Vita Chiesa
Benelli, un «grazie» dopo 20 anni
Fu deciso allora dai parenti e da me di riportare il Cardinale in arcivescovado, perché morisse in casa sua e, finché era possibile, tra i suoi. Le suore che erano con lui e lo avevano seguito da Roma, prepararono un piccolo altare ai piedi del letto ed io cominciai la Messa. Ero confuso ed emozionato. Benché il Cardinale non fosse cosciente, io sapevo la decisione lucida che egli aveva espresso pochi giorni prima celebrando per i seminaristi:«Tutti coloro che vogliono mettersi alla sequela del Cristo per prolungare nella storia la sua missione, debbono accettare di pagare per gli altri come ha fatto Lui…. Nel mondo c’è sempre qualcuno che, per ragioni misteriose, il più delle volte incomprensibili a noi, deve pagare per gli altri». Ero profondamente convinto che quel «qualcuno» ora era lui ed io potevo offrire la sua vita insieme alla Vittima divina. Me lo rivedo ancora dinanzi, ormai esanime, sul letto diventato altare, con la faccia bianca, ma distesa, sulla quale mi pareva di poter leggere le ultime parole uscite dalla sua bocca: «Grazie!… Grazie!…».
«Grazie!… Grazie!…»: sono le parole che cantano anche nel mio cuore, ogni volta che in me riemerge il ricordo del carissimo Cardinale. Da quando poi, in obbedienza alla Chiesa, ho lasciato la responsabilità del governo pastorale della diocesi, che il Papa, con grande mio stupore e sgomento, ha voluto affidarmi dopo di lui, ho compreso ancora meglio il dono che lui è stato per la nostra Chiesa, ho misurato con crescente consapevolezza il mutamento profondamente positivo da lui operato nel nostro cammino ecclesiale.
Quando mi è capitato di leggere che il grande desiderio del Papa Paolo VI per la Chiesa era «abbandonare i veli caduchi del volto regale della Chiesa, per lasciare che la sua faccia povera e umile apparisse nella sua originale realtà, spoglia di ogni artificioso ornamento, ma insieme irradiante di una sua sovrumana bellezza»; quando un Nunzio apostolico, parlando di monsignor Benelli, Sostituto della Segreteria di Stato, mi ha confidenzialmente raccontato la decisa non approvazione di un progetto per la sede della Nunziatura giudicato troppo lussuoso per l’Africa, ho ripensato «la sua vita semplice ed austera, aliena da indulgenze ad ogni forma di sfarzo e capace anche di distacchi esemplari». Queste parole dette dal Papa Giovanni Paolo II nella Messa di suffragio dipingono bene com’era Benelli in Vaticano ed ancor più come viveva a Firenze.
Il dinamismo e l’entusiasmo del suo temperamento intraprendente, che in quei cinque anni di episcopato ci hanno trascinato in un’avventura quasi da Atti degli Apostoli, nascevano dalla generosità e dalla forza della sua volontà, ma erano arricchiti dall’esperienza di un’attività intensissima accanto al Papa Paolo VI in quei particolarissimi dieci anni del dopo-Concilio, quando il giovane Sostituto mise tutto il dinamismo della sua tempra di realizzatore a disposizione del Papa per aiutare il grande sforzo di dare attuazione alle direttive maturate nel Vaticano II.
Ho sempre ammirato il cardinale Benelli per l’ardore con cui si buttava a difendere le cause ritenute giuste; per la istintività polemica con cui affrontava i problemi essenziali alla vita e alla convivenza umana; per l’entusiasmo e la forza trascinatrice con cui viveva la sua meravigliosa visita pastorale; per i contatti immediati che riusciva a stabilire con la gente; per il fascino che esercitava sui giovani, per i quali diceva: «non vanno preceduti, né seguiti, occorre camminare accanto a loro».
Ma la lezione più toccante ed efficace per me è stata la sua capacità di aprire con sincerità il proprio cuore, mettendosi al nudo dinanzi agli altri. Come quando, dieci giorni prima di morire, due giorni prima di essere ricoverato in ospedale, ha introdotto l’atto penitenziale della Messa parlando della paura: «Quello che paralizza è la paura…. La malattia, la morte, nei momenti più bui: Dio mi ha abbandonato. È la più grande bestemmia. Paura di perdere prestigio, che, con una sottile vanità, noi mettiamo sul piano delle cose necessarie per poter lavorare nel Regno di Dio; e tante altre paure…. Apriamo la nostra anima allo Spirito di Dio, l’unico che può spazzare via tutte le paure».