Vescovi Toscani
Card. Betori, ricordo del cardinale Silvano Piovanelli
La liturgia della Chiesa consente che in questo momento della celebrazione delle esequie si faccia un ricordo della persona del defunto.
Voglio condividere con voi non tanto una ricostruzione dettagliata della vita del cardinale Piovanelli, quanto evidenziare alcuni aspetti della sua personalità di uomo, cristiano, sacerdote e vescovo che ritengo dobbiamo tenere ben fermi nella memoria e nel cuore come una preziosa eredità.
Prendo come riferimento i testamenti che il cardinale ha scritto e rivisto negli anni, nel desiderio che sia proprio lui a raccontarsi.
Nel testo del 1997 egli chiede «che non sia ricordata o celebrata la mia povera persona, se non per raccomandarla alla misericordia del Signore, che accoglie con benevolenza anche i più grandi peccatori». Non intendo disattendere questo invito: la misericordia del Signore perché accolga nelle sue braccia il cardinale Silvano l’abbiamo invocata nella Celebrazione eucaristica e lo faremo ancora tra poco nell’ultima raccomandazione; ora sento però il dovere di testimoniare le grandi cose che il Signore ha fatto in lui e grazie alla docilità con cui egli ha sempre vissuto secondo la sua volontà. Una comunità cristiana ha inoltre necessità per crescere di nutrire la propria memoria: la nostra identità si costruisce nella memoria delle opere di Dio tra noi, nella memoria delle vicende di un popolo che è il suo, nella memoria dei suoi testimoni. In questa memoria entra oggi il cammino umano e sacerdotale del cardinale Silvano Piovanelli; egli diventa parte della memoria e quindi dell’identità di questa Chiesa fiorentina.
Nato da una famiglia del popolo, una famiglia povera – e ai familiari nei suoi scritti testamentari riserva parole di particolare affetto e gratitudine –, il cardinale Silvano ha mantenuto per tutta la sua vita i tratti di una serena semplicità e di una sincera umiltà, che lo hanno reso vicino a tutti, grandi e piccoli, autorità e gente del popolo. La sua capacità di avvicinare tutti e di raggiungere ciascuno in un rapporto personale e vero è stata una modalità essenziale del suo essere uomo, cristiano e sacerdote, che molto ha influito sull’incisività della sua testimonianza evangelica e sull’efficacia del suo apostolato.
Uomo del popolo, il vescovo Silvano è stato concretamente uomo del popolo fiorentino, un’appartenenza di cui è andato sempre fiero; fiero delle sue origini mugellane – era nato a Ronta il 21 febbraio 1924 –, ma altrettanto felice di aver potuto condividere la vita di Rifredi, quartiere tra i più popolari della città di Firenze, nei primissimi anni del suo sacerdozio, accanto a don Giulio Facibeni, e, dopo alcuni anni di esperienza come educatore nel Seminario arcivescovile, lieto di essere stato in seguito inviato proposto a Castelfiorentino, uno dei centri più rappresentativi del nostro territorio, lasciando ovunque il ricordo di un prete vero, in dialogo con tutti, al servizio di tutti per la testimonianza del Vangelo.
Questa fiorentinità la lascia a noi, nei suoi testamenti, come un’eredità luminosa e impegnativa. Egli scrive: «Che continui il cammino del meraviglioso popolo fiorentino, da cui ho ricevuto tutto e a cui ho dato tutto, e risplenda nella vita della città la bellezza che è onorata dalla sua arte e dalla sua migliore tradizione storica, nell’attesa gioiosa che si manifesti senza veli la Bellezza suprema che ora contempliamo come in uno specchio e nel mistero» (1997) – «Io sono stato soltanto e sempre fiorentino. Il Signore mi ha tenuto soltanto a Firenze, dal Seminario […] fino all’Episcopato ed allora è chiaro che io voglio offrire la mia vita per questa città e per questa amata cara Diocesi. Che Firenze diventi quello che nella storia l’ha fatta città unica di bellezza, immagine così toccante della Gerusalemme celeste» (2016).
