Lettere in redazione
«Caso Boffo», la marcia indietro di Vittorio Feltri e del «Giornale»
Caro direttore, ho letto su «Avvenire» il presunto pentimento di Feltri per la coltellata nella schiena inferta a Dino Boffo. Feltri incarna purtroppo e con cospicua remunerazione il giornalismo di attacco ispirato e preteso dal potere economico-politico. La Chiesa in passato, con grandi meriti e saggi uomini, ha sconfitto il comunismo. Oggi la Chiesa («Caritas in Veritate») con il suo massimo rappresentante, ci mette in guardia dai nefasti danni di un capitalismo disumano e attrattivo. Riusciremo a far prevalere la «Civiltà dell’Amore» in questo pantano d’ingiustizie, soprusi e indifferenza? Auguriamoci che la speranza della resurrezione non sia mai dimenticata da noi cristiani e senza stanchezza siano ricercati verità e bene comune.
Caro Guivizzani, la sua lettera pone in poche righe diverse questioni. Mi fermo alla prima, che in questo momento mi interessa più delle altre. Le confesso di essere sobbalzato sulla sedia nel leggere «il Giornale» di venerdì 4 dicembre con il direttore Vittorio Feltri che definisce Dino Boffo «giornalista prestigioso e apprezzato», che «non può che suscitare ammirazione», e ammette che la ricostruzione dei fatti descritti nella famigerata nota «non corrisponde al contenuto degli atti processuali» (CASO BOFFO, FELTRI: HO SBAGLIATO, CASO CHIUSO; MONS. POMPILI (CEI): AMMISSIONI TARDIVE). La reazione immediata è stata di stizza: ma come, prima distruggi un uomo facendolo passare per un pervertito, lo metti per dieci giorni alla gogna e poi dici che siamo di fronte ad una persona da ammirare? Ma non solo: è mai possibile rendersi conto cento giorni dopo che quella nota era una patacca clamorosa? Bastava leggerla per capirlo.
Insomma, in prima battuta, quella tardiva ammissione non mi ha convinto. Avevo il dubbio che nascondesse qualcosa. Poi, parlando con alcune persone, anche autorevoli, e leggendo quello che «Avvenire» ha scritto il giorno dopo (sabato 5 dicembre), mi sono abbastanza convinto (ma non del tutto) che quella di Feltri possa essere una libera correzione di rotta, sia pure nella forma un po’ strana di risposta ad una lettera (vera?), con un titolo non molto esplicito («Boffo: ho avuto modo di vedere») e i punti forti dell’ammissione nel rimando interno (a pagina 40) e non in prima pagina. L’importante, ho comunque pensato, è che questa marcia indietro serva a riabilitare Dino Boffo agli occhi di coloro che hanno creduto o sono stati «vittima» di quella campagna di stampa che lo stesso Feltri definisce ora un «pandemonio», ma che attribuisce agli altri: ai giornali e alle televisioni che si «scatenarono dice lui sollevando un polverone ingiustificato». Fatto sta che a questa «riabilitazione» non hanno partecipato, com’era doveroso che invece fosse, testate fondamentali come il Tg1, mentre «Avvenire» di sabato che titolava a tutta pagina «Feltri ora si corregge su Boffo» è sparito da alcune delle rassegne stampa televisive più seguite. E questo, insieme alla tardiva retro marcia di Feltri, la dice lunga sul cammino che ancora c’è da fare per un’informazione non dico libera, ma almeno meno faziosa.
Da registrare, infine, un altro fatto importante: la nomina di Stefano De Martis a direttore di «Tv2000» e «RadioInblu», la televisione e il circuito radiofonico cattolici. Incarico che in precedenza era riunificato nella persona di Dino Boffo. Ma alla luce anche di quanto è successo, è senza dubbio più saggio tenere distinta la direzione di «Avvenire» da quella di «Tv2000» e «RadioInblu».