Firenze
Betori, saluto alla città: «Dare un’anima alla bellezza di Firenze»
L'incontro con i giornalisti prima della Messa con cui domenica saluterà la diocesi
Una città che ha bisogno di «ricreare il tessuto sociale» e che ai suoi visitatori deve mostrare non solo la sua bellezza, ma anche l’«anima» da cui questa bellezza nasce. Sono i messaggi alla città di Firenze del cardinale Giuseppe Betori, che stamani ha incontrato i giornalisti. Il suo saluto alla Chiesa fiorentina lo darà domenica, con la Messa alle 17 in cattedrale: «Preparatevi – dice scherzando – non sarà un’omelia breve, sforerò gli 8 minuti chiesti da Papa Francesco. Ma ho tante cose da dire».
Anche se a Firenze «l’impatto del turismo sulla città sta diventando pressante», ha affermato, «non penso che dobbiamo contingentare chi viene a visitarci: perché privare qualcuno della bellezza a vantaggio di qualcuno che magari ha più soldi, con un balzello?». Il problema è un altro: «è che non siamo ancora riusciti a individuare una modalità con cui presentare l’anima di Firenze, e non solo il volto esteriore che si riduce a selfie, a palazzi da ammirare, a dipinti da contemplare: ma l’anima di tutto questo. Quando andiamo al dunque ciascun dipinto ha una funzione, una missione, un contenuto».
Secondo Betori è dunque necessario «ridare il contenuto alla forma di Firenze: non vale solo per l’arte sacra, questa credo sia la missione futura di Firenze. I turisti non li potrai mai cacciar via, anche se li dovessi selezionare torneranno qui: ma se non sappiamo chi siamo, perché noi abbiamo fatto quelle opere, e non sappiamo dirlo agli altri, che ci stiamo a fare qui? Non siamo nell’operosa Torino, o Milano, con le loro fabbriche, noi siamo qui, la nostra realtà è fatta di questo».
Betori ha fatto anche un bilancio di questi sedici anni alla guida della diocesi. «Quando sono stato ordinato vescovo – ha raccontato – era finalizzato alla Cei, di cui ero stato nominato Segretario Generale. Per la vita della Cei ero ben preparato, avevo già fatto esperienza. Al momento della nomina a Firenze invece ero preoccupato, non lo nascondo. Fare il vescovo a Firenze non ti può lasciare indifferente».
Al suo arrivo, nel 2008, pensava soprattutto alla cultura fiorentina, da custodire e tenere viva. Ma ha scoperto che nella tradizione della città non c’è solo l’arte: «Mi sono trovato di fronte a una storia di carità e a una vitalità nelle opere caritative che mi ha stupito. Per questo ho insistito molto su questo binomio di bellezza e carità che mi sembra l’identità più vera di questa città». Proprio questi furono i temi – il legame tra bellezza, carità, verità – che Betori sottolineò accogliendo a Firenze papa Francesco e la Chiesa italiana per il Convegno ecclesiale nazionale, nel 2015: temi che lo stesso papa riprese nel suo discorso. Il viaggio di papa Francesco a Barbiana, nel 2017, nel cinquantesimo di don Lorenzo Milani, è stato un altro momento importante: Betori ha ricordato che poco prima di quella visita aveva chiesto al Papa di togliere il divieto di diffusione per il primo libro di don Milani, Esperienze pastorali. «Senza Esperienze pastorali – ha sottolineato l’arcivescovo emerito di Firenze – Barbiana diventa solo una scuola. Invece è formazione umana e cristiana attraverso la scuola».
A proposito di carità, ha ricordato le tante presenze fiorentine, che vanno da quelle storiche come la Misericordia o la Compagnia dei Bonomini a quelle più recenti: un sentiero, ha ricordato, «in cui anch’io lascio qualche sassolino» ricordando i due grandi centri Caritas, la Casa della Carità a Novoli e la Crocetta che aprirà nella zona est della città, e Casa Marta, hospice per bambini malati legato all’ospedale pediatrico Meyer.
Sul fronte culturale invece sottolinea la grande opera di inventariazione del patrimonio artistico ecclesiale, che ha visto la realizzazione di 271 mila schede e che in questo periodo è raccontato attraverso una mostra, «Pulcherrima testimonia»: «È una delle cose buone che mi ascrivo».
Lunedì 24 giugno poi, per la festa del patrono San Giovanni Battista, sarà lo stesso Betori a presiedere l’ordinazione episcopale del suo successore, don Gherardo Gambelli: «Il nuovo arcivescovo non mi è sconosciuto, l’ho trovato parroco all’Immacolata a Montughi quando sono arrivato a Firenze, e ho accolto la sua richiesta di partire come missionario in Ciad. Ho fiducia in lui, non da adesso». Betori ha ricordato le tre nomine attribuite a don Gambelli al suo ritorno dall’Africa: vicedirettore spirituale in seminario, parroco, cappellano del carcere. «La base della sua spiritualità è biblica – ha sottolineato – la Bibbia è pane quotidiano per me e per lui. In questo ci sarà continuità. A lui ho detto di essere se stesso, pur dentro una tradizione. Essere vescovo a Firenze vuol dire inserirsi in una storia che ci circonda».
Il cardinale Betori intanto rimarrà a vivere a Firenze, e manterrà gli altri suoi impegni, in particolare il lavoro alla Congregazione per le cause dei santi «mi ha preso», ha affermato. Tra i casi su cui ha lavorato, il coinvolgimento nel riconoscimento del miracolo per il quale è diventato santo Charles de Foucauld e il miracolo «fiorentino» per la santità di Carlo Acutis.