Lettere in redazione
«Caso Avvenire», due pesi e due misure?
Sono ben strane certa stampa e certe persone. Quando si «attacca» Berlusconi per presunto comportamento immorale (nulla è stato ancora provato), tutto va bene e, magari, ci si stracciano le vesti. Quando poi vengono «attaccati» gli accusatori, i «pontificatori» di moralità, che, guarda caso, hanno degli scheletri nell’armadio, allora si grida allo scandalo, si denuncia l’attentato alla libera stampa. Perché anche i cristiani usano due pesi e due misure?
Da tutta la vicenda risulta di fatto che a tutti, nel giro, era nota l’esistenza di una sentenza del tribunale di Terni. Boffo, il «condannato», ha ottenuto che ne fosse bloccata l’accessibilità: con le carte sottochiave, siamo ancora in attesa di sapere che sia davvero successo. Sigillati gli atti processuali, morto il giovanotto, per ricostruire la verità, almeno quella giudiziale, restava solo la ragazza la cui denuncia aveva innestato il caso. Ma, pure qui, un muro invalicabile. Sono desideroso di condividere l’indignazione per l’aggressione subita dal direttore. Ma vorrei farlo conoscendo nella piena trasparenza per quali motivi un tribunale dello Stato è giunto a una sentenza di condanna. Oltretutto, le gravi, croniche perdite del media-system cattolico sono ripianate colle offerte dei fedeli e col loro prelievo fiscale. Non innanzitutto, ma anche per questo c’è crediamo un diritto a sapere com’è andata, almeno nella ricostruzione della magistratura.
Torniamo questa settimana all’impostazione tradizionale della pagina delle lettere. Ma non ci possiamo esimere da dare ancora spazio al «caso Avvenire», anche perché alcune missive arrivate negli ultimi giorni non sembrano condividere la nostra posizione sulle vicende che hanno portato alle dimissioni del direttore Dino Boffo. Evitiamo ovviamente di citare quelle arrivate senza firma, che a nostro giudizio fanno il paio con la «spazzatura» di cui è stato detto. In questo caso se c’è qualcuno che si deve vergognare non siamo noi (come ci viene chiesto), ma gli estensori anonimi. Potremmo anche appoggiarci ancora una volta a posizioni autorevoli come quella del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, che in apertura del Consiglio permanente della Cei, ha parlato di attacco grave e ingiusto contro «una persona impegnata a dar voce pubblica alla nostra comunità». Un attacco che «ha finito per colpire un po’ tutti noi», «segno di un allarmante degrado di quel buon vivere civile che tanto desideriamo e a cui tutti dobbiamo tendere». Proviamo invece a fare un ragionamento molto semplice e concreto partendo da una domanda: quali sono i giornali che leggiamo? Lo chiedo perché l’amico Gian Gabriele Benedetti non credo abbia mai letto con attenzione negli ultimi tempi il Giornale di Feltri, nè tantomeno l’Avvenire. Come fa, infatti, a mettere sullo stesso piano il virulento attacco di Feltri a Boffo con quello che Boffo ha scritto su Berlusconi? Su questa vicenda c’è un gran parlare per sentito dire. Nessuno è andato a rileggersi quello che Boffo ha scritto su Berlusconi (tra l’altro in risposta ad alcune lettere e mai con un editoriale a firma sua).
Ma forse in pochi (sempre più che gli altri, purtroppo) hanno visto le paginate di Feltri. Altrimenti capirebbero che solo questo può essere definito attacco. Non certo l’altro. Il ragionamento dell’amico Luciano Badesso è più pacato e rivendica un’informazione ulteriore. Ne ha tutto il diritto. Ma quello che chiede dipende esclusivamente dalla magistratura e non dai protagonisti della vicenda, alcuni dei quali una loro versione l’hanno fornita. C’è semmai da chiedersi, anche in questo caso, perché prendersela con il «media-system cattolico» e con il sostegno che a questi mezzi viene dato attraverso l’8×1000? Se le perdite sono «croniche», come dice Badesso, è anche perché troppi cattolici preferiscono leggere il Giornale o La Repubblica piuttosto che Avvenire.