Vescovi Toscani

Card. Betori, Lettera pasquale 2014

Carissime e carissimi,

anche quest’anno accompagno la visita che i parroci e i loro collaboratori fanno nelle case, per portare la benedizione del Signore, con alcune parole, che vogliono essere di incoraggiamento e di orientamento per la vita delle famiglie, alla luce del cammino della Chiesa e delle vicende della società.

Sono momenti non facili, sotto diversi aspetti. C’è il rischio di perdere la fiducia. Proprio sulle famiglie si abbatte con particolare durezza la crisi economica e sociale che grava sul nostro Paese. Siamo in molti ad essere convinti che il problema non è solo economico e neppure soltanto sociale: al fondo c’è un disorientamento grave delle persone e delle istituzioni da un orizzonte condiviso capace di dare fondamento a una vita buona. Qui entra in gioco l’esperienza della fede.

Per chi crede, si tratta di porsi sul cammino in cui ci ha preceduti Maria. Ci illumina in particolare la sua vita nel momento dell’Annunciazione, ben raffigurata dal nostro Beato Angelico. Maria diventa la Madre di Gesù perché accetta l’iniziativa di Dio. La sua scelta contribuisce a realizzare l’Incarnazione, un cambiamento davvero decisivo per tutto il mondo. È guardando proprio alla vicenda di Gesù che Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, ci invita sin dalle prime righe a vincere con la «gioia del vangelo» la «tristezza individualista» (EG, 2). Solo accettando l’incontro con la persona di Gesù e affidandoci alla sua parola, diventiamo capaci di guardare con occhi diversi la realtà, di immaginare un futuro diverso. Anche questo parte dal Signore: «Gesù Cristo… ci sorprende con la sua costante creatività divina» (EG, 11).

Se vogliamo essere accoglienti verso questo agire di Dio, dobbiamo a nostra volta impegnarci con la stessa creatività. Per questo vi invito alla speranza, la virtù che Charles Péguy definiva “bambina”: la speranza è l’apertura al futuro, la premessa perché il futuro possa essere generato; non solo costruito o progettato, ma generato con l’aiuto di una grazia che viene dalla parola di Dio.

La speranza è come i bambini, che non ne hanno mai abbastanza, che vogliono ancora andare avanti e gioire della vita. Per questo guardo a loro, ai vostri figli, con particolare affetto. Sono per noi l’incarnazione della speranza: non la realizzazione dei nostri progetti, non la soddisfazione delle nostre ansie, ma l’apertura del nostro desiderio a un futuro che non c’è ma che – speriamo – saremo capaci di generare per loro, insieme a loro.

Accanto ai bambini guardo ai nonni: quando sono vicini, riescono a dare tenerezza e profondità all’esperienza dei loro nipoti. Possiamo generare il futuro solo a partire da una storia, una memoria che ci narra il passato, la tradizione in cui viviamo.

Ecco il segreto della difficile arte del genitore: guardare al futuro senza voler esserne padroni, custodire il passato senza esserne schiavi. Quanti riescono in questa impresa, scoprono che la rinuncia al possesso – del passato come del futuro – dona un presente senza solitudine e ci fa riscoprire una famiglia ricca, che raccoglie in sé generazioni diverse e ci aiuta a non bloccarci nei rituali, a non inaridirci nel consumo e nella noia.

La famiglia diventa un luogo per resistere allo sradicamento che affligge il mondo d’oggi. In famiglia siamo “a casa”, un luogo dove ragioniamo e manifestiamo affetto. In una famiglia sana la ragione e il cuore, la giustizia e la tenerezza insieme contribuiscono a creare un ambiente adatto per la generazione e la crescita. Si tratta di un riferimento essenziale in un tempo dominato dallo sradicamento, e dal relativismo.

Lo sradicamento significa non avere un luogo che si considera come casa propria, il che si collega al non essere più capaci di scandire il tempo. La nostra esistenza vive in un presente fatuo, all’insegna del “perché no?”, del non avere più regole nell’illusione che il capriccio sia la cifra della libertà. Eppure non è questa la libertà per cui – anche nella nostra città – uomini e donne si sono battuti: essa si è svilita diventando il tentennare di chi non sa mai che cosa conti nella vita, perché non sa decidersi.

Lo sradicamento nasce dalla discontinuità che attraversa la nostra cultura e la nostra vita. La storia che ci ha segnato negli ultimi decenni appare erosa da piccole e grandi fratture: è difficile ricostruire un percorso comune, tanto che potrebbe sembrare che quanto è successo prima appartenga a un altro mondo.

Tutto ciò è accompagnato, in un gioco di rimandi reciproci, dal progressivo sfaldamento delle certezze, che ormai non riguarda più le posizioni di parte, ma soprattutto le convinzioni di fondo, sia etiche sia politiche in senso ampio. A volte sembra di non poter venire a capo di nulla, di essere costretti a scegliere senza alcun criterio possibile, tanto “ciascuno ha la sua verità”, un’osservazione che una volta avrebbe al massimo accompagnato le discussioni sui rigori dal barbiere.

