Vita Chiesa
Card. Betori: «Un Natale di speranza». No a referendum sulla moschea
Nella sua introduzione il Cardinale ha ripercorso gli avvenimenti principali dell’anno che si sta concludendo, caratterizzato dal grande Giubileo della Misericordia. «Abbiamo chiuso la porta del giubileo – ha ricordato con Papa Francesco – ma non si chiude la porta della misericordia». L’Arcivescovo ha poi sottolineato l’impegno della Chiesa fiorentina nel campo della carità concreta verso i fratelli che sono in condizioni di disagio o difficoltà. Ne è segno, ha detto, l’apertura del primo lotto della Casa della carità, a Novoli, «dono» che la città ha fatto a Papa Francesco per ringraziarlo della sua visita a Firenze nel novembre 2015. «Mi piace questo nome – ha chiosato – che fa risaltare la carità non come elemosina ma come relazioni e rapporti umani». Perché la vocazione caritativa e solidaristica ci appartiene, appartiene a Firenze. Lo vedo anche nelle parrocchie non c’è parrocchia in cui non ci siano forme caritative mentre le richieste di aiuto sono in aumento».
In questo anno Firenze ha anche ricordato i 50 anni dell’alluvione, evento al quale Betori si è sempre sentito particolarmente legato essendo lui uno di quegli «angeli del fango» che vennero in soccorso alla città. «Mi piace legare questa esperienza alla partecipazione del volontariato fiorentino per le terre terremotate – ha aggiunto -. Ricordo anche la vicinanza della Chiesa fiorentina e della Chiesa universale, con la presenza di Paolo VI nella notte di Natale di cinquant’anni fa. Un dono prezioso che ricorderemo nella Messa nella notte di Natale in cattedrale. In quell’occasione ci sarà anche il gonfalone del Comune che proprio da Paolo VI fu insignito dalla medaglia del Concilio».
Un pensiero è andato anche ai carcerati, alla loro condizione che ha potuto toccare con mano ancora una volta pochi giorni fa, celebrando la Messa in mezzo a loro. Quello che chiedono è «una pena che non sia punizione ma riattivazione dell’umano che c’è in tutti».
Più in generale, ha proseguito l’Arcivescovo, occorre «costruire rapporti basati sulla gratuità e sul dono invece che sul profitto. Rimettere al centro la persona umana in tutta la sua dignità; questo vale per i profughi ma anche per tutte le situazioni di fragilità perché non di tratta di togliere ad alcuni per dare ad altri come a volte si insinua».
«Firenze – questo il suo invito – deve essere una città che crea ponti, coesa al proprio interno. Non a caso il sindaco di Firenze era tra i sindaci chiamati in Vaticano per parlare di accoglienza». E su questo tema il discorso è andato alla recente Lettera natalizia dei vescovi toscani sull’accoglienza ai profughi e richiedenti asilo: occorre «creare percorsi di integrazione, non limitarsi a dare un tetto alle persone. Altrimenti creiamo disadattamento e preoccupazione. Creare percorsi di accoglienza vera, non solo rispondere ai bisogni materiali. Perché cuore e mente vanno nutriti come il corpo».
Con questa Lettera, ha spiegato, ancora, «ci siamo messi innanzitutto in linea con quella che è la preoccupazione del Santo Padre, che continuamente rilancia questa problematica delle persone che sono costrette a fuggire dalla loro patria per causa di guerre o di altre gravissime calamità. Noi constatiamo che molto si è fatto nella nostra regione, sia da parte delle istituzioni civili, sia da parte delle nostre comunità. Però siamo anche preoccupati perché il fenomeno sta diventando così strutturalmente significativo che fa intravedere bisogni sempre crescenti. E di fronte a bisogni sempre crescenti abbiamo bisogno quindi di ulteriore impegno e quindi un di più di impegno rispetto al tanto, molto, che già viene fatto».
