Benedetto XVI

Benedetto XVI, viaggio in Camerun e Angola

I testi integrali dei discorsi pronunciati da Benedetto XVI durante il suo viaggio apostolico in Camerun e Angola, dal 17 al 23 marzo 2009.

INDICE

  • Intervista durante il volo verso l’Africa (17 marzo 2009)

  • Cerimonia di benvenuto a Yaoundé (17 marzo 2009)

  • Incontro con i Vescovi del Camerun a Yaoundé (18 marzo 2009)

  • Celebrazione dei Vespri a Yaoundé (18 marzo 2009)

  • Incontro con i rappresentanti della Comunità Musulmana (19 marzo 2009)

  • Messa in occasione pubblicazione Instrumentum Laboris del Sinodo allo stadio di Yaoundé (19 marzo 2009)

  • Pubblicazione dell’Instrumentum Laboris (19 marzo 2009)

  • Incontro con il mondo della sofferenza a Yaoundé (19 marzo 2009)

  • Incontro con i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa del Sinodo (19 marzo 2009)

  • Cerimonia di Congedo all’Aeroporto di Yaoundé (20 marzo 2009)

  • Cerimonia di benvenuto all’Aeroporto di Luanda (20 marzo 2009)

  • Incontro con le Autorità politiche e civili a Luanda (20 marzo 2009)

  • Incontro con i Vescovi dell’Angola e São Tomé a Luanda (20 marzo 2009)

  • Messa nella Chiesa São Paolo di Luanda (21 marzo 2009)

  • Incontro con i giovani nello Stadio di Luanda (21 marzo 2009)

  • Messa con i Vescovi dell’I.M.B.I.S.A. nella Spianata di Cimangola a Luanda (22 marzo 2009)

  • Recita dell’Angelus nella Spianata di Cimangola a Luanda (22 marzo 2009)

  • Incontro con i Movimenti Cattolici per la Promozione della Donna (22 marzo 2009)

  • Cerimonia di congedo all’Aeroporto di Luanda (23 marzo 2009)

Cerimonia di benvenuto all’Aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé (17 marzo 2009)

All’arrivo all’aeroporto Nsimalen di Yaoundé, alle 16, Benedetto XVI è stato accolto dal Presidente della Repubblica del Camerun, Paul Biya, e da numerose Autorità politiche e civili; dal Nunzio mons. Eliseo Antonio Ariotti; dall’Arcivescovo di Yaoundé e Presidente della Conferenza Episcopale del Camerun, mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, e dal card. Christian Wiyghan Tumi, Arcivescovo di Douala, daii Vescovi del Camerun e da una rappresentanza di fedeli. Dopo il saluto del Presidente della Repubblica del Camerun, il Papa ha pronunciato in francese il discorso che riportiamo nella traduzione italiana.

Signor Presidente, Illustri Rappresentanti delle Autorità civili, Signor Cardinale Tumi, Venerati Fratelli Vescovi, Cari fratelli e sorelle, grazie per il benvenuto con cui mi avete accolto. E grazie a Lei, Signor Presidente, per le Sue gentili parole. Apprezzo grandemente l’invito a visitare il Camerun e per questo desidero esprimere la mia riconoscenza a Lei ed al Presidente della Conferenza Episcopale Nazionale, l’Arcivescovo Tonyé Bakot. Porgo il mio saluto a tutti voi che mi avete onorato con la vostra presenza in questa circostanza, e desidero che sappiate quale gioia mi procura l’essere tra voi in terra africana, per la prima volta dalla mia elezione alla Sede di Pietro. Saluto affettuosamente i miei Fratelli Vescovi, come pure il clero e i fedeli laici qui convenuti. Il mio rispettoso saluto va anche ai Rappresentanti del Governo, alle Autorità civili e al Corpo diplomatico. Dal momento che questa Nazione, così come numerose altre in Africa, si avvicina al cinquantesimo anniversario della sua indipendenza, desidero aggiungere la mia voce al coro dei rallegramenti e degli auspici che i vostri amici in ogni parte del mondo vi invieranno in tale lieta occasione. Con gratitudine registro la presenza di membri di altre Confessioni cristiane e di seguaci di altre religioni. Unendovi a noi in questo giorno, voi offrite un chiaro segnale della buona volontà e dell’armonia che esiste in questo Paese tra persone di differenti tradizioni religiose.