Sono queste le sfide che gli educatori devono combattere, non solo in famiglia. La famiglia ha bisogno di alleati, prima fra tutti la scuola. Quanto detto per la famiglia può infatti essere anche applicato alla scuola, che oggi conosce una profonda crisi di valore. Se i fondi per la scuola – come per la famiglia – calano, se ci si preoccupa di questioni senza sostanza che riguardano pochi invece di preoccuparsi dei problemi di molti, di tutti, è perché per tutti noi famiglia e scuola sono date per scontate, oppure sono ritenute ormai superate. Ma non è così: non possiamo permetterci di guardare alla scuola come a qualcosa di secondario, cadendo nella trappola mediatica per cui si parla solo di ciò che è “notiziabile”, di ciò che rappresenta una differenza rispetto a ieri oppure un conflitto. Nell’incessante ripetersi di notizie superficialmente differenti, i mezzi di comunicazione rischiano di ripetere uno scenario fisso e inamovibile, che ci impedisce uno sguardo davvero critico sulla realtà.

Occorre un’alleanza educativa, a due livelli. Anzitutto un’alleanza tra famiglia e scuola, che superi il confronto tra la stanca demotivazione degli insegnanti e il narcisismo iperprotettivo dei genitori, in favore di una collaborazione a far crescere i figli: una volta gli alunni avevano paura di portare un brutto voto a casa, perché i genitori avrebbero preso la parte dei professori (e viceversa); oggi è più probabile il contrario. Un’alleanza tra scuola e famiglia favorirebbe la compartecipazione delle due figure di educatori, i genitori e gli insegnanti.

Inoltre sarebbe opportuna un’alleanza, un patto che coinvolga le scuole tra loro e con le istituzioni. Invece di considerare gli altri istituti come concorrenti, essi possono essere partner; invece di pensare che i soldi spesi nella scuola siano buttati via, occorre investirli meglio perché sono il modo migliore, insieme ai fondi per la famiglia, per garantire un futuro al nostro Paese. La scuola è la prima comunità in cui si apprende l’arte dell’amicizia civile, l’appartenenza a un gruppo più vasto di quello familiare: se una simile esperienza avviene nel degrado e nel disinteresse, quello che viene seminato verrà raccolto tra anni sotto forma di disagio, rabbia, sfiducia.

Per questo la Chiesa in Italia ha scelto, nel maggio 2013, di organizzare un laboratorio nazionale su scuola, famiglia e giovani, intitolato La Chiesa per la scuola (con i contributi principali nell’omonimo volumetto pubblicato da EDB, Bologna 2013). Il titolo dice l’interesse della Chiesa per la scuola, per tutta la scuola, come una questione fondamentale per il popolo italiano: la scuola fa parte del bene comune. Abbiamo bisogno di una scuola che realizzi quanto previsto dalla legge già dal 2000, che cioè dia effettiva autonomia alle scuole gestite dallo Stato ed effettiva parità alle scuole gestite dalla Chiesa e da altri soggetti della società civile. Ne va della garanzia di un valore irrinunciabile, quello della libertà. Il nostro popolo, i nostri figli hanno bisogno di una scuola che li accolga, che sappia soddisfare il loro bisogno di ordine e di autorità senza rinunciare a uno sguardo pieno di tenerezza. I cattolici vogliono offrire il proprio contributo, in forma sia personale sia istituzionale, in particolare con la presenza nella scuola statale e attraverso l’offerta formativa proposta dalle scuole cattoliche.

Il laboratorio nazionale è stato il punto di partenza per un percorso di sensibilizzazione e di mobilitazione sui temi della scuola, che prosegue con altre iniziative. La prossima tappa nazionale è un grande incontro con Papa Francesco, che si terrà a Roma, in Piazza San Pietro, il 10 maggio prossimo. Sarà l’occasione per vivere gioiosamente insieme questa nostra attenzione: il popolo di Dio che incontra il Papa mettendo a tema il bene di tutti che è la scuola. Vi invito tutti a questo appuntamento, per rilanciare davanti a tutti la questione della scuola come passaggio decisivo dell’interesse per la questione educativa nella nostra società.

Senza impegno educativo non c’è futuro per il nostro popolo. Senza scuole – statali e paritarie insieme – all’altezza del proprio compito non si dà efficace educazione. Senza un’alleanza tra famiglie e scuola, questa diventa un territorio di nessuno e ne soffre la crescita dei nostri figli. Senza un sostegno delle istituzioni pubbliche a tutto il sistema scolastico, si aprono scenari di diseguaglianze e tutta la società ne soffre. Senza una salda visione della persona umana, della sua dignità e della vocazione sociale, l’educazione rischia di costruire sul vuoto o addirittura di generare degrado.

Il compito di fronte a noi non è da poco: ci sostengano coraggio e speranza. È la Pasqua di Gesù a dare fondamento a tali atteggiamenti: egli che con la sua risurrezione ha vinto la morte, può sostenere ogni rinnovamento di cui ciascuno di noi e la società nel complesso ha bisogno. La presenza del Risorto tra noi è la certezza che la fede ci dona e poterne fare esperienza è quanto auguro in questa Pasqua per ogni famiglia, accompagnandone il cammino con la benedizione che per tutti invoco dal Signore.

 

Giuseppe card. BetoriArcivescovo di Firenze