Vescovi Toscani

Card. Antonelli, omelia per San Giovanni (2008)

Publichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal card. Ennio Antonelli, amministratore apostolico di Firenze, martedì 24 giugno 2008, durante la solenne concelebrazione in Cattedrale per la festa di San Giovanni Battista, patrono di Firenze. E’ stata anche l’occasione per il saluto alla diocesi del Cardinale nominato da Benedetto XVI, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

1] Celebriamo la solennità di San Giovanni Battista, patrono di Firenze, al quale è dedicato il Battistero, centro urbanistico, storico e religioso della città, “il mio bel San Giovanni” come lo chiama Dante.

Quest’anno alla solennità si aggiunge una nota particolare, il mio congedo ufficiale dalla città e dalla diocesi di Firenze dopo sette anni di ministero episcopale. E’ per me il momento di rendere grazie pubblicamente a Dio per il bene che, nonostante la mia debolezza, ha voluto compiere attraverso di me e per il bene che ha voluto donare a me attraverso di voi.

Mi rivolgo innanzitutto con un ideale abbraccio, di grande affetto e gratitudine, al Card. Silvano Piovanelli mio predecessore e consigliere sempre affabile, delicato e saggio; a Mons. Claudio Maniago, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale, mio primo collaboratore, sollecito, generoso, intelligente, instancabile; ai fratelli Vescovi della Conferenza Episcopale Toscana, servitori appassionati del Signore e della Chiesa e nello stesso tempo attenti alla società civile, al vissuto concreto della gente, al bene comune del nostro popolo.

Un “Grazie” e un saluto di rispetto, di stima, di amicizia alle autorità civili e militari con le quali in questi anni ho avuto rapporti sereni e costruttivi. Il Signore dia loro luce ed energia per discernere e attuare sempre il vero bene della società.

Un grazie caloroso ai fratelli delle altre confessioni cristiane e agli amici delle altre religioni, con i quali abbiamo avuto un dialogo desideroso di verità, animato da rispetto e amore reciproco, proficuo per la pacifica convivenza civile.

Grazie ai presbiteri diocesani e religiosi, vere strutture portanti della nostra Chiesa fiorentina, vicini alla gente, partecipi delle sue gioie e sofferenze, dei suoi desideri e timori, impegnati in un lavoro difficile, spesso eccessivo e a volte umanamente poco gratificante. Mi congratulo in modo speciale con quelli che celebrano oggi gli anniversari della loro ordinazione: sei di loro il venticinquesimo, otto il cinquantesimo, otto il sessantesimo, quattro il sessantacinquesimo, tre il settantesimo. A questi e a tutti gli altri ogni bene dal Signore; e da parte mia e della diocesi simpatia, amicizia e profonda riconoscenza.

Grazie ai diaconi, la cui presenza nelle nostre comunità sta diventando sempre più familiare, apprezzata e desiderata: essi sono in rapida crescita numerica e costituiscono un dono prezioso per il presente e una bella speranza per il futuro.

Grazie alle religiose, che impersonano l’amore sponsale della nostra Chiesa per il Signore Gesù. Sebbene siano in forte calo numerico, sono ancora assai numerose e contribuiscono silenziosamente, ma efficacemente, a edificare la comunità cristiana con la preghiera, la testimonianza, i numerosi servizi educativi, caritativi e pastorali.

Grazie ai molti cristiani laici impegnati nelle attività delle nostre parrocchie e nelle aggregazioni ecclesiali: sono le minoranze che con fede salda, senso di responsabilità e spirito di sacrificio servono e animano tutto il popolo cristiano.

Infine il mio ricordo va alla gente, alle tante persone che ho incontrato, nelle celebrazioni, nelle assemblee, nella visita pastorale: bambini, spontanei, festosi, sempre pronti a fare domande; ragazzi e giovani, aperti alla fede e ai valori umani, a volte incerti e disorientati; sposi, desiderosi di costruire reti di amicizia e solidarietà con altre famiglie e di essere aiutati nell’educazione dei figli; anziani pieni di fede e di saggezza; malati duramente provati, eppure sereni e in pace con se stessi e con Dio; protagonisti nascosti di testimonianze ed esperienze commoventi di carità verso il prossimo; operatori di iniziative di volontariato e di solidarietà anche a livello internazionale; popolazioni affezionate ai loro sacerdoti; folle felici di incontrare il loro Vescovo, di incrociare con lui lo sguardo e il sorriso. Questi ed altri tratti disegnano nella mia memoria l’immagine che porto con me della Chiesa e del popolo fiorentino, immagine bella, nonostante le ombre che non mancano mai nelle cose umane, immagine in sintonia con le bellezze artistiche della città e del territorio.

