizzarlo, «sotto la propria responsabilità» (ivi).

DA TODI LA RICHIESTA DI UN NUOVO GOVERNO E NUOVA LEGGE ELETTORALE

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