Opinioni & Commenti
Calcio violento, speriamo ora di non affogare in un pantano di chiacchiere
Ci si poteva fermare il 20 settembre 2003 quando Sergio Ercolano, tifoso del Napoli, precipita dal secondo anello dello stadio di Avellino durante i rituali scontri con la polizia. Ci si era fermati, pochissimo e tra promesse molto simili a quelle di queste ore, il 29 maggio 1995 a Genova, quando il tifoso genoano Vincenzo Spagnolo muore accoltellato da un tifoso milanista.
Per chi ha la memoria lunga, perché non fermarsi il 28 ottobre 1979 quando il tifoso laziale Vincenzo Paparelli muore in curvasud centrato da un razzo un razzo! tirato da un romanista piazzato in curvanord? E quanti sono stati gli eccidi sventati per un pelo? Gli interisti che gettano un motorino giù per le gradinate del Meazza a Milano; laziali e romanisti che s’inventano la storia terribile d’un bambino ucciso da una camionetta per bloccare un derby, dimostrare il proprio potere e scatenare allegre devastazioni fuori dello stadio?
E quanti i feriti, non morti per un pelo, nella storia del nostro tifo?
Catania però è diversa. Perché i protagonisti non sono pochi, ma tanti esaltati. Perché è morto il poliziotto. E chissà allora che sia davvero l’ultimo. Anche l’Inghilterra, oggi ad esempio per le norme severe che hanno riportato la pace, la festa, le famiglie allo stadio, si mise in moto dopo un’immane carneficina. Ma gli inglesi operarono, svelti ed efficienti. Noi invece rischiamo di annaspare ancora una volta nel solito pantano di chiacchiere, indignazione e interessi incrociati. In queste ore non si sa a chi dare meno retta. Ai duri della repressione che vorrebbero derattizzare gli stadi, senza dimenticare però i dintorni e gli altri infiniti luoghi e pretesti che i violenti, se il desiderio è quello di metter le mani addosso «agli sbirri», certo troveranno da qualche altra parte. Ai fossili sociologisti, quelli per i quali la violenza è effetto di una serie di concause remote da rimuovere tutte e nello stesso tempo; e i violenti vanno compresi, non repressi; e la violenza prevenuta, già; e intanto chissà, potremmo darci al curling. Al partito dell’anticalcio, i pochi refrattari al virus pallonaro che non vedrebbero l’ora di liberarsi di questi accaparratori di domeniche, di canali televisivi, di radio locali, di pagine di giornale: sbaraccare tutto e dedicarsi alla letteratura russa. Ai gelidi mandarini del business, quelli che han capito il rischio vero: che il calcio non renda più denaro, trascinando chi gli sta succhiando facile denaro alla rovina. Il calcio è infatti ci dicono i ben informati la quarta industria nazionale. Fermarla un turno va bene, ma poi ripartiamo.
La seconda è giocare a porte chiuse negli stadi non in regola.
La sensazione è che se pure Catania fosse stata in regola, la guerriglia scoppiava ugualmente, ma non è un buon motivo per non mettersi in regola. Ora, chi non è in regola è perché Comune e società non si mettono d’accordo sui lavori, oppure non può: a Firenze, ad esempio, con lo stadio in città, bisognerebbe abbattere qualche casa. Idee, idee Bisognerebbe che le società fossero proprietarie degli stadi; e responsabili dell’ordine pubblico.
Bisognerebbe rispettare le regole, quelle che già ci sono: ad esempio, chi espone uno striscione razzista, o si esibisce in cori truculenti, va preso e sbattuto in galera, anche se ciò dovesse verificarsi ogni domenica in stadi a norma come Roma. Bisognerebbe che accadesse come è accaduto in Olanda, dove uno spettatore ha gettato una monetina e i vicini l’hanno subito impacchettato e consegnato alla polizia; da noi vige l’omertà e il delinquente tifoso della mia stessa squadra gode dell’immunità.
L’elenco dei desideri supera forse le capacità del genio della lampada. Eppure si può farcela, basta cominciare. Come? Rispettando tutte le regole.
Se una società si iscrive con una fideiussione falsa, se trucca un passaporto, se fa regali spropositati agli arbitri, se lusinga calciatori sotto contratto in tempi non consentiti se una qualsiasi norma viene violata, occorre essere certi che si pagherà, poveri e ricchi allo stesso modo.
Da qualche tempo troppa gente, in giacca e cravatta o col passamontagna, sta facendo di tutto per rovinarcela. Chi può, ce la restituisca.
Cominciare dal pallone? Proviamoci.