Cultura & Società
Branduardi, un malandrino capace di cantare i santi
Intervista all'artista che per i 50 anni di carriera ha confezionato un cofanetto con quattro cd assieme al ritorno in vinile de "L'infinitamente piccolo" dedicato a Francesco d'Assisi, che sarà eseguito nuovamente per intero nel prossimo tour
Quattro cd raccolti in un cofanetto per ripercorrere 50 anni di carriera: è il regalo che Angelo Branduardi, 75 anni il prossimo febbraio, ha deciso di farsi per questo traguardo, insieme al ritorno in vinile della sua opera su san Francesco d’Assisi, L’infinitamente piccolo. Un’occasione imperdibile per riscoprire – o scoprire, per i giovani che ancora non lo conoscessero – il riccioluto violinista e cantautore noto ai più per Alla fiera dell’est, La pulce d’acqua o Cogli la prima mela, ma che in realtà ha sfornato in tutto questo tempo una produzione di grandissimo livello, variegata ma sempre contraddistinta dal suo inconfondibile stile.
Branduardi, è una grande soddisfazione questo cinquantesimo anniversario di carriera…
«In realtà sarebbero di più di 50 anni, perché ho avuto una lunga gavetta, dato che facevo delle cose negli anni ’70 che nessun altro faceva. Allora andava di moda il compagno, il politichese, e io me ne uscivo con le favole, i miti, gli indiani d’America… proprio un pesce fuor d’acqua e c’è voluto tanto, poi è arrivato il grande successo internazionale; sono pochi gli italiani ad averlo ottenuto. Sono felice, non mi sento più vecchio, forse ho ancora delle cose da dire: sicuramente sul palco, dischi non lo so. La vita va avanti: potrei starmene a casa ma mi viene la depressione, per questo sto in giro».
Branduardi «ritrova» il suo san Francesco. Torna infatti, per la prima volta in formato vinile, il progetto discografico dedicato al santo d’Assisi. Anche quella de L’infinitamente piccolo fu una scelta controcorrente?
«Io sono sempre andato controcorrente perché sono fatto così, perché chi corre da solo arriva sempre primo. Non è stata un’idea mia quella dell’Infinitamente piccolo, sono stati dei giovani francescani e padre Paolo Fiasconaro, che è un carissimo amico, che hanno avuto quest’idea: io ho tentennato molto perché mi veniva in mente Radio Maria, quelle robe devozionali… Quando invece mi è stata chiesta un’operazione filologica, ho semplicemente detto: va bene, mi interessa, ma perché lo chiedete a me che sono un peccatore? Tutti sono peccatori, però gli artisti un po’ di più perché devono trasgredire qualcosa per vedere quello che gli altri non vedono. E loro mi hanno risposto: noi lo chiediamo a te perché Dio sceglie sempre i peggiori, e allora mi sono messo a lavorare. Era un disco in cui nessuno credeva e che è stato invece un grande successo internazionale. Sono felice non tanto per me quanto perché la figura di san Francesco è stata rivalutata anche all’estero».
Il disco uscì nel 2000, fu il «regalo» dei francescani per il Giubileo. E per lei chi è stato, chi è, san Francesco?
«San Francesco è diventato piano piano un amico. Io ho adorato le cose, poche, che restano di lui e anche i Fioretti che sono secondo me l’opera più poetica del cristianesimo insieme al Vangelo di Giovanni. Lo sento come amico e ci tengo a dire una cosa che in pochi sottolineano: Francesco è il primo poeta della letteratura italiana nascente e il Cantico di Frate Sole è la prima poesia della nascente letteratura italiana. Questo viene dimenticato spesso: lui suonava un meraviglioso strumento che gli era stato regalato da Malik al-Kamil che era il sultano di Babilonia, così attirava la gente. Non era il giullare di Dio – figura che purtroppo Rossellini impose tanti anni fa – perché era un uomo che soffriva. Nel disco c’è un pezzo scritto da Ennio Morricone che si chiama “Salmo” dove lui è disperato: quindi non è il giullare che ride, che è quello di Zeffirelli, brutto. Direi che i film belli su san Francesco sono due della Cavani e anche i francescani sono d’accordo. Uno era con Lou Castel e l’altro con Mickey Rourke».
