Firenze

Betori: «Alla politica manca lo sguardo lungimirante». Sui migranti: «non ci si può chiudere di fronte al bisogno di chi fugge da guerre e da condizioni di vita inumane»

Nella politica di oggi «manca lo sguardo lungimirante di politici che costruivano legami tra i popoli, sia richiamando le esigenze della pace, come il nostro Giorgio La Pira, sia riavvicinando nazioni fino a poco prima in guerra tra loro, come Schumann, Adenauer e De Gasperi, i fondatori dell’Europa, progetto di pace e di unità per un continente prima ancora che intesa economica e commerciale, prospettiva che molti stanno perdendo, travolti dalle logiche dei vantaggi e degli svantaggi».

Lo ha affermato il cardinale Giuseppe Betori nella relazione conclusiva all’assemblea diocesana del clero. «Al di là delle logiche di schieramento e di potere, di destre e di sinistre, di sovranismi e antipopulismi – ha aggiunto – ciò che sembra mancare è un’ispirazione alta della politica, che nasca da una visione altrettanto alta del bene comune, che non può corrispondere alla media degli interessi di ceti o paesi contrapposti. E a costruire una visione alta della politica manca, occorre riconoscerlo, l’alimento doveroso che dovrebbe invece venire da una visione dell’uomo e della storia radicata nel Vangelo. Non si tratta di ricercare spazi di potere per il mondo cattolico, ma di far emergere dall’esperienza della fede un contributo di verità e di speranza che possa essere offerto alla considerazione di tutti».

«Su questo – ha concluso – pesa un ripiegamento delle nostre comunità in logiche intraecclesiali, preoccupati come siamo dei numeri sempre in diminuzione nelle nostre assemblee e nelle nostre iniziative, ma poco attenti invece al rapporto tra la fede e la storia, un confronto sempre da rinnovare, da Chiesa “in uscita”».

Sui migranti: «non ci si può chiudere di fronte al bisogno»

«Paure, chiusure, rifiuti allignano anche nelle nostre comunità cattoliche e ci devono far riflettere su come il messaggio di carità che il Signore ci ha consegnato sia davvero vivo tra noi». Così il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha parlato del tema dei migranti nella sua relazione all’assemblea del clero, all’eremo di Lecceto.

Betori ha ricordato Luigi Luca Cavalli Sforza, «cui si deve la dimostrazione dell’infondatezza del concetto di razza. Una lezione da ricordare, mentre si manifestano sempre più anche nel nostro Paese gesti che sanno di razzismo e che si legano a un sentimento di paura verso l’altro che ingigantisce i reali rapporti tra popolazione italiana e stranieri profughi sul nostro territorio».

«Non si vogliono e non si debbono sottovalutare – ha proseguito – i problemi connessi all’accoglienza dei profughi che ci sono e vanno affrontati, ma non ci si può chiudere di fronte al bisogno di chi fugge da guerre e da condizioni di vita inumane, di chi ha subito violenze e efferatezze di ogni genere e che va accolto, accompagnato, integrato, come è doveroso e come ci indicano possibile le esperienze positive che abbiamo potuto sviluppare anche tra noi. Tutto va fatto con correttezza, ovviamente, e per questo la vigilanza è indispensabile, ma i fatti ci dicono che laddove il percorso è attuato con un sostegno che porti all’inserimento sociale, ne guadagnano le persone e le stesse comunità. È la testimonianza che ci viene dalle buone pratiche delle nostre accoglienze».

Le migrazioni, ha affermato Betori, non si fermeranno «fin quando le condizioni di vita nei paesi che sono scenario di guerre, di ingiustizie, di assenza di libertà, di insostenibile indigenza resteranno tali. Pensare di arginare i fatti con i muri e i divieti è puramente illusorio; crea solo altre sofferenze e sposta i problemi lontano dagli occhi, ma non li elimina. Anche perché chi non è accolto, accompagnato e integrato va poi a finire nell’invisibilità, facile preda delle forze oscure della malavita. Cercare di orientare le migrazioni attraverso politiche di cooperazione e di coordinamento, come i corridoi umanitari, non solo è saggio ma è anche capace di evitare gli esiti più distruttivi, come le morti in mare, e di generare prassi virtuose, con la prudenza che fa i conti con le concrete possibilità. È quello che continueremo a fare nella nostra diocesi. Raccomando alle comunità parrocchiali di sostenere il lavoro che viene svolto nelle strutture che fanno capo alla nostra Caritas, come pure di offrire occasioni di integrazione anche per coloro che sono accolti, nel rispetto delle normative, in altre strutture, come so che già lodevolmente viene fatto in alcune parrocchie».

Firenze: no alle logiche del profitto e della rendita

Guardando alla vita di Firenze e della nostra diocesi, Betori ha concluso: «ribadisco l’esigenza di creare un tessuto sociale forte, fatto di famiglie e di una rete di risposta ai bisogni primari delle persone, abbandonando la prevalente logica di profitto e di rendita, che intercetta sì il flusso turistico ma svilisce l’immagine stessa del nostro territorio». Ha quindi richiamato l’omelia della festa di San Giovanni, il 24 giugno scorso, quando invocò «una identità non chiusa, ma dialogica e inclusiva, come nelle nostre migliori tradizioni, e per questo densa di contenuti e di riferimenti alla persona, alla sua dignità, alla socialità e al bene comune».