Si sente in queste parole l’eco di Giorgio La Pira. E questo mi porta a considerare un altro carattere distintivo della figura del cardinale Piovanelli: egli appartiene a una significativa costellazione di grandi fiorentini che hanno illuminato la nostra città, e non solo essa, nella seconda metà del secolo scorso. Tutti alimentati dal magistero di parola, di testimonianza e di guida del cardinale Elia Dalla Costa; legati da rapporti umani e spirituali che moltiplicavano l’efficacia della loro presenza nella Chiesa e nella società. Appartenevano al clero e al laicato, erano pastori e uomini impegnati nella vita civile, sociale e culturale. Solo per ricordarne alcuni, limitandomi a chi non è più tra noi e facendo torto a molti altri: gli arcivescovi Elia Dalla Costa, Ermenegildo Florit e Giovanni Benelli; preti come don Raffaele Bensi, don Giulio Facibeni, don Enrico Bartoletti – poi vescovo a Lucca e quindi segretario generale della C.E.I.–, don Lorenzo Milani, don Danilo Cubattoli, don Renzo Rossi, don Divo Barsotti, p. Ernesto Balducci, p. Gino Ciolini, p. Reginaldo Santilli, p. Davide Maria Turoldo; laici come Giorgio La Pira, Fioretta Mazzei, Nicola Pistelli, Gian Paolo Meucci, Pino Arpioni, Piero Bargellini, Mario Luzi. A questo nomi ben conosciuti del mondo cattolico fiorentino vanno poi aggiunte tante persone del cui incontro il cardinale si sentiva debitore, anche persone che non condividevano la fede cristiana. Tutti in questo momento si sentano amati da lui, che così ha scritto rivolgendo il suo grazie al Signore: «Grazie per quanti, presbiteri, religiosi e laici, uomini e donne, sono stati, per poco o a lungo, collaboratori generosi e pazienti del mio ministero e della mia persona! Grazie particolarissimo per quanti, fratelli e sorelle, in condizioni e situazioni di vita diverse, con la loro santità, sono stati per me un dolce stimolo ad amare di più! Grazie per le molte persone che ho incontrato da sacerdote e da vescovo, le quali, pur senza saperlo o addirittura negandolo, camminavano sulle vie di Dio, testimoniando l’azione misteriosa dello Spirito Santo!» (1997).
Nel mondo fiorentino il cardinale Silvano si è mosso con l’atteggiamento del fratello e insieme del padre. Anche questo mi sembra uno dei suoi caratteri più singolari: essere per tutti un fratello, senza però scadere in una familiarità che confonde i ruoli e azzera le responsabilità; essere per tutti un padre, senza che questo pesi sugli altri come predominio autoritario che schiaccia le persone. Fratello con tutti e padre per tutti. L’ho provato anche nei miei confronti fin dal mio primo incontro con lui nella Segreteria generale della C.E.I., dove allora mi occupavo della catechesi e da lui, Vicepresidente della Conferenza, ricevevo fiducia e incoraggiamento. Ha continuato ad essermi fratello una volta che sono giunto a Firenze, attento e discreto, mentre io l’ho sempre riconosciuto come un padre, a cui ricorrere per consiglio e sostegno, mai ricusati, sempre offerti con discrezione e mitezza. Ho gioito nel leggere queste parole nel suo testamento: «I miei successori Ennio e Giuseppe li porto nel cuore e particolarmente al mio Vescovo Giuseppe voglio consegnare queste parole, che sto dettando al mio segretario don Luigi, ribadendogli la mia fedeltà e il mio amore per la Chiesa Fiorentina a lui affidata» (2016).
In queste parole emerge un’altra dimensione della personalità del cardinale Piovanelli, che merita anch’essa di essere ricordata: la sua profonda ecclesialità. Egli si è sempre sentito nella continuità del servizio episcopale della nostra Arcidiocesi e nell’abbraccio della comunione della Chiesa universale. Attingo ancora alle sue parole: «Non posso non ricordare in questo momento il venerato Card. Elia Dalla Costa, che mi ha accolto in Seminario e mi ha ordinato sacerdote e che è stato per la mia vita un testimone dell’assoluto della fede pura e profonda. Insieme a lui ricordo il caro Card. Ermenegildo Florit che mi ha fatto fare l’esperienza esaltante della parrocchia che è stata per me la scuola per la Parola di Dio e per l’accoglienza, l’accompagnamento e la condivisione della vita di tanta gente. Non posso poi dimenticare il dono che il Signore ha fatto alla mia vita facendomi incontrare nei dieci anni da vicerettore in Seminario Mons. Enrico Bartoletti e poi la grazia di essere stato collaboratore di Mons. Giulio Facibeni. Il Card. Giovanni Benelli lo porto particolarmente nel mio cuore, lui che mi volle al suo fianco come Vicario e come Vescovo Ausiliare, facendomi fare, al suo fianco, un’altra esperienza esaltante, quella della visita pastorale. E ancora il Santo Papa Giovanni Paolo II che mi donò la sua amicizia e il suo fraterno conforto quando, nonostante la mia indegnità e le mie obiezioni, fortemente volle che diventassi Vescovo di questa amata Diocesi Fiorentina e poi mi annoverò nel Collegio Cardinalizio; quanti fratelli Vescovi e Cardinali defunti stanno scorrendo nella mia mente in questi momenti, tanti fratelli ed amici! Desidero confermare il mio profondo attaccamento alla Sede Apostolica: il caro Papa Emerito Benedetto e il caro, amato Papa Francesco, che in diverse occasioni mi ha dimostrato la sua amicizia e che proprio in questi giorni mi ha ribadito personalmente la sua affettuosa vicinanza» (2016). Il legame con il Papa è stato da questi intensamente ricambiato, con evidenti gesti di affetto nella cappella di Santa Marta e in questa cattedrale e con parole di stima come quelle contenute nel telegramma che mi ha inviato, espressioni in cui egli coglie il segreto dell’azione pastorale del cardinale affermando che «ha servito con gioia e sapienza il vangelo e ha amato tenacemente la Chiesa». Come pure ricambiato fu il rapporto con i confratelli Vescovi, quelli toscani che lo vollero loro Presidente nella Conferenza episcopale regionale dal 1985 al 2001, praticamente sempre durante il suo episcopato, e quelli italiani che lo elessero Vicepresidente della C.E.I. dal 1990 al 1995.
