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Betlemme: il custode Patton ha aperto il tempo di Avvento
La città natale di Gesù è attanagliata da una grave crisi sociale ed economica dovuta alla guerra scoppiata il 7 ottobre 2023. Il richiamo di padre Patton è stato tutto improntato alla speranza
Con il tradizionale “ingresso”, sabato 30 novembre, il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, ha dato inizio al periodo di Avvento a Betlemme. Il corteo del Custode, dopo aver lasciato Gerusalemme, lungo la strada che porta a Betlemme, ha fatto tappa al monastero ortodosso di Mar Elias, dove è stato salutato da una delegazione della comunità di Beit Jala. Subito dopo il corteo ha ripreso la marcia per arrivare alla Basilica della Natività, non prima di aver attraversato il check point israeliano situato nei pressi della Tomba di Rachele, aperto per questa occasione. Padre Patton, con il suo vicario custodiale padre Ibrahim Faltas, ha quindi percorso a piedi, scortato dai gruppi scout, la Via della Stella, che porta direttamente alla piazza della Mangiatoia e alla attigua basilica della Natività.
Nel tragitto ha ricevuto i saluti di tanti bambini che avevano in mano dei cartelli inneggianti alla pace e alla speranza, in un clima sobrio ben lontano dalle feste che solitamente si facevano negli anni scorsi e comunque prima della guerra scoppiata il 7 ottobre scorso. Un modo chiaro per testimoniare rispetto per le sofferenze della popolazione.
Tre indicazioni. Le celebrazioni del sabato pomeriggio hanno avuto come fulcro la recita dei Primi Vespri, la processione del Custode, insieme ai frati e ai fedeli verso la Grotta della Natività, con la reliquia della culla di Gesù, donata da Papa Francesco alla Custodia di Terra Santa e l’accensione della prima candela della corona d’Avvento. Ieri, 1° dicembre, la messa nella Chiesa di Santa Caterina presieduta dal Custode Patton che nell’omelia ha ricordato l’importanza di mantenere viva la speranza cristiana dando tre indicazioni, tratte dalle Scritture proclamate: “siamo chiamati ad alzare il capo; siamo chiamati a vegliare pregando; siamo chiamati a crescere nell’amore”.
“Risollevarci e alzare il nostro sguardo – ha detto – significa che in mezzo ai problemi della vita non dobbiamo mai disperare o farci vincere dalla paura e non dobbiamo ripiegarci su noi stessi, ma alzare ancora di più il nostro sguardo verso Gesù: è lui l’unico che può realmente cambiare il senso della storia”. Per tenere viva questa speranza, “occorre che sappiamo vegliare pregando, come ci suggerisce lo stesso Gesù” ha spiegato Patton che ha ricordato la testimonianza di un giovane di Gaza, Suhail Abo Dawood, che ha raccontato come sotto i più terribili bombardamenti si sentiva sicuro perché era in chiesa, a pregare, assieme agli altri cristiani e sentiva così che la sua vita era nelle mani di Dio”. Quando solleviamo il nostro sguardo, quando siamo capaci di vegliare pregando, ha concluso il Custode, “allora, diventiamo capaci, come ci invita san Paolo, a crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti. Quando i tempi e le situazioni sono difficili, la fede in Gesù ci aiuta a tenere viva la speranza. E la speranza ci spinge a crescere e abbondare nell’amore, sia verso i membri della nostra famiglia e della nostra comunità, sia verso tutte le persone”.
Natale di preghiera e di carità. Parole che il parroco latino di Betlemme, padre Rami Asakrieh, francescano della Custodia di Terra Santa, fa proprie. La comunità cristiana di Betlemme dichiara al Sir, “si prepara al Natale come da tradizione, perché nelle tenebre di questo tempo e di questa guerra abbiamo la luce di Gesù e la speranza che da Lui proviene”. Così, se la piazza della Mangiatoia sarà destinata a restare al buio – dalla Municipalità di Betlemme arrivano conferme che non ci saranno albero e luci natalizie – le chiese, in ossequio ad una dichiarazione dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Gerusalemme, commemoreranno l’avvicinarsi e la nascita di Cristo “dando segni pubblici di speranza cristiana, celebrando il Natale con modi rispettosi delle gravi privazioni che milioni di persone nella nostra regione continuano a sopportare a causa della guerra”. “Questo – spiega padre Rami – per noi vuole dire unire alle preghiere, atti di carità e di accoglienza. In questo tempo cercheremo, nel nostro piccolo, di fare dei doni ai bambini aiutando in questo modo le famiglie. Pensiamo anche di organizzare dei piccoli rinfreschi. Sono tutti gesti che ravvivano la speranza e la comunione”. Il parroco ci tiene a ricordare “le condizioni drammatiche in cui la popolazione betlemita si trova vivere a causa della guerra. Manca il lavoro, tanti sono stati licenziati, le famiglie hanno cominciato ad usare i loro risparmi per andare avanti, c’è stato chi ha venduto i propri averi e chi ha contratto debiti. Andare avanti è oggi ogni giorno più difficile così sono sempre di più quelli che pensano di emigrare. Molti sono già andati via ma è difficile dire quanti”.
“La speranza in un futuro di pace – ammette padre Rami – contrasta con la preoccupazione delle famiglie per il futuro dei loro figli. Il sentimento che pervade la vita dei palestinesi qui è la disperazione alimentata dalla violenza, dalla sfiducia nei politici, dal futuro incerto. Incapaci di reagire i palestinesi resistono solo per sostenere i loro figli”.
Ma, ricorda il frate, “non è la prima volta che vediamo il male, la guerra. La cosa che ci ha fatto resistere in questi tempi bui e anche nelle persecuzioni del passato è stata la fede. Le nostre chiese sono piene e vissute dai fedeli. Per noi Dio rappresenta il rifugio sicuro cui aggrapparci nelle difficoltà. La pace comincia nel cuore e per questo resistono. Hanno fiducia e speranza in Dio e non nelle false promesse e nelle bugie dei capi del mondo”. “E così – conclude il frate, ripetendo le parole dei capi religiosi della Città Santa – faremo eco alla storia del Natale, dove gli angeli annunciarono ai pastori la lieta novella della nascita di Cristo nel mezzo di tempi altrettanto bui nella nostra regione, offrendo a loro e al mondo intero un messaggio di speranza divina e di pace”.