Firenze

Betori, relazione al clero fiorentino: impegnati con la Chiesa italiana nel cammino sinodale

È questa, ha spiegato il cardinale Giuseppe Betori, «la strada che papa Francesco ha indicato e i vescovi italiani hanno deciso per dare forma al rinnovamento ecclesiale delineato sempre dal Papa nel discorso al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 10 novembre 2015».Un Cammino che «dovrà coinvolgere tutti, a tutti i livelli, per dare vita a un discernimento comunitario del cambiamento d’epoca in atto e delle risposte che, alla luce della fede, dobbiamo offrire come credenti». A Firenze, come in tutta Italia, il cammino si aprirà in cattedrale domenica 17 ottobre, per poi essere scandito in tappe che la stessa Cei indicherà.Al cammino sinodale della Chiesa italiana si unisce anche il cammino in vista della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 2023. Papa Francesco ha chiesto che ogni diocesi del mondo venga coinvolta in una fase di ascolto: «Per la nostra Chiesa fiorentina tutto questo si innesterà nel percorso sinodale che abbiamo già in atto da qualche anno. Cercheremo di muoverci evitando sovrapposizioni e duplicati, cogliendo invece le opportunità di far confluire intenti e modalità d’azione. La spinta che viene dalla Santa Sede e dalla Cei sarà anche occasione per mobilitare quelle comunità e ambienti che finora sono rimasti ai margini del percorso diocesano».Proprio il Cammino sinodale diocesano, iniziato nell’aprile del 2017, può adesso ripartire: «Questi – ha sottolineato l’arcivescovo – dovevano essere gli anni dell’interlocuzione con l’ambiente sociale, per ascoltarne le attese e individuare percorsi di presenza e collaborazione. La crisi della pandemia ha ostacolato le nostre aspettative e si è creato un tempo di incertezza che ha frenato la buona volontà delle comunità che si erano impegnate nella prima fase del Cammino e non è stato certamente di stimolo per chi ne era rimasto ai margini». Non tutto però si è fermato: «Il Comitato coordinatore ha continuato a elaborare materiale per i prossimi passi da compiere, come pure si sono ritessuti i rapporti con gli animatori del Cammino». Adesso questo bagaglio permetterà di inserirsi nel Cammino sinodale nazionale, cercando di «vivere le due dimensioni in modo di arricchire l’una con l’altra».Betori ha anche presentato un altro tema che viene posto all’attenzione della diocesi: «in questi mesi – ha spiegato – il nostro Consiglio pastorale diocesano ha sviluppato un’interessante riflessione sul tema dell’articolazione della pastorale nel territorio, alla luce delle problematiche che sta vivendo la struttura parrocchiale, in forza dei cambiamenti sociali e il sempre minore numero di preti». La riflessione si è svolta alla luce della recente Istruzione della Congregazione per il Clero La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa e della Nota pastorale della Cei di alcuni anni fa Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. Lo scopo, ha spiegato l’arcivescovo, è quello di «definire criteri per favorire la collaborazione tra i vari attori della vita parrocchiale e tra le parrocchie». Spunti che ora vengono proposti al Consiglio presbiterale (che già da qualche anno è impegnato in un percorso di verifica) e ai vicariati, «per allargare la riflessione e vedere di individuare forme di conversione pastorale missionaria nel concreto delle situazioni del territorio». La vita delle parrocchie, ha proseguito, è stata «profondamente segnata nelle varie fasi della pandemia, prima dall’impossibilità a celebrare comunitariamente le liturgie e a vivere i consueti momenti formativi in presenza e poi, alla ripresa della vita comunitaria, dal poterlo fare solo nel rispetto di severi vincoli comportamentali per garantire ambienti sani. Momenti che hanno pesato nella solitudine di tanti, ma che hanno fatto scoprire anche molta solidarietà, attenzione ai più bisognosi, valorizzazione del contesto ecclesiale familiare, scoperta di modalità nuove di rapporti e di comunicazione».Sono le considerazioni con cui il cardinale Giuseppe Betori ha concluso il suo intervento davanti a preti e diaconi della Chiesa fiorentina, riuniti alla Certosa per la consueta «tre giorni» di settembre.Secondo l’arcivescovo, «È importante fare tesoro del bene che è emerso anche nelle difficoltà, essere consapevoli che la pastorale del futuro non potrà più essere come quella che abbiamo lasciato alle spalle, ma dovrà cercare maggiore essenzialità, valorizzare il patrimonio delle esperienze innovative più positive dei primi tempi della pandemia, affidarsi più alle relazioni personali rispetto a quanto offerto dalle risorse organizzative, perché la fede non nasce da una dimostrazione, ma da una esperienza di vita buona che attrae».Betori ha ricordato le parole di papa Benedetto XVI sul cristianesimo come «incontro con un avvenimento, con una Persona» e l’invito di papa Francesco perché la domenica e l’assembea eucaristica «emergano da quella marginalità verso la quale sembrano inesorabilmente precipitare e recuperino centralità nella fede e nella spiritualità dei credenti». Non dobbiamo ricominciare come se nulla fosse accaduto: «non si tratta di una semplice “ripartenza”, ma di una vera e propria “rinascita” secondo modelli ecclesiologici e pastorali che portino in sé la novità dell’approccio sinodale e missionario che i nostri tempi esigono».In questa congiuntura della vita ecclesiale, ha sottolineato, «resta centrale il ruolo di noi preti, anche nel creare spazi di collaborazione con religiosi e laici, soprattutto nel vivere la fraternità sacerdotale nel concreto delle forme collaborative da promuovere fra le comunità. Non possiamo nasconderci che lo spaesamento che ha colpito la gente in questo tempo di crisi ha avuto riflessi anche su di noi. Non dobbiamo sentirlo come un difetto, ma come riflesso della nostra condivisione delle prove e sofferenze di tutti. Per noi la risposta passa attraverso alcuni snodi fondamentali: un radicamento spirituale sempre più saldo nella parola di Dio e nella fede della Chiesa e, al tempo stesso, la crescita nella dimensione fraterna, da coltivare nella comunione fattiva nell’esercizio del ministero, una comunione a cui il vescovo sa di dover offrire un riferimento nel suo servizio alla Parola e alla Grazia, favorendo il discernimento e garantendo l’unità della fede e della carità. Per questo servizio egli sa di aver bisogno del sostegno di tutti».«Ci aspetta un tempo di creatività pastorale – è la conclusione – a cui non possiamo sottrarci. Entriamo in esso con fiducia, aiutandoci reciprocamente, con lo spirito missionario richiesto da una Chiesa “in uscita”».