Vengo tra voi come pastore. Vengo per confermare i miei fratelli e le mie sorelle nella fede. Questo è stato il compito che Cristo ha affidato a Pietro nell’Ultima Cena, e questo è il ruolo dei successori di Pietro. Quando Pietro predicò alla moltitudine in Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, erano presenti tra loro anche visitatori provenienti dall’Africa. La testimonianza poi di molti grandi santi di questo Continente durante i primi secoli del cristianesimo – San Cipriano, Santa Monica, Sant’Agostino, Sant’Atanasio, per nominarne solo alcuni – assicura all’Africa un posto di distinzione negli annali della storia della Chiesa. Fino ai giorni nostri schiere di missionari e di martiri hanno continuato ad offrire la loro testimonianza a Cristo in ogni parte dell’Africa, e oggi la Chiesa è qui benedetta con la presenza di circa centocinquanta milioni di fedeli. Quanto appropriata è dunque la decisione del Successore di Pietro di venire in Africa per celebrare con voi la vivificante fede in Cristo, che sostiene e nutre un così gran numero di figli e figlie in questo grande Continente.

Fu qui a Yaoundé nel 1995 che il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, promulgò l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, frutto della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi a Roma l’anno precedente. Il decimo anniversario di quello storico momento fu celebrato or non è molto con grande solennità in questa stessa città. Sono venuto qui per presentare l’Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale, che si realizzerà a Roma nel prossimo ottobre. I Padri del Sinodo rifletteranno insieme sul tema: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: ‘Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14)”. Dopo quasi dieci anni del nuovo millennio, questo momento di grazia è un appello a tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Continente a dedicarsi nuovamente alla missione della Chiesa a portare speranza ai cuori del popolo dell’Africa, e con ciò pure ai popoli di tutto il mondo.

Anche in mezzo alle più grandi sofferenze, il messaggio cristiano reca sempre con sé speranza. La vita di Santa Josephine Bakhita offre uno splendido esempio della trasformazione che l’incontro con il Dio vivente può portare in una situazione di grande sofferenza ed ingiustizia. Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio. Il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza, così che la luce di Cristo possa brillare nel buio della vita delle persone. Qui, in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto. Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove. In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù. In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia. Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21). Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita. Non amare rivalità interetniche o interreligiose, ma la rettitudine, la pace e la gioia del Regno di Dio, descritto in modo così appropriato dal Papa Paolo VI come “civiltà dell’amore” (cfr Messaggio per il Regina caeli, Pentecoste 1970).

Qui in Camerun, dove oltre un quarto della popolazione è cattolica, la Chiesa è ben piazzata per portare avanti la sua missione per la salute e la riconciliazione. Nel Centro Cardinal Léger, potrò osservare di persona la sollecitudine pastorale di questa Chiesa locale per le persone malate e sofferenti; ed è particolarmente encomiabile che i malati di Aids in questo Paese siano curati gratuitamente. L’impegno educativo è un altro elemento-chiave del ministero della Chiesa, ed ora vediamo gli sforzi di generazioni di insegnanti missionari portare il loro frutto nell’opera dell’Università Cattolica dell’Africa Centrale, un segno di grande speranza per il futuro della regione.

Il Camerun è effettivamente terra di speranza per molti nell’Africa Centrale. Migliaia di rifugiati dai Paesi della regione devastati dalla guerra hanno ricevuto qui accoglienza. E’ una terra di vita, con un Governo che parla chiaramente in difesa dei diritti del non nati. E’ una terra di pace: risolvendo mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi, Camerun e Nigeria hanno mostrato al mondo che una paziente diplomazia può di fatto recare frutto. E’ una terra di giovani, benedetta con una popolazione giovane piena di vitalità e impaziente di costruire un mondo più giusto e pacifico. Giustamente viene descritto come un'”Africa in miniatura”, patria di oltre duecento gruppi etnici differenti che vivono in armonia gli uni con gli altri. Sono, queste, altrettante ragioni per lodare e ringraziare Dio.

