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Calciatore «sbaglia» il rigore «ingiusto» e l’arbitro lo ammonisce
Più di trent’anni fa, in una sua immortale canzone, Francesco De Gregori ci diceva che «non è da un calcio di rigore che si giudica un giocatore». Vero, ma dipende. Dipende soprattutto se quel rigore, ingiustamente assegnato, suscita un atto di ribellione etica. In un calcio malato come il nostro è così difficile che qualcuno possa ribellarsi a un verdetto a favore. Qualche volta è capitato che un attaccante confessasse un gol segnato di mano, anche se la rete di pugno di Maradona è stata fatta passare maldestramente come un simbolo positivo (in Inghilterra-Argentina del Mondiale 1986, entrarono in gioco questioni politiche legate al conflitto delle Falkland). Molto più raro vedere un giocatore presentarsi sul dischetto e sbagliare apposta un penalty che non ritiene giusto. Raro ma non impossibile, visto quello che è capitato Oltremanica e per la precisione in una serie minore durante l’incontro che opponeva i Kent’s Red Arrows allo Wingham.
Il protagonista di questa storia si chiama Callum Hinde, soprannominato «crazy» per il suo modo anticonformista di essere uomo e calciatore. Quando l’arbitro fischia un rigore per una spinta in area che il buon Callum ritiene assolutamente ingiusto, anche se a favore della sua squadra, si presenta dal dischetto e passa debolmente la palla tra le braccia del portiere. E mentre il pubblico resta basito, l’unica conseguenza immediata che riceve il giocatore è un’ammonizione da parte dell’arbitro che poi si giustificherà dicendo che quel tiro si configurava come atto di protesta verso la sua decisione: da qui il cartellino giallo. In sostanza l’atto di lealtà del buon Hinde è stato trattato alla stregua di chi alza la voce, magari insulta l’arbitro o peggio commette gioco scorretto con un fallaccio all’avversario.
Per fortuna i due club hanno posto rimedio a questa «topica», decidendo di autotassarsi e pagando al giocatore la multa ricevuta come conseguenza dell’ammonizione. Ma per come sono andate le cose, questo episodio merita una riflessione: siamo così concentrati sull’ordinario, che quando succede qualcosa fuori dalla norma, magari eticamente corretto e che potrebbe diventare un esempio per i nostri figli (il calcio una volta serviva anche a quello) noi pretendiamo di racchiuderlo nella nostra solita e misera casistica, liquidando il buon gesto come qualcosa di comunque irregolare, perché denota un’insubordinazione di fondo.
Così quanto è stato chiesto conto all’arbitro di quell’ammonizione assurda, lui ha subito messo le mani avanti: «gli atleti devono rispettare la mia decisione – ha detto -, giusta o sbagliata che sia. Il giocatore ha deciso di calciare in quel modo prima di presentarsi sul dischetto: è stato ridicolo. Davanti a 22 giocatori e a una ventina di tifosi, avrei perso la mia credibilità se avessi lasciato correre, per questo l’ho ammonito». Quindi prima di tutto va tutelata l’onorabilità della decisione, non il rispetto della verità. Peccato che nel 1997 in Premier League l’attaccante del Liverpool Robbie Fowler si procurò un rigore dopo un contrasto con Seaman, ma ammise subito di non essere stato toccato: anche qui l’arbitro non tornò sui propri passi. Fowler calciò debolmente, ma sulla respinta McAteer segnò. L’Uefa assegnò comunque il premio Fair play all’inglese.
Ma per «crazy» Callum il premio è stato solo un cartellino giallo.