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Blackout, il buio improvviso che dovrà farci aprire gli occhi

di Romanello CantiniCi siamo consegnati tutti alla tecnica con una fiducia illimitata. Poi una bella (o brutta) domenica mattina ci accorgiamo che dobbiamo alzarci da letto a tentoni, non possiamo farci la barba con il rasoio elettrico, non ci si può lavare con l’acqua calda, dobbiamo accendere il fornello con il fiammifero, non possiamo telefonare con il cellulare, non possiamo trovare la benzina, né prendere il treno, mentre la nostra braciola marcisce nel freezer. In un giorno solo siamo retrocessi al Medioevo, seppur per poche ore.E meno male che il disastro è accaduto alle tre di domenica mattina quando perfino i fornai sono in pigiama e non in un qualsiasi giorno lavorativo. Una volta tanto solo l’antico precetto festivo è venuto in soccorso dei megawatt che mancavano e della modernità messa al tappeto.

Il progresso ci costringe a circondarsi proprio del superfluo. Poi all’improvviso ci fa mancare anche l’essenziale. Di brutto ci sbatte in faccia la nostra totale dipendenza dalla macchina, la alienazione progressiva della nostra autonomia indotta dalla società dei consumi. Ci accorgiamo che viviamo per una sorta di cordone ombelicale con una entità enorme e impersonale che in questo caso si può chiamare Enel e che all’improvviso ci lascia soli a milioni. La tecnica, grande fabbrica di certezze, ora comincia a produrre angoscia. Non solo noi poveri catecumeni che a stento leggiamo le bollette della luce, ma anche gli ingegneri che dovrebbero essere addentro alle segrete cose sembra che capiscano il giusto sul perché e sul come e sulle garanzie del futuro.

Mentre la nostra classe politica era impegnata a far luce sui due secoli passati (Roma fatta capitale, la dittatura di Mussolini, l’affare Telekom Serbia) all’improvviso ci si è spenta la lampadina in salotto: caso purtroppo non unico di distrazione dai problemi reali del paese del nostro tempo.Ora tutti, o quasi tutti, dicono che bisogna diminuire la nostra dipendenza energetica dall’estero, costruire nuove centrali, nuovi allacciamenti e via dicendo. Non senza polemizzare su chi doveva far le centrali dieci anni fa e su chi doveva farle due anni fa. Assisteremo di nuovo alla rissa intorno al nucleare o meno, alle centrali a carbone pulito e alle energie rinnovabili. Ogni scelta ha un vantaggio e un costo di cui non possiamo discutere qui , ma che non possiamo far finta di ignorare.

Ma il problema di fondo, proprio perché nessuno può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca, è un esame di coscienza sulla società dei consumi e sui prezzi che ci impone, sulla sua debolezza insieme alla sua invadenza, sulla sua incoscienza insieme alla sua presunzione. Non si può chiedere il consumismo delle esigenze e la privazione dalle responsabilità. Non si può mettere l’aria condizionata nella casa al mare e poi respingere il traliccio ad alta tensione che passa vicino. Non si può mangiare in piatti di plastica e poi marciare contro la discarica che dovrebbe nascere nel proprio comune. Non si può mettere l’impianto automatico di irrigazione in giardino e poi protestare contro la diga in costruzione.

Non solo il nostro modo di approvvigionarsi di energia è oggi messo in discussione. Non solo il nostro modo di produrre. Nonostante che si cerchi di rinviare all’infinito questa scelta anche il nostro modo di essere e di vivere dovrà prima o poi entrare in gioco. Non possiamo per troppo tempo ancora chiedere di tutto e di più anche se le nostre risorse rispetto al resto del mondo sono tuttora un enorme, eccezionale e non certo eterno privilegio.