Toscana

Casinò, in Toscana ci provano in tre

Sono tre le città toscane che aspirano a ospitare una casa da gioco: Bagni di Lucca, Montecatini e Viareggio. Sembrava quasi fatta con un emendamento, poi bocciato, alla legge finanziaria 2001. Ora è tutto da rifare, o quasi, e le speranze dei promotori sono riposte in una legge ordinaria che preveda anche in Toscana l’istituzione dei casinò. Nei giorni scorsi, comunque, una delegazione dell’Anit, l’associazione per gli incrementi turistici, si è incontrata con alcuni deputati per una nuova iniziativa parlamentare. Due delle tre candidate toscane vantano già precedenti storici. A Bagni di Lucca, negli anni cavallo tra l’800 e il 900 era in funzione una casa da gioco. Lo stesso è accaduto anche a Montecatini fino ai primi anni del secondo dopoguerra: l’Excelsior e poi il Kursaal appartengono alla storia della città termale.Un ostacolo non da poco è rappresentato da una legge che prevede il vincolo di due case da gioco per ogni regione e in Toscana, come detto, i candidati sono tre. Il vincolo potrebbe essere aggirato con una destinazione «stagionale»: in estate in una località, in inverno in un’altra. Ovviamente ognuna delle tre città spera in una casa da gioco a «tempo pieno».Ma è possibile che dal gioco d’azzardo derivino effetti positivi? Un documento dell’associazione «Monsignor Francesco Traini» per la prevenzione dell’usura di San Benedetto del Tronto risponde di no. Dalle pagine del settimanale diocesano L’Ancora, con un documento che esprime totale opposizione alla realizzazione di un casinò nella città, l’associazione confuta gli asseriti effetti positivi del gioco d’azzardo (nuova occupazione, incentivo all’economia, riduzione della pressione fiscale e effetto-socialità) per sottolineare che la realtà è ben diversa. Intanto, si evidenzia che lo scommettitore «è solo nella sfida con se stesso» e punta sulla «supposizione di controllabilità» dell’evento, quale fattore che «scatena una attitudine al rischio. Ritentare diventa una spinta incontrollabile». Gli esiti di questa sfida alla sorte possono giungere fino all’estremo del suicidio, quando lo scommettitore si rende conto di aver portato se stesso e anche altri (i familiari) sul lastrico. Il documento mette anche in luce l’elemento spersonalizzante del gioco d’azzardo («l’individuo scommettitore assume un ruolo di passività, la sua soggettività scompare quasi del tutto dinanzi alla cecità della sorte»). Se si conta la ricaduta negativa dell’indebitamento da gioco, la possibilità che si avviino forme di riciclaggio, l’aumento della criminalità e la probabilità reale di ampliamento della platea dei giocatori, aprendo nuovi casinò e sale bingo secondo il documento si innescano rischi sociali e personali molto gravi che andrebbero considerati attentamente.E.C.La febbre del gioco