Venendo tra voi, oggi, prego che la Chiesa qui e dappertutto in Africa possa continuare a crescere nella santità, nel servizio alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Prego perché il lavoro della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi possa soffiare sul fuoco dei doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa in Africa. Prego per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e i vostri cari e chiedo a voi di unirvi a me nella preghiera per tutti gli abitanti di questo vasto continente. Dio benedica il Camerun! Dio benedica l’Africa!

Incontro con i Vescovi del Camerun nella Chiesa Christ-Roi in Tsinga a Yaoundé (18 marzo 2009)

Signor Cardinale,

Cari Fratelli nell’Episcopato,

Questo incontro con i Pastori della Chiesa Cattolica in Camerun rappresenta per me una grande gioia. Ringrazio il Presidente della vostra Conferenza Episcopale, Mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, Arcivescovo di Yaoundé, per le amabili parole che mi ha rivolto in vostro nome. E’ la terza volta che il vostro Paese accoglie il Successore di Pietro e, come voi sapete, il motivo del mio viaggio è innanzitutto un’occasione per incontrare i popoli dell’amato continente africano ed anche per consegnare ai Presidenti delle Conferenze episcopali l’Instrumentum laboris della seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per Africa. E questa mattina, attraverso di voi, desidero salutare con affetto tutti i fedeli affidati alle vostre cure pastorali. La grazia e la pace del Signore Gesù siano con ciascuno di voi, con tutte le famiglie del vostro grande e bel paese, con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i catechisti e le persone impegnate con voi nell’annuncio del Vangelo!

In questo anno consacrato a san Paolo, è particolarmente opportuno ricordarci l’urgente necessità di annunciare il Vangelo a tutti. Questo mandato, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo rimane una priorità, giacché numerose sono ancora le persone che attendono il messaggio di speranza e di amore che permetterà loro di «conoscere la libertà, la gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21). Con voi dunque, cari Fratelli, sono le vostre comunità diocesane tutte intere ad essere inviate per rendere testimonianza del Vangelo. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con forza che « l’attività missionaria attiene profondamente alla natura stessa della Chiesa » (Ad gentes, n. 6). Per guidare e stimolare il Popolo di Dio in questo compito, i Pastori devono essere essi stessi, prima di tutto, annunciatori della fede per condurre a Cristo nuovi discepoli. L’annuncio del Vangelo è proprio del Vescovo che, come san Paolo, può così proclamare : « Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone : guai a me se non annunciassi il Vangelo ! » (1 Co 9, 16). Per confermare e purificare la loro fede, i fedeli hanno bisogno della parola del loro Vescovo, che è il catechista per eccellenza.

Per assumere questa missione d’evangelizzazione e rispondere alle molteplici sfide della vita del mondo d’oggi, al di là degli incontri istituzionali, che sono in sé necessari, una profonda comunione deve unire tra loro i Pastori della Chiesa. La qualità dei lavori della vostra Conferenza episcopale, che ben riflettono la vita della Chiesa e della società camerunense, vi permettono di cercare insieme risposte alle molteplici sfide che la Chiesa deve affrontare e, attraverso le vostre Lettere pastorali, di offrire direttive comuni per aiutare i fedeli nella loro vita ecclesiale e sociale. La viva coscienza della dimensione collegiale del vostro ministero deve indurvi a realizzare fra di voi le molteplici espressioni della fraternità sacramentale, che vanno dall’accoglienza e dalla stima reciproca alle diverse attenzioni di carità e di collaborazione concreta (cf. Pastores gregis, n. 59). Una effettiva collaborazione fra le diocesi, segnatamente per una migliore ripartizione dei sacerdoti nel vostro Paese, non può che favorire le relazioni di solidarietà fraterna con le Chiese diocesane più povere così che l’annuncio del Vangelo non soffra della mancanza di ministri. Questa solidarietà apostolica si estenderà con generosità ai bisogni delle altre Chiese locali, e in particolare a quelle del vostro continente. Così apparirà chiaramente che le vostre comunità cristiane, sull’esempio di quelle che vi hanno recato il messaggio evangelico, sono esse stesse una Chiesa missionaria.

