Ho ascoltato con perplessità la recente dichiarazione del nostro presidente del consiglio, con la quale definiva se stesso e la sua parte politica come «i continuatori dell’opera di don Luigi Sturzo». Non potendo chiedere il parere di don Sturzo, mi accontenterò di una vostra valutazione.Andrea GoriPratoHo letto anch’io quanto dichiarato da Silvio Berlusconi il 23 novembre scorso, commemorando, con l’apposizione di una lapide, l’appello «agli uomini liberi e forti» che don Luigi Sturzo lanciò 18 novembre 1918 dal palazzo in via dell’Umiltà, a Roma, oggi sede di Forza Italia. «C’è una perfetta coincidenza fra il pensiero di Don Sturzo e la nostra recente riforma costituzionale. Questo può ravvisarlo chiunque non sia accecato da uno spirito di parte. Noi ci sentiamo i continuatori della sua affascinante avventura umana», ha detto in quell’occasione il premier. Dichiarazioni che hanno suscitato perplessità anche tra i suoi stessi alleati. «Sostenere che Don Sturzo è il padre della devolution ha commentato Marco Follini è come dire che a Cristoforo Colombo sarebbe piaciuta tanto la Coca Cola». Intendiamoci: trovo legittimo che un leader politico additi a proprio modello un grande del passato. Quello che non è corretto è il chiamarlo a giudice delle proprie scelte, ben sapendo che non può né smentire né prendere le distanze dal suo sedicente epigono.Claudio Turrini