Cultura & Società
Buon compleanno, Dante!
Oggi, 14 maggio si festeggiano i 750 anni della nascita (1265) del Sommo Poeta – la «sorgente», come lo definiva Mario Luzi – già omaggiato dallo spazio dall’astronauta Samantha Cistoforetti: gli ha decantato le terzine di un canto non qualunque, ma proprio il primo del Paradiso, che si svolge nel cielo della Luna, il più vicino alla Terra, ma dove già risplende «la gloria di Colui che tutto move».
L’Accademia della Crusca, la Società Dantesca Italiana, atenei e istituzioni pubbliche e private si sono mobilitati per diffondere e «rileggere» le opere del padre della lingua italiana. I maggiori italianisti non si sono certo risparmiati: nelle ultime settimane hanno animato convegni e sfornato nuovi volumi. Marco Santagata, docente di fama internazionale all’Università di Pisa, uno dei massimi esperti di lirica classica ed allo stesso tempo scrittore di successo, autore di numerosi libri e saggi su Dante e Petrarca, vincitore di un Premio Campiello, ha pubblicato addirittura un romanzo («Come donna innamorata», editore Guanda, pagg. 192, euro 16,50) che concorrerà alla prossima edizione dello «Strega». Sullo sfondo c’è Beatrice Portinari, ma il protagonista assoluto è sempre Lui: è avvincente anche in quest’opera scritta con un linguaggio attuale ma, come la letteratura eterna, estremamente corretto, fluido, scorrevole; soffermandosi su un «privato» in parte sconosciuto, ci fa conoscere un Alighieri diverso, agli occhi di chi legge più moderno anche se un «Grande» non passa mai di moda.
Prof. Santagata, partiamo dall’attualità, dai nostri giorni. Il Sommo Poeta cosa direbbe vedendo come si espande la corruzione, com’è ridotto non solo il nostro Paese, ma il mondo caratterizzato purtroppo da guerre, massacri, orrori ed esodi biblici?
«Partirei da una premessa: la situazione politica ai tempi di Dante, quando Firenze era dominata da finanzieri e grandi banchieri, era molto simile a quella di oggi. Rivoluzionario in letteratura, era reazionario in politica, amante delle regole dell’onore, della fedeltà e del rispetto. Non era però un fustigatore, non condannava la corruzione ma in blocco tutto il sistema del nascente capitalismo, tutto quello che secondo lui era la causa della crisi della società. Era contro l’inurbamento, il fiorino, i mercanti, i banchieri. Si opponeva ai fenomeni della modernità che vedeva nella sua Firenze e che riteneva cause del venir meno dei valori della pace e dell’ordine tipici della nobiltà del passato. A Dante sarebbe piaciuto molto essere un nobile feudale e il senso dell’inadeguatezza sociale si ribaltava nell’affermazione di una superiorità esistenziale, ideologica e letteraria».
L’Inferno si allargherebbe?
«Non credo che, attualizzando il discorso, l’Inferno si allargherebbe. L’opera letteraria era molto legata alle sue esperienze. Bisognerebbe vedere che coinvolgimento, che ruolo il Sommo Poeta avrebbe nella società di oggi».
Ha appena pubblicato un nuovo volume («Come donna innamorata») nel quale racconta un Dante «privato», diverso, più moderno. Ha ricostruito una sorta di «ritratto di famiglia»?
«Fare un romanzo storico è sempre un po’ complicato. Si rischia di fare un romanzo di costume. Dante poi è un personaggio che, attraverso la scuola, si è proiettato nei secoli, è l’immagine di un solitario che non ha vita privata. Ho cercato di sfatare questa immagine, buttandolo giù dal piedistallo, liberandolo di alcuni luoghi comuni convinto che anche un genio ha la sua vita quotidiana. Ho quindi immerso Alighieri nei rapporti familiari, che solitamente siamo abituati a trascurare. Nonostante le traversie, la sua famiglia appare molto unita».
Com’era nel rapporto con la moglie Gemma Donati?
«Non abbiamo documenti, quindi sotto certi aspetti Gemma Donati è un mistero. Sappiamo che, entrata per caso nella vita del poeta, apparteneva ad un casato fiorentino tra i più nobili, anche se si trattava di un ramo collaterale. I suoi parenti hanno sempre aiutato la famiglia Alighieri. Il padre Alighiero di Bellincione era chiacchierato: solo commerciante o pure usuraio ? Dante voleva vivere da nobile senza esserlo. Soffriva di questa bassa origine e cercava di frequentare l’alta società. Ritornando a Gemma, la vediamo come una donna devota, che serba per il marito rispetto. E resta paziente e fiduciosa anche quando tutto vacilla, soprattutto con l’esilio».
E con i figli come si comportava? Che padre era?
