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Blackout, il buio improvviso che dovrà farci aprire gli occhi
Il progresso ci costringe a circondarsi proprio del superfluo. Poi all’improvviso ci fa mancare anche l’essenziale. Di brutto ci sbatte in faccia la nostra totale dipendenza dalla macchina, la alienazione progressiva della nostra autonomia indotta dalla società dei consumi. Ci accorgiamo che viviamo per una sorta di cordone ombelicale con una entità enorme e impersonale che in questo caso si può chiamare Enel e che all’improvviso ci lascia soli a milioni. La tecnica, grande fabbrica di certezze, ora comincia a produrre angoscia. Non solo noi poveri catecumeni che a stento leggiamo le bollette della luce, ma anche gli ingegneri che dovrebbero essere addentro alle segrete cose sembra che capiscano il giusto sul perché e sul come e sulle garanzie del futuro.
Ma il problema di fondo, proprio perché nessuno può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca, è un esame di coscienza sulla società dei consumi e sui prezzi che ci impone, sulla sua debolezza insieme alla sua invadenza, sulla sua incoscienza insieme alla sua presunzione. Non si può chiedere il consumismo delle esigenze e la privazione dalle responsabilità. Non si può mettere l’aria condizionata nella casa al mare e poi respingere il traliccio ad alta tensione che passa vicino. Non si può mangiare in piatti di plastica e poi marciare contro la discarica che dovrebbe nascere nel proprio comune. Non si può mettere l’impianto automatico di irrigazione in giardino e poi protestare contro la diga in costruzione.
Non solo il nostro modo di approvvigionarsi di energia è oggi messo in discussione. Non solo il nostro modo di produrre. Nonostante che si cerchi di rinviare all’infinito questa scelta anche il nostro modo di essere e di vivere dovrà prima o poi entrare in gioco. Non possiamo per troppo tempo ancora chiedere di tutto e di più anche se le nostre risorse rispetto al resto del mondo sono tuttora un enorme, eccezionale e non certo eterno privilegio.