Vita Chiesa

Camaldoli, da eremiti, ma in comunità sull’esempio di Romualdo

di Luca Primavera

Vita eremitica e cenobio, silenzio e preghiera comunitaria, lectio divina e studio delle scritture. Dopo mille anni le regole di Camaldoli sono sempre le stesse. E anche oggi, con l’inizio delle celebrazioni per il millenario della fondazione dell’Eremo ci mostrano la loro attualità. Abbiamo incontrato il nuovo Priore Generale dei camaldolesi, dom Alessandro Barban, che lasciandosi alle spalle la spessa coltre di neve caduta nei giorni scorsi anche in Casentino è venuto ad Arezzo con la sua comunità per la festa della Madonna del Conforto.

Il sette febbraio scorso hanno preso il via le celebrazioni per il Millenario di Camaldoli. Cosa significa per la vostra comunità questo momento?

«Mille anni di storia non sono pochi, ma non vogliamo che il Millenario assuma una dimensione apologetica. È l’occasione per ripensarci come comunità e congregazione alla luce del Concilio Vaticano II, alla luce di un discorso di fede e di testimonianza monastica, alla luce di una dimensione ecclesiale, riscoprendo la nostra identità».

Qual è questa identità?

«I valori che San Romualdo ci ha lasciato sono la preghiera, il silenzio e la comunità. Siamo eremiti, ma viviamo anche in comunità: un paradosso che spesso la gente non capisce. Abbiamo bisogno di stare da soli, ma anche di aprirci agli altri, in comunità anche con gli ospiti che vengono da tutta Italia. Questi valori monastici sono ancora importanti. Il cammino spirituale della fede e la liturgia sono le dimensioni più importanti che chi viene a Camaldoli può vivere con noi».

Il Millenario è anche l’occasione per riflettere sulle sfide che si trova ad affrontare la vostra comunità. Che significato ha essere monaco oggi?

«Il monachesimo, ma anche la Chiesa, deve imparare ad essere “bilingue”. Deve imparare a parlare oltre che con la propria lingua, anche con quella dell’altro, che forse è il non credente, l’uomo in ricerca, quello che ha dei dubbi, che bussa, che vuole fare domande, avere risposte. Tuttavia, per farsi capire, è necessario imparare a parlare il linguaggio di queste persone, anche utilizzando le nuove tecnologie digitali e dei mass media, che non vanno demonizzate. Credo che sia questa la sfida più grande di oggi».

Le celebrazioni per il Millenario prevedono anche momenti di carattere culturale. Il prossimo autunno ci sarà un convegno dedicato alla teologia sapienziale. Come mai questa iniziativa?

«Nel Medioevo aveva avuto grande fortuna la teologia monastica, una teologia che però non è più riproponibile. Per questo pensiamo che sia importante puntare su una teologia sapienziale che sappia assumere il linguaggio di oggi. Siamo ancora agli inizi di questo percorso, ma riteniamo che oggi un discorso metafisico semplicemente dogmatico vada affiancato a una Sapienza che ci sappia accomunare nella ricerca dell’altro. Forse in questo momento di spaesamento e di compressione del senso ultimo del nostro vivere, ricercare insieme una Sapienza che dia senso attraverso la fede, o attraverso un’etica, o anche una ricerca filosofica, è molto importante. Sapienza viene dal termine sapere, che vuol dire gustare. Dobbiamo saper dare gusto a quello che siamo, a quello che sentiamo dentro, alfabetizzarlo».

Lei accennava al Vaticano II, alcuni lo hanno definito un «Concilio monastico». Qual è la sua eredità oggi?

«Quelli che facevano il Concilio forse non avevano questa consapevolezza, ma ritengo corretto interpretare il Vaticano II come un concilio monastico. Le quattro Costituzioni più importanti, quella sulla liturgia, sulla Parola di Dio, sulla Chiesa e sull’apertura al mondo, in qualche modo sono quattro caratteristiche della vita monastica. Il fatto di tornare alle fonti, riscoprire la Scrittura e la liturgia, avere una nuova visione di Chiesa come comunione e non semplicemente come apparato gerarchico, l’apertura al mondo, il dialogo ecumenico, la riscoperta della dignità dell’uomo e tutti i temi toccati dal Vaticano II, sono tutti presenti nella storia del monachesimo».

La vostra comunità ha visto nascere il cosiddetto Codice di Camaldoli. Il prossimo 17 marzo si svolgerà a Firenze l’iniziativa Cattolici Protagonisti. Qual è il ruolo dei cattolici nella società di oggi?

«Il cattolicesimo democratico è stato determinante per la scrittura della nostra Costituzione Repubblicana. L’ospitalità che i monaci hanno dato a quei giovani che poi hanno fatto la storia d’Italia, ha permesso di creare uno spazio dove si è potuto pensare insieme e creare qualcosa insieme. Purtroppo oggi soffriamo tutti di una mancanza di politica, di uno svuotamento dei partiti, di idee e contributi. Tuttavia, dobbiamo stare attenti a non essere qualunquisti e a non scadere nell’antipolitica. Abbiamo bisogno dell’impegno della Chiesa in tutti gli ambiti che portano a una riflessione sulla società e all’impegno responsabile nel mondo politico. Percepire l’impegno sociale e politico come una vocazione è  la risposta a un grande bisogno di oggi».

LA SCHEDADom Alessandro Barban, ferrarese, 54 anni, è il nuovo Priore Generale dei Camaldolesi dal 5 ottobre scorso. Laureato in storia contemporanea all’Università di Bologna, è monaco camaldolese dal 1989. Ha studiato teologia al Pontificio Ateneo S. Anselmo e alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e dal 2001 al 2008 è stato professore di teologia sistematica al Pontificio Ateneo S. Anselmo. È stato Priore del Monastero di Fonte Avellana dal 1997 al 2011.