Quindi lei ha scoperto questa figura di santo studiandolo…
«Non ho una grande passione per i santi, se devo essere sincero, ma lui è qualcosa di più, un supersanto, un caso a sé: è un artista, nasce nello scandalo come spesso gli artisti. Gli ho dato una parte di me. Lo amo molto e noi quest’anno in tournée rifaremo tutto L’infinitamente piccolo dall’inizio alla fine».
Il sacro è parte integrante della sua produzione: nella sua vita che parte ha?
«È difficile dirlo perché è una parte tormentata. Ma è bello che sia così, a volte cado, mi rialzo, non ho l’autostrada della fede che molti hanno e che secondo me non meritano. Io lo vivo in una maniera particolare, ci penso, a volte tentenno a volte no, per cui non le so dare una risposta precisa».
Sempre parlando del cinquantesimo anniversario, passiamo al disco Santi e malandrini…
«È una raccolta con pezzi che risalgono a tanto tempo fa, è una scelta di mie cose a volte anche sottovalutate e poi sono molto contento che nel cofanetto ci sia un disco di musica antica perché finora ne ho fatti ben otto e se me li hanno fatti fare significa che sono andati bene. E non è finita, perché ne farò altri».
In Santi e malandrini ci sono di fatto anche due inediti, Il piccolo David e anche il Kyrie…
«Kyrie l’ho scritto durante la pandemia ed è un grido di dolore, invece Il piccolo David è una canzone africana alla quale abbiamo aggiunto dei piccoli versi in italiano dove descriviamo il piccolo David che diventerà re, che suona l’arpa, che mangia un frutto: una visione di un David bambino».
Santi e malandrini può testimoniare una sua lettura del mondo tra bene e male?
«Non saprei… malandrino non è che non mi piaccia, è una parola divertente. Io ho scritto un brano che è diventato celebre, Confessioni di un malandrino e siccome parlo di santi anche, parlo anche di me come malandrino e degli altri artisti che in gran parte sono come ho detto prima malandrini. È un calembour, un gioco di parole».
Oltre alla musica e al suo lavoro di artista ha qualche passione?
«Mi piaceva molto andare in barca a vela, non gli yacht ma le barche da velocità, i catamarani, i trimarani… ma adesso ho un’età in cui diventa difficile. Sono faticosi da portare, ci vuole molta forza fisica, la schiena soprattutto, e i violinisti la schiena ce l’hanno sempre un po’ rovinata. Per cui mia moglie mi ha consigliato di smettere per non farmi male. Allora ho venduto l’ultima barca, era un catamarano che andava a una velocità incredibile, superava un motoscafo. Ecco questo è l’unico hobby che ho avuto, poi tutto il resto zero».
Come si organizza per il suo lavoro?
«Io lavoro solo quando mi viene in mente qualcosa: adesso mi va di suonare dal vivo, non ho voglia di registrare. Lascio sempre che arrivi qualcosa, un’ispirazione che poi non si sa da dove venga: ecco, quello è il sacro. Aspetto, ma non mi metto io a cercare perché se mi metto io a cercare non è bello, non è sincero. Arriverà».
Come le piacerebbe essere ricordato?
«Guardi, mi basta Alla fiera dell’est che non mi appartiene più, è diventata parte del patrimonio popolare. La cantano i bambini, anche se è una canzone violentissima e poi la mamma la canta al suo bambino per farlo dormire, praticamente è diventata una canzone popolare, del folklore quasi».
C’è una canzone che per lei è la canzone del cuore?
«La prossima».