Cultura & Società
Beni culturali, dietro l’offensiva alle Soprintendenze
di Francesco Gurrieri
Quando, nel 1975, Giovanni Spadolini riprese e mandò ad effetto la lontana intuizione del primo governo Parri (che con Carlo L. Ragghianti ebbe un «sottosegretariato per le antichità e belle arti»), il nuovo «Ministero per i Beni Culturali e Ambientali» fu trionfalmente accolto da tutta l’intellighentia del nostro Paese, regioni comprese, allora di fresca attivazione. Fu il governo Moro-La Malfa a dare corpo ad una aspettativa secolare che aveva attraversato i lavori in parlamento, a partire dalla fine dell’Ottocento, con Ruggero Bonghi, Rosadi e Benedetto Croce. Precedentemente, l’assetto istituzionale, era stato quello di una «Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti», quale componente specialistica del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1939, un anno prima di entrare in guerra, l’Italia si dà un ordinamento e due leggi fondamentali di tutela del patrimonio avanzatissime, tanto da essere ancora oggi vigenti, se pur riaccorpate nel «Codice dei Beni Culturali» del 2004. Alla formazione delle leggi del ’39 «Tutela delle cose d’interesse artistico e storico», «Protezione delle bellezze naturali e panoramiche» avevano lavorato per il ministro Bottai, storici dell’arte e architetti come Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Gustavo Giovannoni e Guglielmo De Angeli d’Ossat. Né è da dimenticare per i positivi indotti effetti sulla tutela del territorio che, mentre si combatteva ad El Alamein e sul fronte russo, si promulgava l’ottima «Legge Urbanistica» del 1942.
Ma fin qui si sono evocate le «buone» leggi di tutela. Non meno importante è sempre stato e lo è ancor oggi è l’aspetto del reclutamento del personale scientifico-tecnico e degli strumenti consultivi e di controllo dell’operatività ministeriale. Non senza ricordare che per un naturale fenomeno di osmosi fra soprintendenze e università c’è sempre stato un rapporto assai stretto. Solo per citarne alcuni, Salvini, Argan, Brandi, De Angelis, Sanpaolesi, Cristofani, Bellosi, ebbero codesto transito, assumendo la responsabilità della formazione dell’attuale classe docente che oggi è andata in «cattedra». Vedremo poco più avanti perché tutto ciò sia utile evocare. Dobbiamo ricordare, infatti, l’esistenza del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, che è il massimo consesso scientifico di consulenza al Ministro: qui vi sono varie componenti, ma soprattutto vi sono illustri docenti universitari in materia di archeologia, storia dell’arte, architettura, paesaggio. I Comitati di settore (afferenti alle diverse discipline) coordinano metodologie e criteri di intervento, esprimono pareri sugli acquisti e gli interventi di particolare impegno, danno pareri su questioni di particolare rilevanza, possono chiedere precisazioni e relazioni agli uffici ministeriali e alle soprintendenze. Come si vede, una funzione istituzionale delicata, apicale, a cui occorre far riferimento.
Gli attacchi alla conservazione della Villa del Casale a Piazza Armerina, la confusa campagna intorno alla Cappella degli Scrovegni a Padova, l’iterata e non asettica polemica su Pompei, la durezza dell’attacco nella vicenda del Crocifisso ligneo michelangiolesco, la disordinata stigmatizzazione della ricerca della «Battaglia di Anghiari» in Palazzo Vecchio (ricerca tutta elettronica e indolore, assai meno indolore della precedente ove il bravo Umberto Baldini ebbe ad effettuare uno stacco della superfice vasariana) ed altri casi che non sarebbe difficile citare, non sembrano essere «dispareri culturali» e piuttosto animose recriminazioni d’altra natura. Cui prodest? Non certo ad una buona condotta del confronto civile per i beni culturali. I beni culturali in tribunale non hanno mai aiutato la causa della tutela! Da qui l’amara considerazione che si torni a volere uno «sfascio istituzionale» dei beni culturali, nella prospettiva di una liberalizzazione selvaggia che non afferisce al governo ma a forze economiche che hanno sempre mal sopportato ogni tutela dei beni culturali e del paesaggio.
Il dibattito è in corso e c’è da augurarsi che i ministri Ornaghi, Profumo e Passera, possano davvero potere e saper cogliere utili indicazioni. Intanto in un utile documento («Sole/24 Ore») si indicano cinque punti: una «costituente per la cultura», una «strategia di lungo periodo», una «cooperazione tra ministeri competenti», «l’arte a scuola e la cultura scientifica a tutti i livelli educativi», «sgravi ed equità fiscale per il pubblico-privato». La condivisione si è aperta e, come era prevedibile, la corsa a prospettare il proprio nome si è fatta irresistibile. Tutto può essere utile. L’importante è lasciar fuori dell’uscio la demagogia e lavorare per la conoscenza, la ricerca, l’arte, la tutela e l’occupazione. Si può fare: una riconciliazione sociale e una più feconda serenità del paese possono passare anche da una rinnovata e appassionata politica per i beni culturali.