Cultura & Società
Bugiardino, foglio astruso per l’uso
Che fa? Se ha la fortuna di avere un medico in casa, potrà chiedere a lui spiegazioni. Altrimenti dovrà dotarsi di un vocabolario. O non farne di niente, deglutire la pillola e sperare di non essersi sbagliato.
Sì, perché leggendo quali altri medicinali o alimenti possono modificare l’effetto di un farmaco, potrà capitare di essere invitati a fare molta attenzione e a non utilizzare quella pillola «se state assumendo farmaci inibitori delle monoaminossidasi».
I bugiardini dei farmaci? I più non li leggono. Ne è convinta la professoressa Annalaura Carducci, che dirige da quattro anni un master in comunicazione biosanitaria all’Università degli studi di Pisa. «Sono troppo lunghi, vi si trova un linguaggio troppo tecnico, che risulta criptico per la maggior parte dei lettori. Come riferisce l’agenzia italiana del farmaco (Aifa) L’impostazione grafica è poco accattivante, il carattere di stampa troppo piccolo specie se il malato è anziano le avvertenze principali non hanno il dovuto risalto, né fanno sufficiente chiarezza sui rischi e gli effetti indesiderati del farmaco».
Così finisce che il paziente «prima ingoia la pillola, poi, semmai, legge le istruzioni», osserva il dottor Andrea Calamusa, sociologo della comunicazione.
L’Emea (l’agenzia europea del farmaco) ha introdotto l’obbligo di condurre test di leggibilità: dovranno essere gruppi mirati di pazienti, cioè, a dire quanto il bugiardino sia leggibile, chiaro e di facile impiego.
All’istituto di linguistica computazionale del Cnr di Pisa alcuni ricercatori hanno elaborato un software che permette di valutare la leggibilità dei foglietti illustrativi dei farmaci. Sotto esame sono stati messi i bugiardini di quindici farmaci da banco, ovvero quei farmaci da automedicazione che possono essere pubblicizzati in giornali e tv (ricordate quello che dice lo speaker alla fine della pubblicità? Può avere effetti collaterali. Leggere le istruzioni interne). Risultato: nessun lettore con in mano un diploma di scuola media inferiore riuscirà a capire qualcosa di quel bugiardino, mentre chi ha una cultura almeno liceale ne uscirà fuori, anche se con un po’ di fatica. «Il campione preso in esame non ha valore statistico ammette la professoressa Carducci ma se prendessimo in esame mille altri farmaci il risultato non sarebbe diverso».
Del resto, che il cittadino comune si senta piccolo piccolo di fronte a termini comunemente usati dai medici, è cosa nota. Gli allievi del master in comunicazione bio-sanitaria hanno chiesto a un campione di pazienti se conoscessero il significato di alcuni termini comunemente usati negli ospedali, ma anche dai media. Se tutti o quasi sapevano cosa sia una Tac (Tomografia assiale computerizzata), meno dell’80% era consapevole di cosa sia la posologia (prescrizione medica), e meno del 40% era a conoscenza di cosa sia la Sars (sindrome respiratoria severa acuta) o la Bse (encefalite spongiforme bovina).
Allo stesso test sono stati sottoposti cittadini comuni che non hanno a che fare tutti i giorni con medici, infermieri, visite in day-hospital: e l’indice di comprensibilità degli stessi termini e sigle è sceso ancor di più.
Quando case farmaceutiche, medici e pazienti vivono in mondi diversi, beh, può capitare che la reazione del cittadino sia quella di nutrire nella medicina aspettative forse eccessive: salvo poi provare frustrazione se questo o quel farmaco non produce gli effetti desiderati. Secondo una indagine compiuta in tutta Europa, il 73% degli italiani (ma solo il 30% dei medici internisti ed il 7% degli epidemiologi) ritiene la medicina una scienza esatta.
Qualche indizio potrebbe farci ipotizzare che il nome sia nato da un uso nominale dell’aggettivo «bugiardo»: in Toscana, per la precisione in area senese, gli anziani ricordano che il «bugiardo» era la locandina dei quotidiani esposta fuori dalle edicole e da qui, riducendo le dimensioni del foglio, si è forse potuti arrivare a denominare «bugiardino» il foglietto dei medicinali. C’è un altro aggancio, questa volta documentato, all’ambito giornalistico: nel libro di G. Gelati, «Parlare livornese» (Ugo Bastogi Editore, 1992) si trova la voce «bugiardello» così definita: «durante il fascismo era così chiamato dagli antifascisti il giornale Il Telegrafo che si diceva essere proprietà della famiglia Ciano». Non abbiamo però nessun dato che possa confermare il legame tra queste formazioni che, sulla stessa base di «bugiardo», possono aver avuto percorsi distinti.
