Toscana
Carceri, assistenza religiosa aperta a tutte le confessioni
La conferenza faceva parte di un ciclo di tre lezioni promosse dallo Sportello per i diritti umani di Pisa. Vi hanno partecipato monsignor Giorgio Caniato, ispettore delle cappellanie nelle carceri, don Roberto Filippini, cappellano della casa circondariale «Don Bosco» di Pisa e il professor Pierluigi Consorti, direttore dello Sportello per i diritti umani di Pisa. Il professor Cardia, che ha fatto parte della commissione di studio per la revisione del Concordato fra lo Stato e la Chiesa cattolica, e ora di quella per la riforma della legge sulle cappellanie, ha sottolineato come in passato il cappellano faceva parte di un consiglio di disciplina e per il detenuto vi fosse l’obbligo di seguire le funzioni e i riti religiosi. «Nel 1975 questo settore, come altri, è stato riformato ha detto il professor Cardia in questo settore, così come in altri in quegli anni. L’assistenza spirituale non è stata più vista come obbligo, ma come un diritto».
Oggi, a quarant’anni di distanza si avverte la necessità di rimetter mano alla legislazione, per determinare che cosa è «assistenza spirituale». Per monsignor Caniato, che ha un’esperienza di cappellano nelle carceri, perché ha passato con questo ruolo 41 anni a San Vittore a Milano, il termine «assistenza spirituale» non è corretto. «Più opportuno sarebbe parlare di assistenza religiosa, laddove la religione è il rapporto con Dio. L’uomo, ha diritto alla cultura e al lavoro, ma ha anche il diritto ad avere un rapporto con Dio. Così come il detenuto. Così gli articoli 1 e 4 del testo del 1975».
Ma su questa definizione le difficoltà rimangono. Anche perché , secondo il professor Cardia, spesso l’assistenza religiosa diventa morale e psicologica, anche se non è più trattamentale. C’è poi il nodo dei detenuti che professano altre religioni. «L’assistenza ha sottolineato Cardia deve essere aperte anche alle confessioni diverse dalla nostra, ma non vi deve essere identificazione con i soggetti destinatari».
Oggi, e questo è un altro problema, occorre anche circoscrivere i soggetti portatori di assistenza: «Per esempio in Belgio vi sono associazioni e organizzazioni ateistiche che hanno un preciso riconoscimento. Ma se un’associazione nega Dio, in quanto ateistica, come fa a fare assistenza religiosa?».
Sempre più problematico si farà nei prossimi anni il tema dei carcerati musulmani: persone infedeli che per l’Islam devono essere dimenticate. L’imam, che non è un ministro di culto, non va ad assisterli, né spiritualmente né umanamente, anche se le carceri sono aperte alle persone di altre religioni. Ma i musulmani non sono abbandonati a sé stessi. È l’esperienza sia di Caniato, che a San Vittore ha offerto la sua disponibilità e la sua assistenza a tutti, sia di don Roberto Filippini, che insieme ad una suora e ad un diacono svolge da cinque anni la sua opera di assistenza spirituale al carcere di Pisa. «Abbiamo organizzato ha detto don Filippini la nostra presenza quotidiana, coprendo molte ore non solo con i detenuti, ma anche con le guardie penitenziali». Per il sacerdote, «nella prospettiva conciliare l’assistenza religiosa può essere svolta anche da personale laico, così come del resto è accaduto in Corsica, perché quello che conta è accettare la persona che viene presentata dalla Chiesa».