Pisa

BETORI: «IL MONDO HA BISOGNO DI TESTIMONI DEL VANGELO»

di Andrea Bernardini

Il mondo ha bisogno di incontri contagiosi con un vangelo vissuto e di cui si sa dare ragione»: così monsignor Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e presidente della Conferenza dei vescovi della Toscana, che ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia in occasione della festività di San Ranieri. Con lui hanno concelebrato 103 sacerdoti e 14 vescovi: l’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto e l’emerito Alessandro Plotti, il nunzio apostolico in Brasile (ed originario della diocesi di Pisa) Lorenzo Baldisseri, l’ausiliare di Firenze Claudio Maniago, il vescovo di Massa Marittima e Piombino Carlo Ciattini, quello di San Miniato Fausto Tardelli, di Pistoia Mansueto Bianchi, di Livorno Simone Giusti, di Volterra Alberto Silvani, di Massa Carrara e Pontremoli Giovanni Santucci, l’arcivescovo di Arezzo, Cortona e Sansepolcro Riccardo Fontana, di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino Antonio Buoncristiani, l’abate di Monte Oliveto Maggiore, il benedettino olivetano Diego Gualtiero Rosa, infine l’emerito di Massa Carrara e Pontremoli Eugenio Binini, entrati in processione in Cattedrale «in coda» alla croce, ai cerosti, ai seminaristi, a una ventina di diaconi permanenti e ai sacerdoti.Almeno mille e cinquecento i fedeli presenti alla solenne celebrazione, animata dal coro e dall’orchestra della Cappella musicale del Duomo, quaranta coristi e strumentisti diretti dal maestro Riccardo Donati ed accompagnati all’organo da Claudiano Pallottini.Presenti anche molte autorità civili: il presidente dell’amministrazione provinciale Andrea Pieroni, il primo cittadino di Pisa Marco Filippeschi, il prefetto Antonio De Bonis, il presidente del Tribunale Salvatore Laganà, il dirigente scolastico provinciale Maria Alfano, i vertici di Carabinieri, Finanza, Polizia municipale, 46esima Brigata aerea e molti altri. Presente anche Pierfrancesco Pacini e la Deputazione dell’Opera della Primaziale al completo, i Cavalieri del sovrano ordine militare di Malta e quelli del Santo Sepolcro.All’inizio della celebrazione l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto ha ricordato i sacerdoti – quelli presenti, ma anche quelli assenti alla celebrazione per motivi di salute- che quest’anno festeggiano i settanta (monsignor Aristide Casolini), i sessanta (monsignor Giuseppe Guerri), i cinquanta (don Gino Antoniolli, don Giuliano Boschi, don Rocco Angelo Cuter, don Luigi Giovannini, don Dante Lorini, don Giovanni Vannoni, don Aldo Vietina, il frate cappuccino padre Terenzio Todaro e don Sandro Tredici) e 25 anni (don Emanuele Morelli e don Edoardo Mawemba Limboli) dall’ordinazione presbiterale.Un pensiero particolare è andato all’arcivescovo emerito Alessandro Plotti, nominato arcivescovo metropolita di Pisa 25 anni fa.L’urna con il corpo di San Ranieri, sistemata a ridosso e sulla sinistra del presbiterio era «scortata» da tre valletti con il gonfalone del comune di Pisa.La liturgia del giorno prevedeva la lettura di un brano del libro del Siracide (4,1-9), dedicato alla carità verso i popoli, il salmo 111, un brano dalla prima lettera di San Giovanni apostolo (4,7-16, «Abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi»), letti dall’ambone di Giuliano Vangi. Il Vangelo (Matteo, 19,16-21 «Se vuoi essere perfetto va’, vendi quello che possiedi, poi vieni e seguimi») è stato letto invece dal pergamo di Giovanni Pisano.«Seguendo il percorso dettato dalle letture bibliche dell’odierna solennità – ha commentato monsignor Giuseppe Betori nella sua omelia – il nostro sguardo è invitato anzitutto a posarsi sulla condizione dei poveri, a cui il libro del Siracide ci ha esortato: “Non rifiutare al povero il necessario per la vita, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi”. Un pressante appello a farsi concretamente vicini alle condizioni precarie dei miseri e degli indigenti, con spirito e gesti di concreta solidarietà». «La carità richiesta – ha continuato Betori – non è inoltre disgiunta dall’operare per la giustizia, come ancora raccomanda il testo sapienziale: “Strappa l’oppresso dal potere dell’oppressore, non essere meschino quando giudichi”. Non ci può essere infatti vera carità, se non sul fondamento della giustizia, secondo