Cari Fratelli nell’Episcopato, il Vescovo e i suoi sacerdoti sono chiamati a intrattenere relazioni di particolare comunione, fondate sulla loro speciale partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, anche se in gradi diversi. La qualità dei legami con i sacerdoti che sono i vostri principali e irrinunciabili collaboratori, è di fondamentale importanza. Vedendo nel loro Vescovo un padre e un fratello che li ama, che li ascolta e li rinfranca nelle prove, che presta un’attenzione privilegiata al loro benessere umano e materiale, essi sono incoraggiati a farsi carico pienamente del loro ministero in modo degno ed efficace. L’esempio e la parola del loro Vescovo è per essi un aiuto prezioso per dare alla loro vita spirituale e sacramentale un posto centrale nel loro ministero, incoraggiandoli a scoprire e vivere sempre più profondamente che lo specifico del pastore è essere innanzitutto un uomo di preghiera e che la vita spirituale e sacramentale è una straordinaria ricchezza dataci per noi stessi e per il bene del popolo che ci è affidato. Vi invito infine a vigilare con particolare attenzione alla fedeltà dei sacerdoti e delle persone consacrate agli impegni assunti con la loro ordinazione e con il loro ingresso nella vita religiosa, affinché perseverino nella loro vocazione, per una maggiore santità della Chiesa e per la gloria di Dio. L’autenticità della loro testimonianza richiede che non vi sia alcuna differenza tra ciò che essi insegnano e ciò che vivono ogni giorno.

Nelle vostre diocesi numerosi giovani si presentano come candidati al sacerdozio. Possiamo solo ringraziarne il Signore. E’ essenziale che sia fatto un serio discernimento. A tal fine, vi incoraggio, nonostante le difficoltà organizzative a livello pastorale che talvolta possono sorgere, a dare priorità alla selezione e alla formazione dei formatori e dei direttori spirituali. Essi devono avere una conoscenza personale e approfondita dei candidati al sacerdozio ed essere in grado di garantire loro una formazione umana, spirituale e pastorale solida che faccia di loro degli uomini maturi ed equilibrati, ben preparati per la vita sacerdotale. Il vostro costante sostegno fraterno aiuterà i formatori a svolgere il loro compito con l’amore per la Chiesa e la sua missione.

A partire dalle origini della fede cristiana in Camerun, i religiosi e le religiose hanno dato un contributo fondamentale alla vita della Chiesa. Con voi rendo grazie a Dio e mi compiaccio dello sviluppo della vita consacrata tra le figlie e i figli del vostro Paese, che ha consentito anche la manifestazione dei carismi propri dell’Africa nelle comunità sorte nel vostro Paese. In effetti, la professione dei consigli evangelici è come « un segno che può e deve attirare efficacemente i membri della Chiesa a compiere generosamente i doveri della vocazione cristiana » (Lumen gentium, n. 44).

Nel vostro servizio per annunciare il Vangelo, siete anche aiutati da altri operatori pastorali, in particolare i catechisti. Nell’evangelizzazione del vostro Paese essi hanno avuto e hanno ancora un ruolo determinante. Li ringrazio per la loro generosità e la fedeltà al servizio della Chiesa. Per loro tramite si realizza una autentica inculturazione della fede. La loro formazione umana, spirituale e dottrinale è dunque essenziale. Il sostegno materiale, morale e spirituale che i pastori offrono per compiere la loro missione in buone condizioni di vita e di lavoro, è anche per essi l’espressione del riconoscimento da parte della Chiesa dell’importanza del loro impegno per l’annuncio e lo sviluppo della fede.

Tra le numerose sfide che incontrate nella vostra responsabilità di Pastori, vi preoccupa particolarmente la situazione della famiglia. Le difficoltà dovute in special modo all’impatto della modernità e della secolarizzazione con la società tradizionale, vi incitano a preservare con determinazione i valori fondamentali della famiglia africana, facendo della sua evangelizzazione in modo approfondito una delle principali priorità. Nel promuovere la pastorale familiare, voi vi impegnate a favorire una migliore comprensione della natura, della dignità e del ruolo del matrimonio che richiede un amore indissolubile e stabile.

