In una civiltà post-cristiana, che sta cambiando ancora una volta, è lecito parlare del primo annuncio o dobbiamo passare subito al secondo?. A lanciare la provocazione, durante il Convegno promosso dall’Ufficio catechistico della Cei a Reggio Calabria, è stato don Giampietro Ziviani, docente di teologia sistematica alla direttore dell’Ufficio catechistico diocesano di Adria-Rovigo alla Facoltà teologica del Triveneto, che ha delineato le caratteristiche del primo annuncio all’italiana. E’ vero – ha spiegato – che anche da noi c’è un analfabetismo di ritorno, ma non possiamo dire che l’Italia sia un Paese sgombro e neutrale, che abbia un lessico che parte da zero. Al contrario, il lessico cristiano permea anche ambienti apparentemente estranei al cristianesimo, ma occorre ridare significato alle parole. Per don Ziviani, quello italiano non è un cristianesimo che parte da zero, ma nemmeno è la prosecuzione di ciò che esiste: di qui la complessità del primo annuncio, che ha a che fare soprattutto con cristiani non evangelizzati. A proposito della scelta della Chiesa italiana di privilegiare questa modalità di proposta della fede, il relatore ha precisato: Non facciamo il primo annuncio perché quello precedente ha fallito: c’è un cammino di Chiesa che ci ha portato a privilegiare questo tipo di catechesi.Sir