Firenze

Card. Betori: migrazioni, «accogliere e allargare le forme di protezione internazionale». Una «prospettiva balducciana»

«Non abbiamo infatti di fronte semplicemente una questione di emergenza contingente, che chiede – ha detto Betori – interventi di accoglienza, ma abbiamo piuttosto dinanzi a noi una serie di scelte connesse all’atteggiamento con cui collocarsi rispetto al futuro comune dell’umanità. In questo senso, se correttamente governate, anche a fronte del sensibile calo demografico dell’Europa, le migrazioni divengono, nel generale contesto della mobilità umana fattore trainante per la crescita culturale, sociale ed economica». Secondo il porporato «occorre dare un’ospitalità degna della persona umana a chi giunge da altri Paesi dopo lunghi e tormentati percorsi, in cui hanno messo in gioco la propria vita, e occorre anche saper ascoltare queste persone, che tanto hanno da insegnare proprio a partire dai disagi vissuti: c’è una sapienza della vita che è componente fondamentale della crescita di una cultura e di una società».

È inoltre necessario «accompagnare con percorsi di integrazione, di formazione e di opportunità di lavoro quanti accogliamo tra noi, a prescindere dal fatto che esse restino stabilmente in Italia o che vi rimangano solo per un periodo». Indicando l’orizzonte europeo per affrontare la questione, l’arcivescovo di Firenze ha dichiarato: «Abbiano la necessità – l’Italia e l’Europa – di ripensare la ‘casa comune’ a tutela di un diritto fondamentale, il diritto alla protezione internazionale, il diritto ad essere accolti. Il Papa, nell’appello di settembre 2015, ha chiesto di accogliere sia chi fugge dalla guerra sia chi scappa per fame. È necessario, per questo, allargare le forme di protezione internazionale. Non basta più il solo diritto d’asilo; c’è bisogno anche del diritto alla protezione e al riconoscimento di altri soggetti che non possono vivere nel proprio Paese, perché lì non hanno alcuna tutela, non hanno accesso a ciò che è indispensabile per la sopravvivenza, o sono gli schiavi e le schiave del nostro tempo».