La liturgia occupa un posto importante nella manifestazione della fede delle vostre comunità. Di solito queste celebrazioni ecclesiali sono festose e gioiose, esprimendo il fervore dei fedeli, felici di essere insieme, come Chiesa, per lodare il Signore. E’ dunque essenziale che la gioia così manifestata non sia un ostacolo ma un mezzo per entrare in dialogo e in comunione con Dio, per mezzo di una effettiva interiorizzazione delle strutture e della parole di cui si compone la liturgia, in modo che essa traduca ciò che succede nel cuore dei credenti, in unione reale con tutti i partecipanti. La dignità delle celebrazioni, soprattutto quando esse si svolgono con un grande afflusso di partecipanti, ne è un segno eloquente.

Lo sviluppo di sette e movimenti esoterici come pure la crescente influenza di una religiosità superstiziosa, come anche del relativismo, sono un invito pressante a dare un rinnovato impulso alla formazione dei giovani e degli adulti, in particolare nel mondo universitario e intellettuale. In questa prospettiva, desidero incoraggiare e lodare gli sforzi dell’Istituto cattolico di Yaoundé e di tutte le istituzioni ecclesiali la cui missione è quella di rendere accessibile e comprensibile a tutti la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa. Sono lieto di sapere che nel vostro paese i fedeli laici sono sempre più impegnati nella vita della Chiesa e della società. Le numerose associazioni di laici che fioriscono nelle vostre diocesi, sono segno dell’opera dello Spirito nel cuore dei fedeli e contribuiscono a un nuovo annuncio del Vangelo. Sono lieto di evidenziare e incoraggiare la partecipazione attiva delle associazioni femminili nei vari settori della missione della Chiesa, dimostrando così una reale consapevolezza della dignità della donna e la sua specifica vocazione nella comunità ecclesiale e nella società. Ringrazio Dio per l’impegno che i laici da voi manifestano di contribuire al futuro della Chiesa e all’annuncio del Vangelo. Attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana e i doni dello Spirito Santo, essi sono abilitati e impegnati ad annunciare il Vangelo servendo la persona e la società. Vi incoraggio pertanto vivamente a perseverare nei vostri sforzi per dare ad essi una solida formazione cristiana che consenta loro di « svolgere pienamente il loro ruolo di animazione cristiana dell’ordine temporale (politico, culturale, economico, sociale), che è una caratteristica della vocazione secolare del laicato ». (Ecclesia in Africa, n. 75).

Nel contesto della globalizzazione in cui ci troviamo, la Chiesa ha un interesse particolare per le persone più bisognose. La missione del Vescovo lo impegna ad essere il principale difensore dei diritti dei poveri, a promuovere e favorire l’esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli. In questo modo, i fedeli sono portati a cogliere in modo concreto che la Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione tra le etnie per il bene di tutti. D’altra parte, la Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, vuole risvegliare la speranza nei cuori degli esclusi. E’ anche dovere dei cristiani, specialmente dei laici che hanno responsabilità sociali, economiche, politiche, di lasciarsi guidare dalla dottrina sociale della Chiesa, per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto in cui ciascuno potrà vivere dignitosamente.

Signor Cardinale, cari Fratelli nell’Episcopato, al termine del nostro incontro vorrei esprimere ancora la mia gioia di trovarmi nel vostro paese e di incontrare il popolo camerunense. Vi ringrazio per la vostra accoglienza calorosa, segno della generosa ospitalità africana. La Vergine Maria, Nostra Signora d’Africa, vegli su tutte le vostre comunità diocesane. A Lei affido l’intero popolo camerunense, e di gran cuore vi imparto una affettuosa Benedizione Apostolica, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e a tutti i fedeli delle vostre diocesi.

