Toscana
Case e lavoro per tutti l’obiettivo di Fanfani
di Ennio Cicali
Un tetto e un lavoro è l’aspirazione di tutti alla fine della seconda guerra mondiale. La Toscana è uscita provatissima dalle operazioni belliche che per dieci mesi l’hanno trasformata in un campo di battaglia, distruggendo case, fabbriche e impianti pubblici. Tre i tipi di danni provocati dagli eventi bellici: bombardamenti aerei alleati; distruzioni dei tedeschi in ritirata; devastazioni causate dai prolungati combattimenti. Tra gli abitati distrutti in una o più zone sono Livorno, Pisa, Firenze, Massa, Arezzo, Pistoia, Pontedera e Prato. Distrutti o gravemente danneggiati figurano, tra gli altri, i comuni di Firenzuola (95 per cento), Dicomano, Porto S. Stefano (90 %), Aulla (96%), Montignoso (98%), Pontassieve (80%), Castelnuovo Garfagnana, Seravezza (100%). Disoccupazione ed emergenza abitativa sono tra i problemi più assillanti del dopoguerra, mentre l’Italia arranca per uscire dalla crisi. È in questa atmosfera che nasce il progetto di Amintore Fanfani (nella foto con La Pira), allora ministro del Lavoro e della Previdenza sociale del governo De Gasperi, sottosegretario è Giorgio La Pira. Fanfani elabora il suo progetto, turbato, come raccontarono i suoi più stretti collaboratori, «dalla visione del disagio di tante migliaia di disoccupati, colpiti non solo nel fisico per la mancanza del pane quotidiano ma anche nello spirito perché privati di un’occupazione come completamento della propria personalità».
Il «piano Fanfani» diventa legge il 28 febbraio 1949. L’obiettivo del governo è dare impulso all’attività edilizia, cercando di alleviare in questo modo la disoccupazione. Esso prevede la spesa di 15 miliardi di lire l’anno, per sette anni, da reperire attraverso prelievi sulle contribuzioni dei lavoratori, contributi versati dai datori di lavoro e l’intervento pubblico. Il progetto, che qualcuno vedrà come un eccellente volano di consenso e di voti, diventerà realtà in tempi brevissimi. Il 7 luglio 1949 si inaugura il primo cantiere, il 31 ottobre dello stesso anno ne sono in funzione 649, mentre settimanalmente saranno realizzati 2.800 alloggi e assegnate abitazioni a 560 famiglie.
Non a tutti il piano Fanfani piace. La Confindustria, dal canto suo propone il progetto proposto dal suo presidente Angelo Costa. L’atteggiamento della Cgil è duplice, da una parte si allinea alla posizione delle sinistre, Pci in testa, perché secondo loro grava sulle classi meno abbienti e non offre garanzie di equità nei criteri di assegnazione degli alloggi; dall’altra, la Cgil contribuisce alla elaborazione delle linee guida per lo sviluppo del progetto. Significativa da questo punto di vista la lettera di Amintore Fanfani alla Cgil nel giugno ’49. In essa si ringrazia per la collaborazione non pregiudiziale offerta dal sindacato e si assicura circa la bassa incidenza del contributo sulle retribuzioni dei lavoratori e sul potere di acquisto dei salari in caso di una sfavorevole congiuntura inflattiva.
Quattordici anni più tardi, quando il Piano Ina – Casa decadrà, i suoi 20 mila cantieri avranno impegnato «in occupazione stabile» 40 mila lavoratori edili all’anno. Dando vita a un universo di 1.920.000 vani, pari a 355 mila alloggi. Parte dal «piano Fanfani» l’obiettivo dei governi di allora, tutti a guida Dc, che si propone di dare un vano per abitante. L’aumento vorticoso della popolazione nei grandi centri urbani incentiva lo sforzo pubblico e privato sorretto da congrue facilitazioni dal 1949 al 1962 saranno costruiti 14 milioni di vani, con una media di 1.500.000 annui. Sarà l’edilizia il volano della ripresa economica che porterà l’Italia tra i paesi più industrializzati.