Sul sequestro di Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, scomparsa in circostanze misteriose il 22 giugno 1983, all’età di 15 anni, le autorità vaticane non hanno nascosto nulla e in proposito non ci sono in Vaticano segreti da rivelare. Lo afferma oggi, in una lunga nota, il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, secondo il quale continuare ad affermarlo è del tutto ingiustificato e se le Autorità inquirenti italiane – nel quadro dell’inchiesta tuttora in corso – crederanno utile o necessario presentare nuove rogatorie alle Autorità vaticane, possono farlo, in qualunque momento, secondo la prassi abituale e troveranno, come sempre, la collaborazione appropriata”.In particolare il portavoce vaticano, di fronte alle recenti polemiche, ribadisce che da parte delle autorità ecclesiastiche “non si frappone nessun ostacolo” a che la tomba del boss della Magliana Enrico De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare “sia ispezionata e che la salma sia tumulata altrove, perché si stabilisca la giusta serenità”. “Tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane per affrontare la situazione del sequestro nella prima fase e, poi, anche nelle indagini successive”, afferma ancora padre Lombardi, e tutto il materiale pervenuto in Vaticano è stato consegnato, a suo tempo, al P.M. inquirente e alle Autorità di Polizia; inoltre, il Sisde, la Questura di Roma ed i Carabinieri ebbero accesso diretto alla famiglia Orlandi e alla documentazione utile alle indagini”.Nella lunga nota, padre Lombardi ripercorre tutti i passi della collaborazione dimostrata negli anni a parte delle autorità vaticane, l’interessamento personale di Giovanni Paolo II e dell’allora segretario di Stato card. Agostino Casaroli. “La sostanza della questione – aggiunge – è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti”. Inoltre, “a quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l’istruttoria sull’attentato al Papa – condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa”. “Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro – spiega ancora padre Lombardi, secondo cui “l’attribuzione di conoscenza di segreti attinenti al sequestro stesso da parte di persone appartenenti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo, non corrisponde quindi ad alcuna informazione attendibile o fondata; a volte sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità”.