Celebrazione dei Vespri nella Basilica Marie Reine des Apôtres nel quartiere di Mvolyé a Yaoundé – Discorso del Santo Padre (18 marzo 2009)

Il discorso pronunciato mercoledì 18 marzo da Benedetto XVI nella Basilica Marie Reine des Apôtres di Yaoundé, durante la celebrazione dei primi Vespri della Solennità di San Giuseppe con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi, i diaconi, i membri di movimenti ecclesiali e con i rappresentanti di altre confessioni cristiane del Camerun.

Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,

Cari Sacerdoti e Diaconi, cari fratelli e sorelle consacrati,

Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane,

Cari fratelli e sorelle!

Abbiamo la gioia di ritrovarci insieme per rendere grazie a Dio in questa basilica dedicata a Maria Regina degli Apostoli di Mvolyé, che è stata costruita sul luogo dove venne edificata la prima chiesa ad opera dei missionari spiritani, venuti a portare la Buona Novella in Camerun. Come l’ardore apostolico di questi uomini che racchiudevano nei loro cuori l’intero vostro Paese, questo luogo porta in se stesso simbolicamente ogni piccola parte della vostra terra. E’ perciò in una grande vicinanza spirituale con tutte le comunità cristiane nelle quali esercitate il vostro servizio, cari fratelli e sorelle, che rivolgiamo questa sera la nostra lode al Padre della luce.

Alla presenza dei rappresentanti delle altre Confessioni cristiane, a cui indirizzo il mio rispettoso e fraterno saluto, vi propongo di contemplare i tratti caratteristici di san Giuseppe attraverso le parole della Sacra Scrittura che ci offre questa liturgia vespertina.

Alla folla e ai suoi discepoli, Gesù dichiara: “Uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9). In effetti, non vi è altra paternità che quella di Dio Padre, l’unico Creatore “del mondo visibile ed invisibile”. E’ stato dato però all’uomo, creato ad immagine di Dio, di partecipare all’unica paternità di Dio (cfr Ef 3,15). San Giuseppe manifesta ciò in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo. Questa disponibilità spiega le parole di san Paolo: “Servite il Signore che è Cristo!” (Col 3,24).

Si tratta di non essere un servitore mediocre, ma di essere un servitore “fedele e saggio“. L’abbinamento dei due aggettivi non casuale: esso suggerisce che l’intelligenza senza la fedeltà e la fedeltà senza la saggezza sono qualità insufficienti. L’una sprovvista dell’altra non permette di assumere pienamente la responsabilità che Dio ci affida.

Cari fratelli sacerdoti, questa paternità voi dovete viverla nel vostro ministero quotidiano. In effetti, la Costituzione conciliare Lumen gentium sottolinea: i sacerdoti ”abbiano poi cura, come padri in Cristo, dei fedeli che hanno spiritualmente generato col battesimo e l’insegnamento” (n. 28). Come allora non tornare continuamente alla radice del nostro sacerdozio, il Signore Gesù Cristo? La relazione con la sua persona è costitutiva di ciò che noi vogliamo vivere, la relazione con lui che ci chiama suoi amici, perché tutto quello che egli ha appreso dal Padre ce l’ha fatto conoscere (cfr Gv15,15). Vivendo questa amicizia profonda con Cristo, troverete la vera libertà e la gioia del vostro cuore. Il sacerdozio ministeriale comporta un legame profondo con Cristo che ci è donato nell’Eucaristia. Che la celebrazione dell’Eucaristia sia veramente il centro della vostra vita sacerdotale, allora essa sarà anche il centro della vostra missione ecclesiale. In effetti, per tutta la nostra vita, il Cristo ci chiama a partecipare alla sua missione, a essere testimoni, affinché la sua Parola possa essere annunciata a tutti. Celebrando questo sacramento a nome e nella persona del Signore, non è la persona del prete che deve essere posta in primo piano: egli è un servitore, un umile strumento che rimanda a Cristo, poiché Cristo stesso si offre in sacrificio per la salvezza del mondo. “Chi governa sia come colui che serve” (Lc 22,26), dice Gesù. Ed Origene scriveva: “Giuseppe capiva che Gesù gli era superiore pur essendo sottomesso a lui in tutto e, conoscendo la superiorità del suo inferiore, Giuseppe gli comandava con timore e misura. Che ciascuno rifletta su questo: spesso un uomo di minor valore è posto al di sopra di gente migliore di lui e a volte succede che l’inferiore ha più valore di colui che sembra comandargli. Quando chi ha ricevuto una dignità comprende questo non si gonfierà di orgoglio a motivo del suo rango più elevato, ma saprà che il suo inferiore può essere migliore di lui, così come Gesù è stato sottomesso a Giuseppe” (Omelia su san Luca XX,5, S.C. p. 287).