un principio sempre riaffermato dall’insegnamento della Chiesa». «Carità e giustizia – ha detto l’arcivescovo di Firenze – appartengono alle forme più immediatamente evidenti della testimonianza di santità che ci ha lasciato San Ranieri. Sappiamo infatti che la seconda tappa della sua conversione, quella che ha luogo a Gerusalemme, il venerdì santo del 1140, comprende anche la vendita dei beni e la loro elargizione ai poveri; parimenti nell’ottica della carità, che si fa incontro alle varie fragilità umane, vanno intesi i numerosi miracoli di cui egli è mediatore nel corso della sua vita e poi dopo la sua morte. Ma la carità di San Ranieri non si ferma a questo stadio dell’offerta di beni ai poveri, ma, nella sua ricerca di forma evangelica alla propria vita, si configura come una condivisione di vita con i poveri, nella condizione di penitente, che si identifica con lo spirito delle Beatitudini, scorgendo nella povertà, assunta come stato di vita spirituale, l’accesso alla vera libertà e quindi alla vera beatitudine, alla perfetta comunione con Dio». «Tocchiamo qui – ha osservato monsignor Betori – un punto vitale dell’esperienza di fede, che non può dirsi tale fino a quando va in cerca di sicurezze umane per dare sostanza e speranza all’esistenza, evitando di confrontarsi con l’esigenza di Dio, che si propone a noi come l’unica ricchezza della nostra vita. Emerge in tutta la sua attualità la pagina del Vangelo, dove nella prospettiva della realizzazione di sé – “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?” – , il giovane che incontra Gesù è posto di fronte alla scelta radicale, tra le realtà di questo mondo, pur vissute secondo una onestà di fondo, quella che è assicurata dalla osservanza dei comandamenti – oggi diremmo dalla conformazione ai principi di una legge naturale – e l’invito a seguire Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!”». «Con evidenza – ha precisato il presidente dei vescovi toscani – l’accento cade non tanto sulla parte negativa – vendere e dare – ma su quella positiva: andare a Gesù che chiama, seguirlo, rimanere in lui, direbbe il testo della lettera di Giovanni: “Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio”. È la scelta di Dio come tutto, che è il segreto della santità, ma anche il senso ultimo della vita cristiana. È una scelta che può assumere forme diverse a seconda delle situazioni e vicende personali, ma che ha un carattere irriducibile di orientamento a Dio come l’assoluto della vita». «È questo – ha osservato monsignor Betori – il senso della conversione e poi della testimonianza di santità di San Ranieri, che è, inoltre, una delle figure più rappresentative tra coloro che inaugurano un modo nuovo di incarnare questa dedizione assoluta a Dio, non più soltanto nella condizione della sacralità sacerdotale o della separatezza dal mondo propria dei monaci, ma ora nella forma di una vita di laici nel mondo, che sanno tessere tra loro i momenti della contemplazione e della preghiera con quelli della partecipazione assidua e consapevole alla vita liturgica e sacramentaria, con la testimonianza al mondo mediante la vita e la parola, quali portatori di istanze di giustizia, di concordia e di pace nella società. Si tratta, con tutta evidenza, di un messaggio di grande attualità, trovandosi oggi la Chiesa a doversi misurare con un passaggio di trasformazione culturale epocale con diversi caratteri in comune con quello in cui si imbatté nei secoli XII e XIII, e che essa affrontò grazie alle risorse di santità di uomini come San Ranieri e, circa mezzo secolo dopo, San Francesco d’Assisi. Furono loro a mostrare come la forma di vita evangelica poteva essere incarnata nella società che stava rompendo le stratificazioni del mondo feudale per aprirsi a quella che oggi chiameremmo una prima globalizzazione, in forza della espansione di mercati, eventi in cui Pisa ebbe un ruolo primario. La sfida, vinta da questi santi, fu quella di proporre una vita cristiana senza per questo richiedere separazioni o un rifiuto del mondo. Problema, torno a dire, di estrema attualità, in un momento anch’esso di trapasso, contrassegnato da una nuova globalizzazione, questa volta della comunicazione e delle culture, più e prima ancora dei mercati, che impone una ricomprensione della fedeltà al Vangelo nel mondo». «Ma