Vita Chiesa
Caso Cantini, mons. Maniago: «Non ho insabbiato niente»
di Andrea Fagioli
Il tema della pedofilia nella Chiesa è tornato prepotentemente alla ribalta. Le parole del Papa sono state in proposito molto chiare. Nonostante tutto si moltiplicano reportage, inchieste e programmi televisivi sull’argomento. Anche l’ultima puntata di «Annozero» (nella foto un momento della trasmissione) non ha fatto eccezione trattando le vicende fiorentine di don Lelio Cantini, chiamando in causa la diocesi di Firenze e soprattutto il vescovo ausiliare monsignor Claudio Maniago, che ora ha accettato, per la prima volta, non solo di rispondere alle contestazioni emerse nella trasmissione di Santoro, ma di raccontare la sua verità su tutta la vicenda in questa intervista a «Toscana Oggi».
Monsignor Maniago, lei è prete dal 1984. Tra le accuse rivolte a Cantini c’è anche quella di aver plagiato alcuni giovani che poi sono diventati sacerdoti. Si sente plagiato? Ma davvero era così particolare il clima nella sua parrocchia di provenienza?
«Riguardo alla mia vocazione non mi sento per niente plagiato poiché la mia scelta nasce da un lungo periodo di riflessione personale e di confronto con diverse persone che mi hanno accompagnato, aiutato a far chiarezza dentro di me in modo da arrivare a scegliere la mia strada con libertà e consapevolezza. Come tutti i parroci, don Cantini, ha avuto un ruolo, quello che gli è proprio, di consigliere spirituale e nel caso specifico anche un aiuto a tenere i piedi per terra nel rendersi conto che la vita del prete è una vita esigente che chiede dedizione anche in momenti difficili e quindi non è certo adatta a persone poco convinte o come è più giusto dire senza vocazione. Al riguardo sono grato ai tanti sacerdoti che mi hanno accompagnato nel periodo di discernimento al seminario minore nell’esperienza fatta un anno prima dell’entrata al Maggiore, poi durante i cinque anni di seminario maggiore e infine all’equipe formativa del Collegio Capranica che ha accompagnato i miei primi anni di prete dall’ordinazione al 1987. Il clima in parrocchia era un clima certo esigente in cui l’impegno e la serietà di coloro che più da vicino aiutavano l’attività pastorale era prerogativa precisa. C’era chi si sentiva molto coinvolto, chi meno e chi se ne andava preferendo altre esperienze».
Lei è cresciuto con molti di coloro che ora sono identificati come vittime di Cantini. Cosa ricorda di quel periodo? Veramente non si è mai accorto di nulla?
«È un periodo molto lontano nel tempo, ma ovviamente ricordo bene alcune delle persone che sono coinvolte in questo tragico evento, altre meno per motivi di età. Riguardo ai fatti di cui si parla evidentemente non mi sono mai accorto di niente fino a quando non ho avuto la prima confidenza, nel 2004. Grosso modo sono coetaneo delle vittime quindi al tempo dei fatti in questione ero molto giovane: gli incontri con don Cantini in quel periodo si svolgevano nei modi tipici degli incontri con il proprio parroco in ogni parrocchia. Così pensavo che accadesse per tutti gli altri miei coetanei. In diocesi poi, da sacerdote, avevo sentito diverse critiche allo stile pastorale di don Cantini, ma mai riguardo a fatti di questo genere».
Perché ha ringraziato Cantini il primo giorno da Vescovo? Lo rifarebbe?
«Nel contesto della mia ordinazione episcopale avvenuta, lo ricordo, nel settembre 2003, un anno prima di venire a conoscenza della vicenda, nella parte conclusiva del rito, ho ringraziato, come fanno tutti, le persone che a vario titolo hanno aiutato il mio cammino: fra queste anche il mio parroco con le parole che in quel momento mi sentivo di dire: evidentemente, ribadisco non ero a conoscenza di niente di scabroso che coinvolgesse la sua persona. Ora non lo rifarei».
C’è qualcosa che non rifarebbe con le vittime che ora la accusano?
«Di un cosa sono certo: mai mi rifiuterei di accoglierle – come del resto ho fatto – e di condividere con loro dolore e sgomento, ma sarei più accorto nelle mie parole, che estrapolate da certi contesti già allora, ma soprattutto in questo momento e a distanza di anni vengono strumentalizzate, anche in questi giorni su stampa e televisione. Parole dette in un senso e interpretate in un altro».
Le vittime la accusano di non aver fatto nulla dopo le denunce
«Questo non è assolutamente vero. Ho ricevuto alcune persone che a titolo diverso mi hanno confidato dolore e pena per fatti avvenuti anni prima. Di alcuni colloqui non potevo e non posso rivelare niente perché legati da segreto confessionale; in altri ho invitato ad aver fiducia nell’operato del cardinale Antonelli e a guardare oltre. Io sono un prete e devo sempre e comunque consolare e aprire vie di speranza. Su questa vicenda vorrei far notare che si parla di fatti già a quel tempo avvenuti oltre 20 anni prima e cessati nel 1987, quindi in quel momento reati prescritti sia per lo Stato che per la Chiesa; non a caso il cardinale Antonelli ha dovuto chiedere alla Congregazione per la dottrina della fede il permesso di superare i termini della prescrizione per processare Cantini. Ho fatto quindi quello che mi è stato chiesto: accolto, ascoltato, confortato, invitato alla speranza e, quando possibile, riferito immediatamente al cardinale».
Quand’è che ha saputo cos’era avvenuto nella sua parrocchia? E cosa ha fatto al quel punto?