«Avevano una venerazione per Dante. Iacopo e Pietro furono i primi studiosi delle opere del padre e come lui esiliati da Firenze. Custodi ed esegeti della “Commedia”. Antonia, alla morte del poeta, si fece monaca entrando nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna. Non casualmente scelse di chiamarsi suor Beatrice».
Si innamorò veramente di Beatrice Portinari? È proprio vero che «Bice» gli rapì il cuore con quegli occhi di smeraldo?
«Perfino nel romanzo tendo ad escluderlo. Poi sono meno le poesie per Beatrice che quelle che ha dedicato ad altre donne. Dante era innamorato di se stesso ed in lui c’era l’egoismo del creatore, che aveva in Beatrice un pilastro del suo far poesia. Su “Bice” lui ha costruito un amore letterario. E lo spiega all’amico Guido Cavalcanti: “per scrivere d’amore ci vuole tanta filosofia” “… l’amore, capisci?, è estasi. La poesia loda la bellezza del Creato. Ti dico di più, amare un angelo in terra solleva l’anima in Cielo. Credimi, l’amore può salvare». Ha creato un simbolo: succede spesso ai poeti. Eugenio Montale, ad esempio, non enfatizzava l’importanza della sua musa – Clizia – la sua onnipresenza, la sua natura spirituale e divina? Così vedo pure il rapporto tra Dante e Beatrice».
Quali erano i tratti distintivi del suo carattere?
«Quante contraddizioni, in un uomo che ha passato la vita a dare coerenza alle sue molte svolte politiche e intellettuali. La prima contraddizione – nella frattura che percorre la sua intera personalità – è la convivenza irrisolta del rivoluzionario con il reazionario. Sul piano politico voleva spostare all’indietro l’orologio della storia, era pieno di sé, voleva entrare nella buona società di Firenze consapevole di usare il proprio ingegno per essere riconosciuto come sommo poeta. Aveva infine una forte carica di rivalsa. Come intellettuale? Credo sia difficile trovare una mente più aperta all’innovazione: non c’è opera uguale all’altra, pur avendo reciproci collegamenti molto stretti. Cambiano i generi e gli stili, anche se il tentativo di Dante è quello di ricondurre tutto a un discorso unitario. L’innovazione più forte riguarda soprattutto la lingua. Così descrivo Dante nel mio romanzo, ma anche nella realtà non era molto diverso».
Nel libro parla anche dell’amicizia fraterna, poi entrata in crisi, con Guido Cavalcanti…
«Pure con gli amici Dante non era un uomo tutto d’un pezzo. Emblematico era appunto il rapporto con Guido Cavalcanti. Questi, filosofo e poeta proveniente da una nobile famiglia guelfa, fu il vero amico di Dante (affettuosamente lo chiamava “Dantino”), il suo punto di riferimento, uniti dalla passione per la poesia (divenuta poi rivalità) ma che, con il tempo, da lui si allontanerà. Tutto fra loro peggiora quando Dante viene eletto priore di Firenze: Guido non gli risparmia critiche quasi si fosse venduto per motivi economici e avesse ricusato l’amore per la poesia. Cavalcanti fu mandato in esilio con i capi delle fazioni bianca e nera. Quell’amicizia non si ricomporrà più, ma, col tempo, il poeta ritroverà dentro di sé l’antico sentimento per Guido, pur ribadendo la propria superiorità poetica. Sta proprio nelle ultime pagine del romanzo il ricostruirsi della memoria, che darà vita anche alle cantiche del Paradiso nella Commedia».
Che differenze ha registrato tra il Dante privato e quello pubblico?
«Non possiamo saperlo, perché la vita di Alighieri è piena di oscurità, non possiamo scendere nel dettaglio. È difficile farlo anche scrivendo un romanzo».
E del Dante politico cosa può aggiungere a quanto ha già scritto nelle sue precedenti opere?
«Cerco sempre di inserire l’azione politica all’interno della psicologia del personaggio, mettendo in relazione quello che Dante fa. Lo devono dire i critici letterari ed i lettori se riesco a dare vita ad un “uomo politico” e non solo a un “pensatore”. Io ho sempre cercato di mettere in discussione la figura dell’uomo orgoglioso che non si piega mai. Sottolineando le sue “incoerenze”. Per esempio, il rapporto con Firenze cambia nel tempo. C’è l’esule che chiede alla città un’amnistia personale ed invoca perdono per averla contrastata, alleandosi con i ghibellini. E in seguito, con la discesa di Enrico VII, c’è l’uomo pieno di risentimento che attacca i concittadini, esortando l’imperatore a muovere contro Firenze. I comportamenti appaiono motivati da finalità pratiche. Anche nella “Divina Commedia” l’atteggiamento politico è diverso, da quando spera di tornare in città a quando dispera e dice quel che pensa».
