Cultura & Società
Branduarti: «Porto in scena la passione di Francesco»
«Nel presentare un’opera si sceglie solitamente di raccontare qualcosa sul personaggio protagonista ci spiega Branduardi ma noi non vogliamo fare questo. Non crediamo ci sia nulla da aggiungere alla carismatica figura di San Francesco, nulla che i nostri cuori non conoscano già. Possiamo soltanto dire che quest’opera è la storia di un grande uomo, e che la scelta artistica è mirata a far rivivere un po’ di San Francesco in ognuno di noi».
Seppur oberato di lavoro, come sempre, e preso dalle continue prove, il cantautore di origini milanesi non si sottrae alle nostre domande telefoniche per parlarci del suo «Francesco». Branduardi, il «trovatore della canzone italiana» porta in scena il «giullare di Dio». Una figura che appare certo decisamente consona al suo tipo di musica. Ma certamente Francesco ha uno spessore che non aveva affrontato fino all’album di quattro anni fa, «L’Infinitamente Piccolo». Rispetto a quel disco cosa aggiunge lo spettacolo?
«A seguito del grande successo di quell’album qualcuno ha avuto l’idea che si potesse costruire una storia. Storia che poi già era implicita nel fatto che quel disco conteneva undici canzoni con testi tratti dalle fonti francescane. Siccome i musical non mi sono mai piaciuti, ho pensato che da questa cosa si poteva trarre una lauda, che poi è figlia diretta del Cantico francescano».
Quindi «Francesco» può essere definito una lauda…
«Io sono narratore, commentatore, trovatore, perché suono, canto, parlo e sono il filo conduttore di tutta la vicenda. Sono io che introduco e conduco gli spettatori all’interno della scena francescana. Certo, le canzoni non erano sufficienti a comunicare il tutto. E poi è uno spettacolo di interazione completa: fra me e i danzatori, fra me e gli attori».
Ma a lei, cosa premeva mettere più in luce del Santo di Assisi? Al di là della sua immagine che noi tutti conosciamo, c’è qualche particolare che ha ritenuto opportuno evidenziare particolarmente?
«Sono tantissime le cose. Ne dico una emblematica: la grande passionalità, la passione potente. Francesco non era solo il giullare di Dio, che in fin dei conti può anche essere una cosa riduttiva, era un uomo modernissimo e anche molto tormentato, a tratti dubbioso, a tratti disperato e comunque sempre con una passione divampante. È questo, passione per la perfetta letizia, per la gioia di vivere, passione anche nel dolore. Questo è l’atto più bello e più umano, che mi è piaciuto di più.
Secondo lei il nostro tempo ha un bisogno particolare di riscoprire la figura di Francesco?
«Quello che la gente conosce di Francesco è veramente poco. Sono immagini stereotipate, molto gradevoli e belle certo ma nella nostra storia vengono messe in evidenza tante cose che sono al di là del Francesco da cartolina zeffirelliana, con tutto il rispetto. C’è il tormento, il dubbio, l’ansia, la disperazione, ma anche la tolleranza, la non violenza, il senso della pace conquistata, tanti aspetti che tutti dovremmo riponderare».