Ma la Chiesa per il cardinale Silvano non sono soltanto i Vescovi e i Papi. Abbiamo ricordato il suo grazie verso quanti, preti e laici, egli ha sentito come fratelli e sorelle nel cammino della fede. Particolarmente toccanti sono le parole rivolte ai giovani nel testamento del 1997, scritto a Parigi, «all’ombra di Nôtre Dame», durante la Giornata Mondiale della Gioventù: «Raccolgo in una mano i giovani e le giovani che sono il domani, benedetto da Dio, della nostra Chiesa e del nostro mondo; nell’altra mano stringo con affetto e con gioia i seminaristi e tutte le vocazioni di speciale consacrazione e mi metto sotto il manto di santa Maria, sapendo che nessuno meglio di Lei potrà presentarci a Gesù il Cristo, il quale dalla croce l’ha voluta nostra madre».
Non meno bello e ricco è stato il suo rapporto con i nostri sacerdoti, sempre accolti, sempre compresi, sempre sostenuti e incoraggiati. Particolarmente affettuose e impegnative sono le parole rivolte ai sacerdoti nel testamento di un mese fa: «Desidero, anzi voglio, che la mia esistenza sia Eucaristia: ringraziamento per tutti, a cominciare dai sacerdoti a cui ho sempre voluto bene; a tutti, senza lasciar da parte nessuno. Ai sacerdoti fiorentini vorrei dare un abbraccio, ai singoli, dal caro Vescovo Giuseppe mio successore fino all’ultimo ordinato, ringraziandoli per quello che fanno e hanno fatto per il popolo di Dio. Vi dico: crescete nell’amore verso Gesù Cristo e verso i poveri, i malati, i piccoli, gli ultimi. E vogliatevi bene tra di voi. Non dimenticate mai quello che il Signore ha detto attraverso l’Apostolo Giovanni: «Amatevi come io vi ho amato». Offro la mia vita perché il sacerdozio ministeriale sia vissuto proprio come un generoso, totale, entusiasta dono di sé al popolo di Dio, il popolo che il Signore ci ha affidato» (2016). A queste parole aggiungo quelle mi ha detto, quando gli ho chiesto di benedire me e il nostro clero: «Di’ ai nostri preti di vivere sempre con gioia il loro sacerdozio». Così egli ha vissuto il suo sacerdozio, sentendosi fino all’ultimo parte del presbiterio fiorentino: il suo ultimo testamento porta la firma di «Silvano card. Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze», ma, prima ancora, «prete fiorentino». Sentiamone sempre la presenza tra noi, misteriosa ma non meno reale. Illumini e orienti la nostra identità, preti fiorentini!
Un’ultima annotazione per completare questo ricordo del carissimo cardinale Silvano. Da dove trae alimento questa esemplare figura di pastore? La risposta è a tutti nota: una profonda vita spirituale, in una chiara tensione contemplativa, fondata su un sicuro riferimento biblico. La sua dedizione alla lettura e alla meditazione della parola di Dio l’ha voluta condividere con tutta la comunità diocesana, promuovendo il contatto diretto di tutti, clero e laici, con il testo biblico: è stato il frutto più importante e duraturo di un Sinodo diocesano, evento storico della Chiesa fiorentina, celebrato tra il 1988 e il 1992. E alle indicazioni del Sinodo ha fatto seguito da parte sua l’offerta continua di una lectio divina a cui si sono nutriti in questi anni tanti nostri preti. A questa radice biblica e contemplativa affido la mia Chiesa, perché la lezione di vita del nostro amato cardinale continui a generare frutti tra noi.
Ti salutiamo amato fratello e padre Silvano, prete buono, come tutti ti abbiamo riconosciuto; buono nel senso pieno di questa parola; prete cioè povero e umile, afflitto per il peccato del mondo, mite e dolce, con il desiderio di compiere sempre la volontà divina, uomo di misericordia, cuore e mente conformi al cuore e alla mente di Dio, promotore di comunione e di pace, fedele nelle avversità patite a causa del Vangelo. Uomo buono, uomo delle beatitudini, non ti dimenticare di noi quando incontrerai il tuo e nostro Signore, a cui ora ti affidiamo. Fratello e padre Silvano, va’ nella pace.