Opinioni & Commenti

Carceri, il silenzio della politica

di Umberto SantarelliNei giorni precedenti la visita del Papa al Parlamento italiano l’attesa era grande per le cose che avrebbe detto e per il tono che avrebbe usato. I pochi che erano in pensiero per la laicità dello Stato e i pochissimi che non parteciparono alla riunione per restar fedeli a loro private memorie parvero gente che veniva da un altro mondo.Su una cosa eran tutti d’accordo: il Papa avrebbe parlato ancora di clemenza per i reclusi. Lo aveva già fatto durante del Giubileo, rimanendo inascoltato. Era più che probabile una sua insistenza.

L’insistenza ci fu; espressa in modo rispettosissimo dell’autonomia dello Stato, giacché, come cattolici e laici scrissero nella Costituzione, «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Nella prospettiva della solidarietà e delle ragioni della sicurezza, il Papa rammentò che «merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso affollamento» e aggiunse solamente che «una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità». Non indicò soluzioni che non spettavano a lui; parlò da vescovo, non da politico; indicò un valore da tutti condivisibile, non suggerì nulla a nessuno. Tutti applaudirono, e alla fine fecero tutti festa a un Papa che non dimostrava nessuna nostalgia per un passato remoto a cui non pensa più nessuno. Finita la cerimonia, spentasi l’eco dei molti e quasi unanimi applausi, i più stanno facendo finta che non sia successo nulla, tornando quatti quatti al piccolo cabotaggio delle polemiche fatte di slogan, ai giochi di parole senza senso, dimostrandosi preoccupati solamente di fare un po’ di chiasso intorno a sé e ai loro amici. Non mi pare un grande spettacolo.

Se gli applausi rischiano di coprire le parole (G. Savagnone)

Il Papa in Parlamento: clemenza per i detenuti