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Brexit, Regno Unito sempre in bilico. Tierney, «nuove elezioni in vista»
La Corte suprema britannica è chiamata questa settimana ad esprimersi sulla chiusura del parlamento da parte del premier Boris Johnson. Il parere del docente all'università di Edimburgo e consulente della Camera dei Lord: «nessuna violazione della costituzione». Preoccupazione per la confusione di ruoli tra poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
(Londra). C’è grande attesa per il verdetto della Corte suprema britannica. Martedì 24 o forse mercoledì 25 settembre dodici lord, che siedono nel tribunale di ultimo appello per tutti i casi civili e penali delle giurisdizioni di Inghilterra, Galles e Nord Irlanda, decideranno se Boris Johnson ha imbrogliato la Regina e violato la costituzione sospendendo il parlamento. I giudici, che lavorano nel centro di Londra, a pochi passi dal parlamento di Westminster e dal governo – simboleggiando i tre poteri nel cuore della costituzione -, sono dovuti intervenire perché l’Alta corte di Londra e la Corte di sessione di Edimburgo hanno raggiunto conclusioni diverse. La prima decidendo che il premier agiva dentro i confini dei suoi poteri e la seconda dichiarando fuori legge il primo ministro. Il verdetto segnala la tensione che esiste, in questo momento, nel Regno Unito, tra i tre diversi poteri e potrebbe avere un impatto importante sulla costituzione non scritta del Paese. Ne è convinto l’esperto di diritto costituzionale britannico Stephen Tierney, docente all’università di Edimburgo e consulente della Camera dei Lord, per il quale: «il potere giudiziario, in questo momento, sta prendendo un controllo maggiore della costituzione rispetto a quello che accade normalmente». «È significativo il fatto che questi lord, che rappresentano il più alto grado di giudizio del Regno Unito, siano disposti a prendere in considerazione questa materia perché, normalmente, tocca al parlamento decidere».
Pensa che Boris Johnson abbia violato la costituzione sospendendo il parlamento?
«No. Si tratta di una delle prerogative del nostro primo ministro, che è stata usata spesso, in passato, per fini politici. Proprio così ha fatto, negli anni Novanta, lo stesso ex premier John Major che, pure, insieme ad altri, è ricorso alla Corte suprema sostenendo che Boris Johnson ha voluto zittire il parlamento durante il summit europeo del 17 e 18 ottobre, per evitare che interferisse con i suoi negoziati sul Brexit».
Che cosa succederebbe nel caso la Corte suprema decidesse che Boris Johnson ha violato la legge sospendendo il parlamento?
«Non è chiaro, legalmente, quale sarà la via di uscita, ma il parlamento dovrà riaprire. Il premier dovrà tornare dalla Regina Elisabetta, chiedendole il permesso di inaugurare una nuova sessione a Westminster. Boris Johnson non può rifiutarsi di farlo».
Ritiene che il verdetto della Corte suprema sia importante?
«Sì. Non c’è dubbio. Se i giudici ritenessero che tocca a loro decidere in questa materia sarebbe un cambiamento significativo perché vorrebbe dire che il potere giudiziario sta prendendo un controllo maggiore rispetto a quello che accade normalmente. Di solito, a decidere, è il parlamento e la Corte suprema assumerebbe, per la prima volta, poteri che appartengono a Westminster. La nostra costituzione verrebbe trasformata: da una costituzione politica, dove comanda il parlamento, a una costituzione legalista, dove sono i tribunali a decidere».
Pensa che tocchi alla Corte suprema raggiungere un verdetto?
«No. La nostra costituzione prevede che sia Westminster a decidere e i giudici dovrebbero rimandare il verdetto al parlamento. Nel nostro sistema il potere legislativo controlla quello esecutivo. Il problema, con Brexit, è che Westminster è profondamente diviso tra chi vuole uscire dalla Ue il 31 ottobre e chi vuole rimanere e, per questo motivo, è stata coinvolta la suprema Corte».
Possiamo escludere un’uscita senza accordo dalla Ue?
«Senza dubbio. Quello che conta è quello che decide il parlamento che ha dato mandato a Boris Johnson di chiedere un’estensione alla Ue per evitare il “no deal” così che il Regno Unito non debba andarsene il 31 ottobre. Il parlamento ha votato contro il “no deal”. Non credo però che Bruxelles ci conceda più tempo, nella convinzione che, in quel modo, il processo di uscita venga fermato. È molto probabile che il parlamento toglierà la fiducia al premier e si andrà a elezioni anticipate».