In tutta la vicenda che lo ha riguardato «Dino Boffo ha tenuto un atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione». E gli atti processuali relativi all’ammenda consentono di chiarire che si trattò «di una bagatella e non di uno scandalo». Lo scrive oggi il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, che sulla prima pagina del suo quotidiano, rispondendo ad una lettrice, afferma che «il caso è chiuso». «Non mi sarei occupato di Dino Boffo, giornalista prestigioso e apprezzato, – spiega nella risposta Feltri – se non mi fosse stata consegnata da un informatore attendibile, direi insospettabile, la fotocopia del casellario giudiziale che recava la condanna del direttore a una contravvenzione per molestie telefoniche. Insieme, un secondo documento (una nota) che riassumeva le motivazioni della condanna. La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali. All’epoca giudicammo interessante il caso per cercare di dimostrare che tutti noi faremmo meglio a non speculare sul privato degli altri, perché anche il nostro, se scandagliato, non risulta mai perfetto».«Poteva finire qui», prosegue Feltri, «invece l’indomani è scoppiato un pandemonio perché i giornali e le televisioni si scatenarono sollevando un polverone ingiustificato. La cosa, come lei dice, da piccola è così diventata grande. Ma, forse, sarebbe rimasta piccina se Boffo, nel mezzo delle polemiche (facile a dirsi, adesso), invece di segretare il fascicolo, lo avesse reso pubblico, consentendo di verificare attraverso le carte che si trattava di una bagattella e non di uno scandalo. Infatti, da quelle carte, Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali, tantomeno si parla di omosessuale attenzionato. Questa è la verità. Oggi Boffo sarebbe ancora al vertice di Avvenire. Inoltre Boffo ha saputo aspettare, nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, tenendo un atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione».Sulle parole di Feltri interviene il direttore dell’Ufficio Cei comunicazioni sociali, mons. Domenico Pompili, che ha dichiarato al Sir che tutto ciò «conferma il valore della persona del dottor Dino Boffo che, ancor prima delle tardive ammissioni del direttore Feltri, si era messo da parte per non coinvolgere la Chiesa che ha sempre servito con intelligenza e passione per molti anni».Quella di Feltri è «una retromarcia clamorosa e importante» ha commentato il direttore di AvvenireMarco Tarquinio. «Dicemmo all’inizio della vicenda – ha proseguito – che con un galantuomo come Boffo il tempo sarebbe stato galantuomo. Questa volta abbiamo dovuto aspettare meno del consueto». «Le scuse pubbliche pubblicate sulla prima pagina del Giornale, tuttavia – ha aggiunto – non riparano completamente ai danni subiti non solo da Boffo ma anche da un metodo di informazione corretta fondata sui fatti, e non cancella le responsabilità di chi conduce battaglie mediatiche con mezzi tutt’altro che limpidi». Le affermazioni di oggi di Feltri – ha proseguito Tarquinio – sono importanti perché ridanno dignità «ad una vita brutalmente capovolta», ma devono «far riflettere noi giornalisti sulla responsabilità che abbiamo verso i lettori e verso noi stessi».«Quanto oggi scrive il direttore Feltri sul suo giornale rispondendo a una lettera sul caso Boffo’ scrive l’Agenzia Sir – induce ad alcune prime considerazioni che, da un lato, confortano perché confermano che la verità trova la forza di farsi strada nonostante i tentativi di fermarla, dall’altro lato, rilanciano gli interrogativi che all’inizio della vicenda nacquero da più parti sul valore e sul rispetto dell’etica professionale nell’informazione. Si tratta ora di riportare seriamente nel confronto interno alla categoria giornalistica le ragioni ultime di una professione che smarrisce se stessa se non si pone al servizio della verità, del bene comune, della dignità della persona: una frontiera sulla quale Dino Boffo si è sempre speso».