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Catalogna. Indipendenza proclamata e sospesa. Il Paese tra delusione e incertezza
Delusione nelle file separatiste, soprattutto tra i giovani della CUP. Confusione e incertezza tra gli analisti. Attesa per la risposta di Madrid. Con questi sentimenti la Spagna e la Catalogna si sono risvegliate questa mattina, dopo il discorso Parlament de Catalunya del presidente catalano, Carles Puigdemont.
Martedì 10 ottobre. Alle 19.11, più di un’ora di ritardo rispetto al previsto, al Parlament de Catalunya inizia una sessione che ha suscitato uno straordinario interesse. Più di mille giornalisti (300 stranieri) sono arrivati per essere testimoni in diretta dell’annunciata dichiarazione d’indipendenza della Catalogna. Fuori dell’edificio, circondato da un cordone di sicurezza della polizia, una folla non piccola d’indipendentisti aspetta trepidante di sentire il presidente catalano, Carles Puigdemont, pronunciare le parole tanto desiderate: Repubblica catalana indipendente. Il ritardo nell’orario – si capirà più tardi – è stato causato da alcuni disaccordi da parte della CUP, un gruppo parlamentare minoritario, ma con grande incidenza in tema d’indipendentismo.
Tre minuti dopo, Puigdemont inizia un discorso, trasmesso dalle tv più importanti. Lo seguono da Madrid anche il presidente Mariano Rajoy e la vicepresidente Soraya Sáenz de Santamaría. E con loro, tanti spagnoli preoccupati. Durante poco più di mezz’ora Puigdemont ripercorre i fatti accaduti dal 6 settembre, quando fu approvata in sede parlamentare la «legge di disconnessione», un traguardo a cui si era arrivati dopo anni di «umiliazione» da parte del governo centrale, da quando la riforma dello Statuto catalano fu in parte rifiutata dal Tribunale costituzionale.
Con un’elegante oratoria Puigdemont riesce a convincere della cattiveria di uno Stato spagnolo che non sa soddisfare la richiesta a «poter decidere» del popolo catalano, accusando poi i successivi governi centrali di essere la causa del desiderio in tanti catalani di voler andarsene della Spagna.
Sono le 19.33 quando Puigdemont si rivolge in spagnolo a tutti gli spagnoli: «Non siamo delinquenti né pazzi», e sottolinea che «un popolo non può essere costretto». E poi, riferendosi ai risultati del referendum del 1° ottobre, continua in catalano: «Assumo il mandato del popolo perché la Catalogna si trasformi in uno Stato indipendente». Il clamore fuori del Parlament è appassionato, ma dura appena alcuni secondi.
Puigdemont, vista la situazione d’instabilità, propone di «sospendere» per un tempo la dichiarazione d’indipendenza e iniziare un processo di dialogo. Tranne gli indipendentisti forse, tutti in Spagna si sono sentiti sollevati dalle parole del presidente catalano. Anche lo stesso presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, avrà tirato un sospiro di sollievo. Poche ore prima aveva pronunciato queste parole dirette a Puigdemont: «Presidente, chiedo a lei di rispettare l’ordine costituzionale e non annunci una decisione che renda impossibile il dialogo».
Come qualificare il discorso di Puigdemont? Certi commenti parlano di una «grande capacità ad essere ambiguo», alcuni di «incongruenza». Ma forse la critica più precisa è arrivata da parte del socialista Miquel Iceta, durante gli interventi dei portavoce dei gruppi parlamentari: come si fa a sospendere qualcosa che non è stato approvato prima? Infatti, finita la sessione al Parlament, due ore dopo, quel che hanno fatto i 72 parlamentari del blocco indipendentista è stato firmare un documento che però non è stato presentato alla Camera.
Delusione nelle file separatiste, soprattutto tra i giovani della CUP. Confusione e incertezza tra gli analisti, che non riescono a capire il senso del discorso di Puigdemont, e anche nelle parole di Soraya Sáenz de Santamaría, comparsa davanti ai giornalisti verso le 23.00: «Il presidente Puigdemont non sa dove è, né verso dove va né con chi vuole andare».
* direttore di Ciudad Nueva (Spagna)