Italia
Bologna, 35 anni dopo si cerca ancora la verità
Memoria, verità, giustizia. Memoria, perché quel dolore non abbia più a ripetersi. Verità, perché il nostro Paese non può accontentarsi di una storia «monca» sulle stragi che ha subito negli anni di piombo. E, dunque, anche giustizia, perché quel debito non sia pagato solo da alcuni, ma vengano alla luce e rispondano delle loro colpe i burattinai occulti, i mandanti. A 35 anni dalla strage alla stazione di Bologna, che il 2 agosto 1980 fece 85 morti e oltre 200 feriti, tornano con impeto le richieste di verità e giustizia, assieme al dovere – sempre presente – del fare memoria, che non va mai perso, per rispetto di chi fu direttamente colpito da quella violenza, ma anche per rispetto delle nuove generazioni, che hanno il diritto di conoscere una storia che è anche la loro.
Elaborare il ricordo. «Fu un episodio fortissimamente traumatico, per la gravità e perché fu diretto verso civili innocenti. Si poneva al di fuori di qualsiasi logica, anche di tipo terroristico», ricorda Paolo Pombeni, politologo e docente all’Università di Bologna. Era un «unicum» rispetto alle azioni terroristiche degli anni di piombo, «un inizio che per fortuna in Italia non ha avuto seguito». E ancora oggi – nonostante l’11 settembre e le stragi firmate prima da Al Qaeda e ora dall’Isis – «azioni di questo tipo non appartengono alla cultura occidentale». Una pagina tragica che non ci si può permettere di perdere con il passare del tempo e l’accavallarsi di eventi anche tragici. «Le pagine della storia non hanno significato se non nell’elaborazione del ricordo che una cultura può fare», sottolinea Pombeni, richiamando l’importanza di una «mediazione culturale». Limitarsi a ricordare la strage alla stazione nella giornata del 2 agosto, osserva, è una «debolezza», nonché «un modo ideologico e superficiale di celebrare la memoria». Troppo facile «schierarsi contro i cattivi»: serve invece un pensiero più profondo «su cosa ha significato il terrorismo ma anche sulla capacità di questo Paese di superarlo». «Noi conserviamo solo una memoria di tipo negativo, mentre tutto sommato questo Paese la sfida del terrorismo l’ha vinta: non è stato piegato dalla logica degli opposti estremismi, né da quella della guerra civile. Invece di fischiare le forze politiche, occorre dare atto di ciò che fece la politica».
Richiesta di verità. Nei giorni in cui è arrivata la sentenza di condanna (già impugnata in Cassazione) per la strage di piazza della Loggia, a Brescia, torna con ancora più forza, anche a Bologna, la richiesta di verità. I familiari delle vittime sono in prima fila nel non accettare la parola «fine» con la condanna di Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti, mentre i mandanti sono ancora nell’ombra. «La recente sentenza sulla strage di piazza della Loggia è un passo avanti notevole, quasi una garanzia in più su quei dossier che abbiamo consegnato al Tribunale di Bologna, attingendo proprio alle carte della strage di Brescia e del crac del Banco Ambrosiano», dichiara Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, convinto che dietro i due fatti di sangue vi sia «un disegno unico, che trae origine dal convegno dell’Istituto Pollio (sulla ‘guerra rivoluzionaria’, tenutosi a Roma nel 1965, ndr) in cui fu prevista la guerra non ortodossa, con stragi e terrorismo, per impedire al comunismo di affermarsi nel nostro Paese». Proprio grazie ai dossier consegnati alla magistratura dall’Associazione familiari delle vittime «i giudici – secondo Bolognesi – hanno materiale sufficiente per percorrere la strada verso i mandanti». Con un occhio più distaccato, e ricordando che varie sono le ipotesi su questa strage, tra cui quella «della bomba palestinese scoppiata per sbaglio», Pombeni ritiene che la verità «verrà a galla quando saranno resi disponibili tutti gli archivi che si sono, non solo in Italia ma anche negli altri Paesi». Un giudizio che, però, il docente consegna alla storia, consapevole che «bisognerà aspettare molto più di 35 anni».
In attesa dei risarcimenti e di una legge contro il depistaggio. Frattanto, è aperta la vicenda dei risarcimenti ai familiari delle vittime. Promessi ancora una volta due anni fa, il 2 agosto 2013, dal ministro (del governo Letta) Graziano Delrio, anche dal governo Renzi «sono arrivate promesse e assicurazioni, ma niente di più», lamenta Bolognesi, chiedendo – in occasione del prossimo 2 agosto – «risposte chiare e un cronoprogramma». Come pure sono rimasti lettera morta la «corsia preferenziale per inserire nel nostro codice penale il reato di depistaggio» (solo in questi giorni il testo della legge sta arrivando all’esame della Commissione giustizia del Senato) e, da parte del Comune di Bologna, l’impegno a «intitolare 16 strade, piazze o giardini» alle vittime della strage alla stazione. Parole alle quali non hanno ancora fatto seguito i fatti. «Il 2 agosto – conclude Bolognesi – è il momento in cui si riuniscono tutte le vittime delle stragi e del terrorismo, per cui le promesse fatte in quella data coinvolgono tutti. È perciò doveroso che il governo si scusi per quelle promesse non rispettate e porti risposte concrete». Così il 2 agosto non resterà una giornata isolata, ma dal fare memoria prenderà forma un impegno duraturo.