2] Giovanni Battista è il precursore di Cristo, mandato a preparargli la strada. Nella seconda lettura abbiamo ascoltato: “Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo di Israele”; aveva svolto la sua missione, sapendo stare al proprio posto e avendo di sé un’umile considerazione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali” (At 13,24-25).

Da quando sono stato ordinato Vescovo nella festa del Martirio di San Giovanni Battista, il 29 agosto 1982, ho cominciato ad avere una speciale devozione per questo santo, devozione che poi si è intensificata qui a Firenze. Mi sono abituato a vedere una certa somiglianza tra la sua missione e quella dei Vescovi e dei sacerdoti, mandati anch’essi a preparare la strada a Cristo e a indicare la sua presenza nel mondo, anzi mandati ad essere essi stessi segno e mediazione della sua presenza di pastore, immagine viva di lui per trasmettere la sua verità, la sua grazia, il suo amore. Per questo motivo ho tante volte sottolineato la grande importanza dei sacerdoti per la Chiesa e per il mondo, anzi la necessità; ho raccomandato insistentemente di chiederli con la preghiera: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe! (Mt 9,37-38). E dobbiamo ringraziare il Signore perché ci ha ascoltato: in questi sette anni ci ha dato 35 nuovi sacerdoti e 29 seminaristi, ai quali il prossimo anno si aggiungeranno altri ancora. Inoltre, come prezioso aiuto al Vescovo e ai Sacerdoti, ci ha dato ben 27 nuovi diaconi.

Anch’io, per quanto ho potuto, ho cercato come Giovanni Battista non solo di annunciare Cristo, ma di additarlo presente. Ho posto l’accento non sull’iniziatore del cristianesimo, lontano da noi duemila anni, ma sul Signore Crocifisso e Risorto, vivente e presente, nostro Salvatore e non solo maestro e modello sublime di umanità. Ho ripetuto innumerevoli volte la sua solenne promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). E ho messo in evidenza che egli mantiene la promessa e ci dà, lungo tutto il corso della storia della Chiesa dalle origini ai nostri giorni, segni oggettivi, quasi trasparenti, della sua presenza, quali i santi eroici e i fatti miracolosi, oltre la perenne attualità e inesauribile fecondità del Vangelo in ogni popolo e cultura.

3] Nella prospettiva di Cristo presente nella storia e nella nostra vita personale ho svolto i temi ricorrenti del mio magistero episcopale.

Della Chiesa ho offerto una visione sacramentale e comunionale. La Chiesa, visibilità dell’invisibile, segno e mediazione della presenza salvifica di Cristo, immensa famiglia riunita da lui intorno a sé con la comunicazione del suo Spirito. I cristiani, malgrado i loro limiti, errori e peccati, scelti da lui come suoi discepoli, fratelli e collaboratori, da lui amati come parte di se stesso, accolti come membra del suo corpo, di pari dignità e comune partecipazione alla missione, ma con carismi e compiti diversi. La fede come un sentirsi accompagnati da Cristo, un abituarsi a vivere con lui come se lo si vedesse con gli occhi, un metterlo al centro e non relegarlo sullo sfondo.

Un giorno ero a colloquio con don Divo Barsotti, il grande mistico fiorentino recentemente scomparso. Si parlava di alcuni cristiani impegnati nel sociale per l’attuazione di alcuni valori umani importanti e conformi al Vangelo. Con mia sorpresa vidi due rivoli di lacrime scendergli dagli occhi e solcargli il viso, e lo sentii dire: “Sì, ma non amano Gesù Cristo”. Per me fu una sconvolgente testimonianza di quello che già sapevo, del fatto che nel cristianesimo è decisiva la persona stessa di Cristo, più ancora del suo insegnamento. E’ dal vivere con Cristo che scaturiscono la gioia di essere Chiesa, il coraggio di essere e mostrarci cristiani, l’umiltà di riconoscersi peccatori senza perdere la fiducia, l’energia e l’orientamento per impegnarsi nel mondo, con sacrificio e con perseveranza, a favore della dignità di ogni persona, dei diritti umani fondamentali, della famiglia, dello sviluppo solidale, della cultura e della scienza, e perfino di una società sanamente laica.

