Opinioni & Commenti

Benvenuti al circo domenicale del pallone

di Umberto FolenaEsultate dunque con me, poiché ho fatto gol. I tuoi compagni non se lo fanno ripetere. Ti zompano addosso e ti s’arrampicano sopra come se fossi il palo della cuccagna. Oppure… Dipende. Luca Toni ad esempio va lasciato libero (o meglio… andava lasciato libero) di svitarsi l’orecchio per qualche secondo, prima di essere sommerso. E i nigeriani circensi, i Martins e gli Obinna che ti umiliano esibendosi in due, quattro, otto capriole all’indietro, alé, io posso e tu non ci provare se no ti spiezzi in due, quelli bisogna lasciarli finire il numero prima di affossarli, perché se li abbatti in volo devono intervenire i vigili del fuoco con la lancia termica per districarvi.

Quanto a Di Canio, saluta sempre a braccio teso ma l’hanno convinto a tenere dritto un dito solo, fortunatamente l’indice; ma l’espressione rimane maschia e imperiale. Esultino pure, loro che ne hanno motivo. In fondo il modo di esprimere la propria gioia è rivelatrice della personalità. Dimmi come esulti e ti dirò chi sei. Juary, il brasilero dell’Avellino, danzava attorno alla bandierina; Cassano, il barese oggi madridista, la bandierina la prende a calci: chi invitereste a cena tra i due? Ravanelli inaugurò – ma fu davvero lui? – la moda dell’omino mascherato infilandosi la maglietta in testa e correndo al buio verso orizzonti sconosciuti; nel frattempo potevamo ammirare la t-shirt con lo sponsor, la foto ricordo, la frase epica.

Tutto sopporteremmo da chi ci regala un gol. Batistuta sparava con il mitra, cosa che dopo l’Afghanistan e l’Iraq nessuno si sogna di fare. Gli atleti di Dio indicano il Cielo con il dito, anzi lo toccano. Totti con la moglie incinta si ficca il pallone sotto la casacca e ci fornisce l’immagine di se stesso tra vent’anni, dopo infinite trattorie e infiniti bucatini. Altri mimano: bambini cullati, animali, trenini…

Che cosa non si fa per lo spettacolo e per rimanere memorabili. E invano. L’unica esultanza immortale è quella eccezionale improvvisata in circostanze eccezionali: l’Urlo Muto (maiuscolo) di Marco Tardelli a Madrid 1982, Italia-Germania, sta assisa solitaria nell’Olimpo del nostro immaginario calcistico, e voi pedatori odierni non ci potete far niente. A meno che non vi riesca di fare gol in una finale mondiale vinta. Ma quella bocca spalancata, quegli occhi strabuzzati, quella corsa sfrenata, quelle braccia tese… Non provate a copiarli: o li avete dentro, o niente.