Oltre che di Alighieri, lei è uno dei massimi studiosi del Petrarca. C’è qualche nuova opera in arrivo?
«Proprio alla fine dello scorso anno ho pubblicato con Mondadori “L’amoroso pensiero. Petrarca ed il romanzo di Laura”, ispirandomi appunto al “Canzoniere” nel quale si intrecciano realtà e finzione. Con la mia rilettura ho cercato di far riscoprire da un lato l’inesauribile bellezza di un’appassionata storia d’amore che è stata per secoli un archetipo, e dall’altro rendere familiare ed empaticamente riconoscibile la tormentata figura della protagonista, Laura, la donna-musa del poeta aretino, vittima della peste che nel 1348 infuriò in Europa mietendo un terzo della popolazione. Con quest’opera penso di aver esaurito il mio compito sul Petrarca».
È un alfiere della modernizzazione tecnologica in campo letterario. Come sta andando il suo progetto di Università on line?
«Direi che sta andando bene, il progetto si è ormai radicato in 67 Pesi di tutti i continenti ed è rivolto a studenti stranieri e italiani residenti all’estero. Tutto avviene via internet. La tesi è discussa in video-conferenza. È una specie di campus virtuale per diffondere la lingua e letteratura italiana nel mondo. L’idea è nata perché all’estero le si possono studiare solo dove ci sono gli Istituti di cultura, con internet si può arrivare anche nei luoghi più sperduti. Abbiamo già superato le 400 lauree a valore legale. Non è poco».
La scheda
Grazie alle ricerche coordinate da Marco Santagata nel Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica (dove insegna anche la moglie, Maria Cristina Cabani, carrarese doc) oggi Pisa è all’avanguardia negli studi danteschi. Oltre al freschissimo romanzo «Come donna innamorata», lo confermano altri libri recenti del prof-scrittore («L’io e il mondo. Un’interpretazione di Dante», Bologna, il Mulino 2012; «Dante. Il romanzo della sua vita», Milano, Mondadori 2013) e la pubblicazione nei prestigiosi «Meridiani» Mondadori – sempre con la direzione di Santagata e i contributi di Claudio Giunta, Mirko Tavoni, Gianfranco Fioravanti, Gabriella Albanese – di nuove edizioni commentate delle Rime, del De vulgari Eloquentia, del Convivio e delle Egloge.
Sotto la Torre pendente opera un infaticabile e creativo «laboratorio letterario», invidiatoci dagli atenei italiani e dai più importanti Paesi del mondo. Se gli chiedi di tracciare il suo profilo, Santagata ti liquida con due battute: «Ho vissuto una bella infanzia sull’Appennino, a Zocca, un’adolescenza normale a Modena. Finito il liceo, mi sono trasferito a Pisa dove ho studiato alla Normale. Attualmente sono professore di letteratura italiana all’ateneo pisano, mi occupo di divulgazione culturale e di nuove tecnologie». Creando un’università online – la ICON (Italian Culture on the net) – ha visto lievitare ancor più la sua fama internazionale, sancita da conferenze nelle più prestigiose università straniere, dalla collaborazione a riviste letterarie ed a critiche sui principali quotidiani italiani.
La scrittura è sempre stata al centro dei suoi interessi, con una sorta di evoluzione: da quella accademica è passato alla saggistica. Il primo romanzo «Papà non era comunista» (1996, Premio Bellonci per l’inedito) è ambientato a Zocca, dove – era facile intuirlo scorrendo la sua biografia – è tra l’altro nato il rapporto di amicizia con il cantautore Vasco Rossi. Ed a Zocca, dove ritorna nei pochi momenti di respiro, l’italianista ha fondato un premio letterario per i giovani under 35, giunto alla nona edizione. Nel mondo della provincia è cresciuto anche il fratello Giulio, che dopo le esperienze con la sinistra cattolica modenese di Ermanno Gorrieri, diventò uno dei più stretti collaboratori (Ministro per l’attuazione del Programma) di Romano Prodi.
Per Marco Santagata dopo l’esordio letterario seguono altri romanzi di successo: «Il maestro dei santi pallidi» (2003, Premio Supercampiello), «L’amore in sé» (2006, Premio Riviera delle Palme-San Benedetto del Tronto e Premio Stresa), «Il salto degli Orlandi» (2007) e «Voglio una vita come la mia» (2008). E la chiamata nelle giurie dei più prestigiosi premi letterari. Negli ultimi quattro anni ha intensificato la scrittura scientifica, senza mettere da parte il suo stile accattivante. Sia che parli di Petrarca o dell’universo di Dante, i coni su cui ormai ruota la sua ricerca e l’insegnamento.