A motivo della centralità di Cristo ho ribadito continuamente la necessità per i cristiani della Messa della domenica. Un dono più che un dovere; il nutrimento della Parola e dell’Eucaristia per poter vivere come fratelli di Cristo e figli di Dio. Non è possibile essere cristiani senza la Messa, perché non è possibile essere cristiani senza Cristo. E’ lui che ci convoca, ci rivolge la parola, ci ripresenta il suo sacrificio pasquale, ci unisce a sé e tra noi comunicandoci lo Spirito Santo, ci manda in missione con energia e gioia rinnovata in tutti gli ambienti del vivere quotidiano.

In base alla comunione con Cristo ho poi costantemente motivato la vocazione e la responsabilità missionaria di tutti i cristiani, anche dei laici. Aderire a Cristo significa anche condividere il suo amore appassionato per tutti gli uomini. Ed essere missionari, secondo la bella formula suggerita dal Concilio Vaticano II, è “rivelare e comunicare la carità di Dio (e di Cristo) a tutti gli uomini e a tutte le genti” (Ad Gentes, 10). Collocandomi su questa linea, ho esortato incessantemente i fedeli a farsi portatori dell’amore di Cristo con gli atteggiamenti, le parole e le opere. Spesso ho fatto riferimento a Madre Teresa di Calcutta, fondatrice delle Missionarie della Carità, citando anche le sue espressioni incisive e forti, come questa esortazione: “Lasciate che Cristo guardi con i vostri occhi, parli con la vostra lingua, lavori con le vostre mani, cammini con i vostri piedi, pensi con la vostra mente e ami con il vostro cuore”. Evangelizzare è dunque irradiare la presenza di Cristo con la nostra vita. E lo spazio privilegiato è il vissuto ordinario che non fa notizia, che non arriva ai giornali e in televisione: famiglia, vicinato, parentela, scuola, lavoro, ospedale, rete degli amici, incontri occasionali. Per questo nella pastorale non do importanza alle parole e ai gesti che servono soprattutto ad avere risonanza mediatica, e neppure ai cosiddetti grandi eventi, pur utili e opportuni qualche volta. Per questo, pur apprezzando e praticando il serio discernimento comunitario, non indulgo alle discussioni sterili e fine a se stesse. La Chiesa, come affermava Paolo VI, “Esiste per evangelizzare” (Evangelii Nuntiandi, 14), cioè per ascoltare e vivere la parola di Dio e per trasmetterla a tutti.

In ordine all’evangelizzazione sul territorio, ho cercato di concentrare l’attenzione della Chiesa fiorentina sulla necessità di intensificare i rapporti tra parrocchia e famiglia, con l’indicazione di obiettivi, piste pastorali, iniziative e suggerimenti concreti, secondo due dinamiche: “convocare le famiglie e andare alle famiglie”.

In ordine all’evangelizzazione in un orizzonte universale, ho cercato di tenere desta la responsabilità della nostra diocesi, accogliendo seminaristi e sacerdoti studenti dai paesi poveri, sostenendo le nostre missioni in America Latina e in Africa, inviando in missione i sacerdoti disponibili, incoraggiando gemellaggi e visite di cooperazione tra le Chiese e compiendo io stesso vari viaggi.

Consapevole che la promozione umana è parte integrante dell’evangelizzazione non solo nei paesi poveri ma ovunque, ho incoraggiato la crescita delle Caritas parrocchiali e anche la nascita di laboratori di impegno socioculturale, per trattare i problemi concreti del territorio alla luce della dottrina sociale della Chiesa. Purtroppo quest’ultima proposta ha avuto un certo successo solo in uno o due vicariati. Auguro comunque al popolo fiorentino di rimanere ancorato alle radici cristiane della sua cultura umanistica e di camminare più concorde e creativo sulle vie dello sviluppo e del bene comune.

[4] Chiamato dal Santo Padre Benedetto XVI a presiedere il Pontificio Consiglio per la Famiglia, vado a Roma portando nel mio cuore e nella mia preghiera questo popolo e questa Chiesa fiorentina. Accompagnatemi anche voi con il sostegno dell’amicizia e della preghiera. Avverto un’enorme sproporzione tra le mie forze e il compito affidatomi; non ho fatto studi specifici sulla famiglia e non ho un’esperienza internazionale. Eppure vado con fiducia. So che per molti aspetti la famiglia è in crisi; ma so anche che essa costituisce a tutt’oggi un ideale molto sentito tra gli stessi giovani. Soprattutto so che a Cana di Galilea il Signore Gesù, per intercessione di Maria, ha cambiato l’acqua in vino e ha salvato la festa di nozze.