Toscana

BURUNDI, GATUMBA: 159 MORTI TRA TENDE DEL CAMPO PROFUGHI

“Ci hanno attaccato con armi da fuoco e bruciato le nostre tende: ho visto persone fuggire e molti morti”: è la testimonianza di un ferito raccolta dalla MISNA all’ospedale di Bujumbura, capitale del Burundi, dove sono stati ricoverati decine di rifugiati coinvolti nell’attacco al campo profughi di Gatumba, nel quale, secondo l’esercito burundese, hanno perso la vita almeno 159 profughi – soprattutto donne e bambini – e altri 111 sono rimasti feriti. Nsenga Mremyi, questo il nome del sopravvissuto al massacro – compiuto ieri in tarda serata, anche se alcune fonti sostengono stamani all’alba – è un banyamulenge (cioè un tutsi di origine congolese) fuggito nei mesi scorsi alle violenze nella zona orientale della confinante Repubblica democratica del Congo. L’attacco è stato compiuto da uomini armati non ancora identificati in un campo gestito dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) che ospitava circa 3.000 civili, a pochi chilometri dal confine con l’ex-Zaire, circa 20 chilometri a est di Bujumbura.

Sulla responsabilità della strage ci sono versioni contrastanti: le Forze di liberazione nazionale (Fnl, ultimo gruppo armato attivo in Burundi) hanno rivendicato la paternità dell’attacco, affermando di aver voluto prendere di mira un campo militare vicino alla struttura che accoglieva i profughi; il presidente del Burundi Domitien Ndayizeye, che si è recato a Gatumba (“è incredibile: non ho mai visto niente del genere” è stato il suo primo commento), ha invece dichiarato: “Il nostro Paese è stato attaccato e le nostre frontiere sono state violate da elementi provenienti dalla Repubblica democratica del Congo per massacrare civili congolesi che avevano cercato riparo”. L’unica cosa certa, per ora, è il desolante scenario del campo di Gatumba; una religiosa transitata mezz’ora fa dalla zona, ha detto alla MISNA che dalla tendopoli si levavano ancora fili di fumo. I pochi testimoni che sono entrati nella struttura, descrivono dozzine di morti carbonizzati nelle tende bianche dell’Acnur e nelle precarie casette costruite con legno e lamiera; altre decine di persone sono state invece uccise a colpi di arma da fuoco e con il machete. Gran parte dei profughi di Gatumba – come il ferito intervistato dalla MISNA – provengono dalla provincia congolese del Sud-Kivu e dalla zona di Uvira, una delle zone più instabili di tutta la regione dei Grandi Laghi.

Anche dall’altra parte della frontiera la situazione non è tranquilla e in Burundi è andata peggiorando nelle ultime settimane: proprio ieri la missione di pace dell’Onu a Bujumbura aveva denunciato “energicamente” gli scontri e le violenze che coinvolgono sempre di più i civili; gli scontri a fuoco tra le Fnl, l’esercito burundese e gli ex ribelli delle Forze di difesa democratica (oggi inseriti nel governo di transizione) sono avvenuti mentre procedono – tra non poche difficoltà – i colloqui di pace per dare un governo stabile al Burundi dopo tre anni di transizione e undici di guerra civile, che ha provocato più di 300.000 morti. Misna