Attenzione, ha sottolineato Betori, anzitutto «verso la gente, logorata e stanca dopo tante prove, lutti, privazioni». L’arcivescovo ha ricordato le indicazioni nazionali della Cei che «hanno permesso di avere orientamenti sicuri e condivisi nel gestire la vita delle comunità nella pandemia»: Mettendo in guardia dal «pericolo di un rilassamento nelle precauzioni che ci sono richieste», ha invitato a continuare a seguire le specifiche disposizioni per i riti liturgici, mentre «per il resto delle attività pastorali occorre operare nel quadro delle normative generali. L’invito, anzi la norma, è di attenersi alle une e alle altre senza avventurarsi in percorsi diversi, che siano al di sopra o al di sotto di quanto permesso e prescritto. Sempre urgente è poi promuovere atteggiamenti di condivisione, certamente nel soccorrere chi è in maggiore sofferenza, materiale, psicologica e spirituale, ma non meno nel sostenere comportamenti socialmente necessari per contenere la diffusione del virus e i suoi effetti».Il riferimento è alla vaccinazione contro il Covid-19: «un atto – ha affermato il cardinale rivolgendosi ai preti fiorentini – a cui sottoporci anzitutto noi e da richiedere a quanti hanno ruoli di animazione nella vita pastorale, per la responsabilità che si ha nei contatti con la gente, ma anche un gesto a cui sollecitare tutti». Betori ha citato le parole di papa Francesco:«Vaccinarsi, con vaccini autorizzati dalle autorità competenti, è un atto di amore… Vaccinarci è un modo semplice ma profondo di promuovere il bene comune e di prenderci cura gli uni degli altri, specialmente dei più vulnerabili». Concetti simili a quelli espressi dal presidente della Repubblica al Meeting di Rimini sul coraggio della responsabilità.Sia per il vaccino, che per quanto riguarda il rispetto delle normative relative al green pass, secondo Betori «Tutto va fatto nella prospettiva di cooperare alla salute di tutti. Non cadiamo nel tranello di chi vorrebbe farci vedere nel vaccino una violenza fatta alla nostra libertà. Questa è una posizione che deriva da una cultura individualista che non possiamo condividere. Noi siamo fautori di una cultura della persona e non dell’individuo, e quindi della relazione e della solidarietà. Sono questioni che toccano il cuore del Vangelo. Nessuno può sentirsene esonerato».Di fronte alla pandemia quindi «per un cristiano è doveroso operare con uno sguardo mosso da fiducia e responsabilità. Ce lo chiede la nostra fede in Dio, Signore della storia, che guarda con amore paterno ai suoi figli e chiede loro di collaborare a dare vita a una civiltà dell’amore. Seminare nei cuori la speranza è nostro compito primario, non un vacuo ottimismo ma la speranza mossa dalla fede che sa le nostre vite poste nelle mani di Dio. Alla speranza va unita poi la responsabilità, perché il futuro avrà il volto che noi sapremo modellare con le nostre scelte e decisioni. Vale per le sorti personali ma anche per le grandi svolte sociali che ci attendono, tali da dare un volto nuovo, così auspichiamo, all’economia e alla ricerca del bene comune».