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Berlino e Roma, la doppia finale del calcio italiano

di Giampiero Masierigiornalista sportivo de «La Nazione»Il pallone ha fatto gol agli scandali, ci siamo innamorati di nuovo del calcio, tra felici colpi di luna e non più colpi di telefonino. Ora ci sono due partite finali, in due stadi per l’appunto olimpici, quello di Berlino con gli azzurri in campo, quello di Roma con in campo una montagna di pasticci, facce tirate, grida di innocenza, pericolo di crolli, geografia calcistica da ridisegnare, lacrime sotto pelle da parte di tifosi che non c’entrano nulla.

Cominciamo idealmente da Berlino. Citarsi addosso è deplorevole, anzi è assolutamente antigienico, sostengono in casa mia, però la vanità è così tanta, e la nostalgia ancora di più, che nel parlare, discorrere, magari discutere, ma non disquisire da eccelse cattedre su questi campionati del mondo, il cronista in oggetto ha spesso ripensato a Spagna ’82, quando la nazionale di Bearzot stentò nelle partite di Vigo in Galizia, ma al contrario di altre squadre non soffrì il caldo, poi scese a Barcellona, prima al Sarria, stadio che non esiste più, poi al Nou Camp, che ora chiamano Camp Nou, in attesa del balzo fantastico al Santiago Bernabeu di Madrid. Al cronista di cui sopra è tornato in mente quel periodo anche per alcune affinità con il presente, sempre in chiave azzurra s’intende, ma felicemente superate: i bronci, le impuntature, i permali, la commediola degli equivoci, fino all’ipotesi di un silenzio stampa che in Germania invece non c’è stato, ma forse non era molto lontano, a giudicare da certe parole non esattamente indecifrabili di pochi giorni fa.

Ripensare a Spagna ’82 equivaleva istintivamente a costruirsi a poco a poco un animo vincente, e difatti ricordiamo la visita lampo di Giovanni Spadolini nel ritiro azzurro nei pressi di Barcellona e quella, storica, di Pertini a Madrid in occasione della finale. Questa volta ha prevalso, come linea costante, il biondo e il diafano di Giovanna Melandri, ministro dello sport dal passo sportivo e suadente.

Nella marcia di avvicinamento alla finale abbiamo appreso nuovi acronimi, tipo wags, che sta a indicare mogli, o quasi mogli o prossimamente mogli di alcuni famosi calciatori. In più è entrato nel linguaggio comune il Teamgeist, ovvero Spirito di Squadra, il pallone ideato per i mondiali. Su fondo bianco spiccano le immagini in nero che dovrebbero ricordare le impronte lasciate dalle suole delle scarpe.Quel pallone dal nome così solenne è entrato per la prima volta nella rete dei tedeschi, martedì scorso a Dortmund in uno stadio dedicato alla Vestfalia, quando molti di noi erano ormai pronti ad assistere alla roulette russa dei calci di rigore, pratica per certi versi affascinante, per altri quasi perversa. È stato allora, al culmine di una partita poderosa, che l’amore per il pallone è esploso di nuovo dopo gli approcci già abbastanza chiari nelle partite precedenti. C’era, e c’è, tanta voglia di pallone, una voglia ingigantita proprio dall’amarezza per calciopoli, per i pissi-pissi-bau-bau, chiamiamoli così, nelle intercettazioni telefoniche, per alcune frasi in confronto alle quali il linguaggio dei vecchi barrocciai era dolce stil novo, e naturalmente per tutto quello che aveva portato e ha portato allo sconforto. Prima di Italia-Germania un giornale tedesco aveva invitato a boicottare la pizza. Peggio per loro. Dopo Italia-Germania il piatto del giorno è il pallone. Nostrano, s’intende.

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