Italia
Briciole di clemenza per il pianeta carcere
Anche i principi contenuti nella nostra legge penitenziaria, così moderna e così disapplicata, ci spingono in quella direzione per ragioni di giustizia, e non di indulgenza. Il tempo della pena non appartiene al mondo dell’espulsione e della solitudine, ma al cammino operoso verso la ricostruzione della vita onesta. Non è un tempo rapito e distrutto, ma un tempo recuperato. La società attuale, stretta fra la paura del delitto, l’esigenza di sicurezza e di protezione, il desiderio così comune e così frustrato di una giustizia efficace, rimanda alla classe politica un problema difficile di equilibrio. I castighi che per qualità e quantità danno frutto di disperazione sono una medicina che si trasforma in veleno. Sono una ingiustizia, in sé. A rendere visibile nel mondo della carne ciò che avviene nel mondo dello spirito, abbiamo bisogno di segni. Una qualche indulgenza per la carne incarcerata che soffre è un segno; un segno che abbiamo compreso il prodigio della speranza. Che c’è un tempo di espiazione e un tempo di redenzione. Di una giustizia che chiude e castiga e di una giustizia aperta al rimedio, che lenisce e accompagna, che rende fecondo il dolore inflitto, che promuove il recupero sociale.
È questo indultino una risposta sufficiente al «Jobel» che da tre anni ci ha interpellato? È presto per dirlo. La filosofia di questa legge non è uno sconto, ma una messa alla prova. La pena non si scorcia neanche di un giorno, ma viene sospesa (una sola volta) l’esecuzione degli ultimi tre anni di pena per chi non ha commesso reati gravissimi, ha tenuto buona condotta in carcere e ha già scontato un quarto della propria condanna. Chi non sta ai patti e alle prescrizioni per i successivi cinque anni, torna in carcere e sconta tutto. Sicchè il frutto di questa legge si vedrà nel futuro. E questi condannati «in sospensione», per farcela, avranno ancora bisogno di attenzione da tutti noi. Avranno bisogno di soccorso, perché risalire la china è più difficile che camminare in piano. Una misericordia inerte, senza poi nessun aiuto nel cammino impervio, diventerebbe un abbandono.