Capita di sentirne di tutti i colori dai pazienti che si rivolgono al medico di famiglia. Roba da farne un’antologia. Pressapoco quello che sta pensando di fare il dottore dell’«infarto un po’ mortale» che vuol restare anonimo (almeno per ora) ma che sta anche conservando con pazienza certosina gaffes, sproloqui e lapislazzuli dei suoi assistiti.
Così, consultando col suo permesso appunti messi insieme in anni di esperienza professionale, scopri che c’è chi si è rivolto a lui perché intendeva fare una «ristoranza magnetica», o chi, preoccupato, vorrebbe «fare delle accertazioni» per questo o quel sintomo. «Dottore, ho una cist ovaria» il grido di allarme di una donna rivolto al nostro medico.
«Queste medicine mi fanno venire le emarginazioni», ha lamentato una volta un altro paziente, quando per «emarginazioni» intendeva dire (ma sarà proprio così?) «eruzioni cutanee». «Voglio le medicine per fare le esalazioni!» (o, forse meglio, le «inalazioni»), la richiesta di un malato: «Mi segni lo struzzo!» ma forse intendeva dire lo spruzzino, lo spray.
Chi pensa che certe espressioni vengano solo da non addetti ai lavori, beh, si sbaglia di grosso. Il nostro ricorda bene delle perle dei suoi informatori farmaceutici: uno intendeva «eviscerare la questione» (o sviscerarla?), o chiedeva lumi su cosa fare per metter riparo alla «flautolenza» (o flatulenza?). Un’ infermiera: «ho avuto un cognato di vomito!» e, vi assicuriamo, non voleva riferirsi al marito di sua sorella.
«Mi dole il dente macellaio» proferì un indolenzito paziente di periferia. Quel dente era un molare.
Non sempre il paziente semplifica. Semmai, annunciando un sintomo più articolato, talvolta ritiene di mettersi alla pari del medico. Come si giustificherebbe, altrimenti, quel «ho una forte posticipazione», che altro non è che un semplice raffreddore?
C’è anche chi lo dimostra l’esperienza di tanti anni di paziente ascolto degli acciacchi della gente azzarda qualche interessante neologismo: «intestinamente non sono a posto!».
E allora il testicolo diventa «intesticolo», il catarro «cataro», la tosse «tossa», il sintomo «sintimo», le feci «la fece» o «le felci», la radiografia «epografia», i crampi diventano «granchi», il gozzo «gozzite», i trigliceridi «trigesimi», lo psichiatra il «dottor pisiatra», lo starnuto lo «stalluto».
«Ho avuto un collutorio», confessò il paziente al suo medico di famiglia che alla fine capì che aveva litigato in casa. E adesso «ho i dolori sparti» (ho i dolori diffusi). Di alcune uscite ancora il nostro non ha trovato una interpretazione: «mi fa male l’osso dello stomaco!» (non sapevamo che ne esistesse uno), oppure «ho il tremito interno» (c’è anche quello esterno?)
«Gli analisi li fo a lurdes?», chiese per niente intimorita una paziente . Beh, forse voleva intendere la Usl. O forse ancora un miracolo nel paese di Bernadette!
E così i lettori scoprirono l’esistenza della tintura di odio «che potrebbe senz’altro essere usata per confezionare filtri malefici o come lenitivo da spennellare sulle tumefazioni e sulle abrasioni riportate durante le risse», della «gazza elastica» del «talco ventilato», dei «cataclismi per bambini» «per non tacere».
Militello, i malati cadono in gaffes grossolane, ma è pur vero che le case farmaceutiche mettono del loro: i fogli illustrativi dei farmaci sono spesso incomprensibili non è vero?
«Sicuramente. Nella mia introduzione al libro, ricordo infatti che c’era una parziale assoluzione per molti svarioni dovuti proprio all’eccessiva cervellototicità (si dirà così?) dei prodotti, a partire dal nome. Per ciò che concerne i bugiardini, personalmente li trovo spesso prolissi, apprezzo quelli schematici e ovviamente accessibili nel linguaggio».
Che cosa si può fare per colmare questo gap tra malato e addetti ai lavori?
«Intanto battezzare i farmaci con nomi più semplici. E poi scrivere fogli illustrativi non eccessivamente tecnici. E per ciò che riguarda i prezzi, mettersi una mano sulla coscienza!».
Favorevole o contrario all’introduzione delle medicine nei supermarket?