Italia

Cattolici e impegno politico, obiettivo neopersonalismo

di Umberto SantarelliProseguendo nell’iniziativa inaugurata nel 2003 e proseguita nel 2004, la Fondazione Toniolo ha chiamato a raccolta tra giovedì e sabato della settimana passata, nel Palazzo della Sapienza di Pisa e nel Centro studi della Cassa di Risparmio di San Miniato che ha sede nel vecchio Convento sanminiatese dei Cappuccini, un folto gruppo di persone provenienti da tutta l’Italia che s’eran dette disposte a ragionare insieme delle possibili «ipotesi per una politica neopersonalista» (nei due anni precedenti s’era discusso di «strumenti e occasioni per una moderna forma di partecipazione sociale e politica» [2003] e di «partiti, sindacati e movimenti» [2004]).

La continuità tematica fra i tre incontri era evidente, così come appariva chiara la comune intenzione di coltivare pazientemente – malgrado i segnali apparentemente disperanti che vengono da una prassi politica fatta spesso di piccole trovate da fiera di paese – un’incrollabile spes contra spem. Dopo aver detto il tema di quest’anno, sembra quasi inutile soggiungere che tutti -programmatori, relatori e invitati ad ascoltare- condividevano quella che tradizionalmente si definisce «ispirazione cristiana».

Il cómpito era tutt’altro che facile; ma alla fine il risultato è apparso a tutti eccellente. Il titolo che era stato scelto, a saperlo leggere, era da sé solo chiarissimo: se un minimo di realismo imponeva di contentarsi di prospettare solamente delle ipotesi, il riferimento a una prospettiva di politica personalistica significava la capacità di rifarsi a modelli culturali illustri e lungamente collaudati che era necessario solamente «aggiornare» (come diceva chiaramente l’allusione alle indispensabili novità).

All’economista pisano Andrea Bonaccorsi è toccato ragionare, nella lectio magistralis introduttiva, di «personalismo vecchio e nuovo» allo scopo di riconnettere il discorso sulle prospettive del presente alla tradizione dell’impegno politico dei cattolici europei e ai punti di riferimento essenziali di questa tradizione (per mettere il lavoro di oggi e di domani al sicuro da qualunque tentazione di omologarsi alla fiera paesana di cui si diceva poco fa).Le diagnosi sono state molte, perché diversi e tutti necessari erano i punti di vista possibili: quello del filosofo come del sociologo, del giurista, dell’economista, del politologo, del teorico della comunicazione e dell’operatore sociale.

L’analisi particolareggiata dei singoli contributi dev’esser per forza rinviata alla lettura degli Atti, che verranno sollecitamente pubblicati, come quelli delle precedenti «Tregiorni». Certamente fin da ora si può dire che è stata ben presente la chiara consapevolezza d’una crisi tutt’altro che episodica delle strutture politico-istituzionali del nostro Paese, la soluzione della quale non può restare affidata alle mani di operatori incapaci di sollevare lo sguardo dalle quotidiane bagattelle e dalle loro possibili soluzioni tattiche.

Ed altrettanto chiara è apparsa in tutti la coscienza tranquilla e lucidamente motivata dell’oggettiva validità «strategica» d’una tradizione d’impegno nella società civile che affonda le proprie radici nel terreno ricco del personalismo cristiano. Questo non significa affatto che esistano soluzioni facili, prefabbricate e pronte per un impiego a successo garantito. La scelta di ragionare di neopersonalismo rivelava fin da principio la convinzione che sia necessario un profondo ripensamento degli strumenti di analisi e dei criteri di comportamento che metta al riparo dal rischio gravissimo d’una materiale riapplicazione, distratta e superficiale, di canoni operativi elaborati in tempi ormai irrimediabilmente lontani.

La discussione, fatta in questi giorni a Pisa e a San Miniato, ha messo in luce un acutissimo senso della storia e nel contempo una disponibilità a progettazioni largamente inedite anche se coscientemente connesse a una tradizione spirituale e culturale che certamente nessuno è tentato di dimenticare o anche soltanto di sottovalutare. Nella Tavola Rotonda finale queste scelte di metodo si son tradotte in un dialogo, fitto e tutt’altro che «ingessato», tra Vescovi e laici coinvolti tutti insieme in un ragionamento comune che non ha perso neppur per un istante la chiara consapevolezza della propria oggettiva sostanza ecclesiale e del contesto storico al quale era naturalmente destinato.