ciò che deve stare a cuore – ha incalzato l’arcivescovo di Firenze – prima ancora di chiederci come configurare oggi la nostra testimonianza nel mondo, è la riproposizione della questione di Dio come interrogativo decisivo dell’esistenza umana. Non a caso risorgono con veemenza le voci ateistiche nella comunicazione culturale. Si tratta in genere della riedizione di vecchie polemiche, a cui la fede ha da tempo dato esaurienti risposte. Solo la sciatta ignoranza della comunicazione può prenderle sul serio, ignorando come invece la vera scienza è stata sempre accompagnata dal riconoscimento del mistero. Più problematico invece è il clima relativistico, che sfalda le coscienze e i rapporti sociali e che ha bisogno di negare la possibilità dell’esistenza di una verità assoluta e la sua attingibilità da parte dell’uomo. Lo ricorda con grande insistenza Benedetto XVI nel suo insegnamento, e gliene siamo particolarmente grati».E ancora: «Il vangelo ci dice che la risposta radicale a questi interrogativi non la si trova su un piano puramente intellettuale, anche se a questo non si può rinunciare, pena lo scadimento della nostra stessa umanità, ridotta a sole sensazioni ed emozioni, come ahimè troppo spesso accade. L’accesso al mistero di Dio, ci ricorda il vangelo e ci testimonia San Ranieri, è legato a un incontro con la persona viva di Cristo. La centralità di questo incontro induce il nostro patrono a recarsi nella Terra Santa per ripercorrere i luoghi della vita e della passione e risurrezione di Cristo, per poter meglio assimilare la propria vita a lui. Anche questo rendere presente la figura del Cristo storico alla nostra esperienza cristiana è un tratto particolarmente urgente oggi, come ci richiama ancora il Santo Padre». «Da ultimo – ha concluso monsignor Betori -  mi piace attirare la nostra attenzione sul tema della testimonianza. Essa sta all’origine della conversione di Ranieri e diventa poi la caratteristica della sua vita in questa città. Dalla testimonianza viva del vangelo, che coglie nell’esempio e nelle parole del predicatore itinerante, anch’egli laico, Alberto Leccapecore, il giovane Ranieri trae la spinta per uscire dalla propria spensieratezza e convertire la vita al Signore, non senza passare attraverso la confessione sacramentale da cui gli viene il perdono dei peccati, riconoscendo quindi la necessità della mediazione ecclesiale. A sua volta, tornato a Pisa dalla Terra Santa, la testimonianza di vita ascetica, caritatevole, taumaturgica, di predicazione, che esortava al rinnovamento morale della società, fa di San Ranieri un riferimento per tutta la Chiesa e la società pisana del tempo, provocando altre persone a raccogliersi attorno a lui. Questa dimensione testimoniale della fede è anch’essa oggi di grande rilievo. Non c’è bisogno di chissà quali programmi o strategie per convertire il mondo, ma solo – ma questo avverbio è così pesante! – di cristiani che fanno risplendere nella loro vita la bellezza del vangelo e ne sanno parlare con gioia mediante opere e parole. Il mondo ha bisogno di incontri contagiosi con un vangelo vissuto e di cui si sa dare ragione. Come abbiamo ascoltato dall’apostolo Giovanni, nella nostra testimonianza d’amore risplendere l’amore di Dio che ci ha trasformato e così noi ne diventiamo un tabernacolo vivente, come lo sono i santi, come lo è stato San Ranieri: “Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi… E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”.A San Ranieri affidiamo questa aspirazione di santità, di esperienza di Dio, per il popolo che lo invoca come patrono».Alla preghiera dei fedeli si è pregato per la Chiesa di Pisa, per il papa, i vescovi, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, per i sacerdoti che in quel giorno celebravano il loro giubileo presbiterale, per tutti i battezzati, per la nostra convivenza civile («sia ispirata da valori di pace, legalità, rispetto del creato e della solidarietà», per tutti i concittadini («accolgano la parola dell’evangelo rifiutando ogni forma di razzismo e di emarginazione»). Al canto dell’Inno a San Ranieri l’assemblea dei fedeli si è sciolta, riconoscente per aver vissuto una bella esperienza di fede intorno all’urna del santo patrono, mentre alcuni volontari distribuivano, all’uscita, centinaia di copie del nostro settimanale.