«Nel 2004 si sono rivolte a me due persone chiedendomi incontri per questioni personali e riservate che si sono conclusi con la celebrazione del sacramento della Confessione: di questo e su questo non posso evidentemente aggiungere altro. Poi ho ricevuto altre persone che mi hanno cercato per condividere il loro dolore e il loro turbamento: le ho ascoltate con attenzione, ho chiesto di poter riferire al mio superiore e quindi ho informato subito del problema il cardinal Antonelli, il quale nell’estate del 2005 ha ricevuto anche le lettere di un gruppo di donne e nel settembre del 2005 ha tolto Cantini dalla parrocchia. Io ho invitato tutti coloro che si sono rivolti a me, ad avere fiducia nell’operato del cardinale che stava cercando di capire come lavorare su un caso così delicato e come superare i termini della prescrizione. Il clima di questi incontri è sempre stato cordiale e noto quindi con dispiacere che vengono oggi riferiti in modo distorto, con parole mai dette e con intenzioni che non ho mai avuto: non ho mai minacciato nessuno ma ho sempre però condiviso il loro sgomento e la loro sofferenza».
Ha più rivisto Cantini? E se lo ha visto cosa gli ha detto?
«Quando lasciò la parrocchia Regina della Pace nel 2005 su disposizione del cardinale Antonelli e mentre erano cominciati gli accertamenti sul suo conto, l’ho visitato poche volte a Mucciano in Mugello, nella canonica di una chiesa non più parrocchia e quindi senza più attività pastorali. Dovevo verificare come si era sistemato. Prendersi cura delle condizioni di vita dei preti (e Cantini allora lo era) è compito tipico del vicario generale di ogni diocesi. I colloqui sono stati funzionali e relativi a questioni pratiche, senza celebrazioni di alcun genere: io non ho mai festeggiato lì l’anniversario della mia ordinazione episcopale: la mia agenda lo dimostra ed è a disposizione».
Cosa pensa adesso di Cantini?
«Alla luce di quanto è accaduto, egli oggi mi appare una persona misteriosa, ma nel senso preciso di una realtà di cui non so darmi spiegazione. Mettere insieme una attività pastorale che a quei tempi a me sembrava appassionata, precisa, ortodossa e la consumazione di atti così terribili e indegni come quelli scoperti è un fatto che mi lascia ancora oggi sconvolto e profondamente ferito con un dolore che non mi abbandonerà mai».
Perché non si è mai difeso?
«Non mi sono difeso perché le accuse sono state generiche e per questo più perfide. È è una colpa essere stato parrocchiano di don Cantini? Aver vissuto una vita parrocchiale che per molti aspetti è sempre stata elogiata dai vescovi? Aver ringraziato il proprio parroco ignorandone il terribile segreto? Aver ascoltato vittime e non sulla vicenda e invitato ad avere fiducia nel vescovo che stava conducendo la questione? L’accusa di aver voluto insabbiare gli accertamenti si commenta da sola visto il fatto indubitabile che non ho mai gestito io la vicenda».
È riuscito a darsi una spiegazione di questo attacco alla sua persona?
«Devo dire innanzi tutto la mia sorpresa di fronte agli attacchi alla mia persona dal momento in cui la questione è uscita sui giornali: con una violenza ingiustificata perché l’unica accusa che in un primo tempo mi è stata rivolta è quella di essere stato un discepolo del Cantini e di averlo pubblicamente ringraziato per il suo esempio il giorno della mia ordinazione episcopale. Poi è stato un crescendo mediatico, fino ad arrivare in questi anni ad accuse sulla mia persona talmente inverosimili, anche per chi non mi conosce, da ritenerle non degne della minima considerazione».
E perché ora ha accettato di parlare?
«Ora l’attacco si è trasformato nell’accusa di aver ostacolato la giustizia. Io non ho insabbiato proprio niente. Mai. Non ero neanche nella condizione di farlo: una volta informato immediatamente il cardinale, io non ho mai avuto responsabilità diretta nel procedimento contro Cantini. Io non conosco neanche gli atti e nessun documento scritto mi è stato fatto vedere o è stato portato sul mio tavolo».
Scusi, ma perché non ha querelato nessuno in questi anni?
«Non ho querelato anzitutto perché alcune delle accuse che mi sono state rivolte nascono da chi ha patito pesanti ferite e io ho voluto rispettare il dolore delle vittime senza reagire. Altre accuse anche aberranti e lanciate in parallelo a questa vicenda erano talmente imprecise e approssimative che secondo il parere dei legali da me consultati non lasciavano spazio ad alcuna strategia processuale. Gli stessi legali mi confermano per altro che non sono mai stato minimamente coinvolto nel caso Cantini».
Lei cosa pensa dei preti pedofili?
«È una realtà drammatica in cui il peccato si manifesta in modo devastante perché vede protagonisti coloro che sono chiamati dal Signore a essere educatori di tutti, in particolare dei bambini e dei giovani. Per questo è importante ascoltare e accogliere con molta attenzione l’impegno e l’invito del Papa che, con fermezza e determinazione, chiama tutta la Chiesa a vigilare e a intervenire immediatamente e con decisione laddove si manifestino certe situazioni patologiche. Al tempo stesso intensa e incessante deve essere la preghiera e la penitenza per sostenere le vittime di simili abusi e per spingere alla conversione chi si macchia di tali delitti. Ma tutto questo non deve minimamente intaccare la splendida e quotidiana opera che tanti vescovi, preti e religiosi compiono in ogni parte del mondo a favore di ogni uomo e di ogni donna, vivendo con fedeltà il ministero loro affidato».