Vita Chiesa
Buona festa, ragazzi!
di Umberto Folena
Buona festa, ragazzi. Per una volta, promettiamo che non vi sentirete giudicati (male). Non vi guarderemo con scetticismo. Non parleremo di voi e con voi con paternalismo. Possiamo impegnarci solo per noi, non per l’intero mondo adulto. Ma la promessa è solenne: vi prenderemo sul serio, per quel che pensate, dite e fate. Per quel che siete.
Buona festa, ragazzi della Gmg in marcia per Sydney. Un consiglio sì vorremmo darvelo: non date retta a chi diffida pregiudizialmente dei grandi eventi «perché poi si torna a casa e tutto è come prima», e «perché la vera pastorale giovanile si fa giorno per giorno, lontano dai riflettori». Primo, il grande evento non è necessariamente in contraddizione con il lavoro giorno per giorno, anzi funziona soltanto se ne è preceduto e seguito. Secondo, chi ha i superpoteri (e la presunzione) per poter scrutare nel cuore degli uomini, in particolare nei cuori più complicati e burrascosi di tutti, quelli dei giovani? Alle Gmg, dicono i saccenti, i giovani applaudono il Papa che li invita a fare cose che non fanno né hanno intenzione di fare. Sembrano felici di sentirsi invitare alla coerenza, alla preghiera, alla castità, alla santità. Ma poi pregano poco e sono ancor meno casti Anche qui, chi può davvero dirlo? Ma se anche fosse, ben strana suona questa sentenza di scarsa coerenza con la pratica cristiana proveniente da adulti che sono la quintessenza dell’incoerenza. Tolleranti verso se stessi, implacabili verso i propri figli: bella roba.
E allora buona festa, ragazzi della Gmg. Un grazie a voi, che dedicate tempo, energie, passione (e denaro) all’avventura australiana. Chi ne ha già vissuta una intensamente, senza risparmio, lasciando campo libero allo Spirito e agli incontri, alle parole, alle preghiere, all’allegria, all’eucaristia, all’amicizia (l’ordine è volutamente disordinato, proprio come accade nella realtà), vi dirà che una Gmg può essere uno spartiacque decisivo nella vita di un ragazzo. È un seme che può far sbocciare un fiore subito, o far spuntare un albero dopo qualche tempo.
Non è un caso che lo stile sia identico a quello con cui dei giovani ha parlato il cardinale Bagnasco lo scorso 28 maggio, aprendo i lavori dell’Assemblea generale dei vescovi italiani: «Anche papa Ratzinger, come il suo grande predecessore, non mortifica i giovani né li giudica. Neppure noi li giudichiamo, vogliamo piuttosto dare loro fiducia: sappiamo che sono profondamente buoni, e insieme spesso smarriti, alla ricerca di ideali non fittizi, per cui spendere la vita. E talvolta la sanno generosamente spendere fino al sacrificio! Il problema dei giovani sono gli adulti».
Ed è curioso che l’inchiesta del giornalone (ma sì, ve lo diciamo: è Repubblica, e il giornalista è Giampaolo Visetti) termini con questa frase lapidaria di Chilone, un oste di Misano: «I nostri ragazzi stanno male perché i loro genitori sono malati». Bagnasco proseguiva: «I giovani non respingono l’autorità, cercano l’autorevolezza dei testimoni e dei maestri. Certo che vediamo i loro comportamenti contraddittori, a volte ancora adolescenziali; a volte trasgressivi e gravi. Esperta come deve essere in umanità, la Chiesa non si fa ingannare dalle apparenze e sa di dover leggere dietro di esse, dove si celano le movenze più interiori e profonde della persona, e dove arde il desiderio di una vita piena, di traguardi coraggiosi, per i quali vale davvero la pena di vivere».
Non crediamo alle apparenze, specialmente a quelle che sembrano confermare i nostri pregiudizi. I ragazzi torneranno da Sydney né tutti santi né tutti peccatori. Ma tutti, consapevoli o meno, torneranno coltivando una speranza, un progetto, un sogno su di sé e sulla propria generazione. Quelle speranze, quei progetti e quei sogni, di cui troppi adulti sono incapaci e quindi sorridono, sono forse la più grande risorsa dell’Italia. Lo scopo dei giorni che ci restano, per noi adulti, è far sì che quelle speranze, quei progetti e quei sogni non si spengano. Tutto qui.