Per quanto riguarda poi la minaccia terroristica, tornata purtroppo alla ribalta in questi giorni con l’attentato di Berlino, l’Arcivescovo ha rimarcato come il terrorismo utilizzi il messaggio religioso deformandolo. «Dobbiamo combatterlo per fermare le azioni delittuose. L’Italia sta facendo quello che è necessario. Allo stesso tempo dobbiamo però rimuovere le false motivazioni da cui il terrorismo prende spunto, l’idea di uno scontro tra civiltà, uno scontro tra le religioni. Una maggiore conoscenza e un maggior dialogo tra i popoli e le religioni è quanto di più abbiamo bisogno». E qui c’è un ruolo particolare per Firenze, la città di Giorgio La Pira, di cui nel 2017 ricorrono i 40 anni dalla morte. A Firenze – ha confessato Betori – «ho trovato una situazione di dialogo molto aperta sia sul tavolo delle istituzioni civili che, specificamente, tra le grandi religioni: cattolici e tutto il mondo cristiano insieme, e poi ebrei e musulmani. In questo dialogo mi sono accorto che vale il principio che più ci si conosce e più si abbattono le barriere che possono diventare fonte di incomprensioni e quindi causa di ostilità».
Da qui parole nette sull’esigenza della comunità musulmana di costruirsi un luogo di preghiera adatto. «Tra i diritti costituzionali di ciascuno c’è anche l’esercizio del culto, per cui non è da chiedersi se occorre fare una moschea, ma una moschea va fatta: va stabilito dove e come, ma il principio della libertà del culto dà diritto anche alla comunità islamica fiorentina di avere un proprio luogo in cui esercitare». Quello al culto «non è un diritto che può essere messo a votazione». Quindi «non esiste un referendum sulle moschee o sulle chiese cattoliche: ogni religione deve avere la possibilità di costruire luoghi di culto, secondo le condizioni con cui si costruiscono».
Le parole e i gesti di Papa Francesco stanno creando una divisione tra i cattolici? È stato chiesto da un giornalista. «Io sono un prete all’antica – ha risposto Betori -. Al Papa si obbedisce e basta. Poi che l’interpretazione delle parole di un papa faccia emergere sensibilità diverse è sempre esistito. Casomai oggi cambiano le modalità di comunicazione, basta un pretino che scrive su un social network» per creare un caso. In realtà Francesco «non sta muovendo la disciplina e la dottrina, ma sta muovendo la sensibilità pastorale». Ci ha ricordato di «partire dalla realtà anziché dalla dottrina». Nella Chiesa fiorentina, ha proseguito l’Arcivescovo, cerchiamo di seguire questa impostazione «partire dalla realtà prima che dalle idee, guardando alle condizioni di vita delle persone. Anche nella visita pastorale incontro le persone, i bambini, gli anziani, i malati… Tutto questo a partire da due istanze, fedeltà al Vangelo e alla Chiesa e creatività, per generare la novità del Vangelo tra la gente. In questo – ha proseguito – ci aiuterà il ricordo dei cinquant’anni dalla morte di don Milani» che cadono nel 2017. Dopo aver ricordato come – per sua iniziativa, subito raccolta da Bergoglio – si sia arrivati a togliere l’assurda proibizione del libro «Esperienze pastorali», Betori ha annunciato che presto parlerà con il Papa di questo anniversario e di come possa essere valorizzato anche a livello della Chiesa universale. Partirà anche un invito a venire a Firenze? «Al Papa – ha risposto Betori – non si chiede. Con lui si dialoga e si vede cosa viene fuori nel dialogo».
L’Arcivescovo ha poi annunciato che «la causa di beatificazione del cardinale Elia Dalla Costa ha fatto un passo avanti decisivo»: l’esame della Commissione teologica, infatti, «è stato superato» e «ora resta l’analisi ultima da parte della Congregazione dei Santi». L’arcivescovo fiorentino ha detto di sperare «in buone notizie» sulla causa del suo illustre predecessore «entro la prima metà del 2017», quando dovrebbe essere convocata la plenaria, «dopodiché sta al Santo Padre emanare o no un decreto di riconoscimento delle virtù eroiche che renderebbero il cardinale venerabile». Tempi più lunghi si prospettano invece per quella di Giorgio La Pira: i rallentamenti, ha spiegato, sono dovuti «alla ricchezza del materiale che quest’uomo ha lasciato. Speriamo il prossimo anno di concludere la parte di documentazione».
Infine l’augurio per un Natale di speranza: «Noi possiamo intravedere per ciascuno di noi, dentro di noi, innanzitutto, la forza per andare avanti. La nostra è una società che ha saputo nei secoli rinnovarsi e portare sempre qualcosa al mondo perché non potremmo essere anche oggi un avamposto, un’avanguardia, che è capace di aprire fronti nuovi di speranza per la nostra nazione e per tutto il mondo?».