Lettere in redazione
Caso Cohen, se l’università si scopre intollerante
Giovedì 14 ottobre scorso, alle ore 17, nell’Aula magna della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, i membri di un collettivo studentesco hanno impedito lo svolgimento di una conferenza su Israele. L’incontro era stato organizzato dalla cattedra di Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici, tenuta dal prof. Maurizio Vernassa, e dall’Associazione Italia-Israele Livorno onlus. Era stato invitato un diplomatico israeliano, il consigliere Shai Cohen, dell’Ambasciata di Israele a Roma. L’incontro con gli studenti di storia e di politica dell’Università di Pisa era l’appuntamento più importante di questa visita a Pisa e a Livorno del consigliere Cohen.
In alcuni contatti avuti con i rappresentanti dei principali gruppi studenteschi, gli organizzatori avevano stabilito che il diplomatico sarebbe stato sottoposto a una serie incalzante di domande, a partire da quelle che la nostra opinione pubblica toscana sente come le più urgenti, sulle condizioni di vita delle popolazioni arabo-palestinesi dei territori occupati e sulle speranze di pace.
Una squadraccia di studenti del Collettivo autonomo di scienze politiche (CASP) ha deciso che avevamo sbagliato. Sbagliato che noi volessimo approfondire la situazione. Sbagliato soprattutto che volessimo approfondirla con un diplomatico di Israele. L’ “uomo di Sharon” non doveva parlare ai nostri studenti, e per impedirlo, sono passati ai fatti.
Un gruppo di circa venti, forse trenta, di loro, ha occupato l’Aula Magna e ha cominciato a urlare i propri slogan. Le loro urla sono andate avanti per oltre quaranta minuti. Le cose più gravi che sono state gridate: il popolo ebraico non esiste, è una finzione creata dall’Occidente; Israele non ha diritto di esistere; non toccheremo l’uomo di Sharon, ci fa schifo. Questi non sono temi “anti-israeliani”, queste sono parole che rivelano la “forma nuova di un odio antico”, come ha scritto Fiamma Nirenstein.
Molti studenti di altri gruppi politico-culturali hanno tentato di frenare i loro compagni, invano. Ci hanno provato alcuni professori e altri adulti presenti, invano. Gli organizzatori, il poco pubblico che era riuscito a entrare prima che si ergesse il muro della squadraccia, il diplomatico, tutti hanno mantenuto, grazie al cielo, la massima calma.
Il Preside della Facoltà di Scienze Politiche, il prof. Alberto Massera, ha condannato duramente i giovani del CASP, si è interposto fisicamente fra gli organizzatori e la squadraccia, ha preferito non far intervenire la polizia, facendoci uscire tutti dalla sala senza ulteriori conseguenze.
Da allora ogni giorno riflettiamo, ci facciamo domande, cerchiamo di non accontentarci di risposte semplici o semplicistiche.
Ci domandiamo se le forze dell’ordine avrebbero dovuto organizzare una presenza più visibile, dissuasiva, per permetterci il libero svolgimento di una attività scientifica. Ci domandiamo se non dovremo chiamare la magistratura a valutare le offese, gli insulti, le minacce, che abbiamo subito. Ci domandiamo se le solidarietà che ci sono pervenute sono state tempestive e, soprattutto, se saranno fattive. Ci domandiamo se le forze politiche e sociali, soprattutto a sinistra, stanno riflettendo a sufficienza sul corto circuito che fa scattare, insieme e automaticamente: antioccidentalismo, antiamericanismo, odio per Israele, nuove forme di antisemitismo, nuove forme di violenza politica. Come se questi temi fossero mine collegate fra di loro, nascoste in un terreno innaffiato con diluvi di parole di pace, ma in cui crescono il nuovo squadrismo rosso e una teoria di nuove forme di intolleranza.
La cosa più importante, però, soprattutto ma non solo per quelli di noi che apparteniamo all’Università di Pisa, è capire se la nostra comunità, fondata nel 1343, che si autogoverna, che ospita ed educa 50.000 studenti, ha in sé l’energia morale per reagire, sanzionare, prevenire, ridarsi altre occasioni.