Cari fratelli nel sacerdozio, il vostro ministero pastorale richiede molte rinunce, ma è anche sorgente di gioia. In relazione confidente con i vostri Vescovi, fraternamente uniti a tutto il presbiterio, e sostenuti dalla porzione del Popolo di Dio che vi è affidata, voi saprete rispondere con fedeltà alla chiamata che il Signore vi ha fatto un giorno, come egli ha chiamato Giuseppe a vegliare su Maria e sul Bambino Gesù! Possiate rimanere fedeli, cari sacerdoti, alle promesse che avete fatto a Dio davanti al vostro Vescovo e davanti all’assemblea. Il Successore di Pietro vi ringrazia per il vostro generoso impegno al servizio della Chiesa e vi incoraggia a non lasciarvi turbare dalle difficoltà del cammino! Ai giovani che si preparano ad unirsi a voi, come a coloro che si pongono ancora delle domande, vorrei ridire questa sera la gioia che si ha nel donarsi totalmente per il servizio di Dio e della Chiesa. Abbiate il coraggio di offrire un “sì” generoso a Cristo!

Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei. Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!

Il contributo spirituale portato dalle persone consacrate è anch’esso assai significativo ed indispensabile per la vita della Chiesa. Questa chiamata a seguire Cristo è un dono per l’intero Popolo di Dio. In adesione alla vostra vocazione, imitando Cristo casto, povero ed obbediente, totalmente consacrato alla gloria del Padre suo e all’amore dei suoi fratelli e sorelle, voi avete per missione di testimoniare, davanti al nostro mondo che ne ha molto bisogno, il primato di Dio e dei beni futuri (cfr Vita consecrata, n.85). Con la vostra fedeltà senza riserve nei vostri impegni voi siete nella Chiesa un germe di vita che cresce al servizio del Regno di Dio. In ogni momento, ma in modo particolare quando la fedeltà è provata, san Giuseppe vi ricorda il senso e il valore dei vostri impegni. La vita consacrata è una imitazione radicale di Cristo. E’ quindi necessario che il vostro stile di vita esprima con precisione ciò che vi fa vivere e che la vostra attività non nasconda la vostra profonda identità. Non abbiate paura di vivere pienamente l’offerta di voi stessi che avete fatta a Dio e di darne testimonianza con autenticità attorno a voi. Un esempio vi stimola particolarmente a ricercare questa santità di vita, quello del Padre Simon Mpeke, chiamato Baba Simon. Voi sapete come “il missionario dai piedi nudi” ha speso tutte le forze del suo essere in una umiltà disinteressata, avendo a cuore di aiutare le anime, senza risparmiarsi le preoccupazioni e la pena del servizio materiale dei suoi fratelli.

Cari fratelli e sorelle, la nostra meditazione sull’itinerario umano e spirituale di san Giuseppe, ci invita a cogliere la misura di tutta la ricchezza della sua vocazione e del modello che egli resta per tutti quelli e quelle che hanno voluto votare la loro esistenza a Cristo, nel sacerdozio come nella vita consacrata o in diverse forme di impegno del laicato. Giuseppe ha infatti vissuto alla luce del mistero dell’Incarnazione. Non solo con una prossimità fisica, ma anche con l’attenzione del cuore. Giuseppe ci svela il segreto di una umanità che vive alla presenza del mistero, aperta ad esso attraverso i dettagli più concreti dell’esistenza. In lui non c’è separazione tra fede e azione. La sua fede orienta in maniera decisiva le sue azioni. Paradossalmente è agendo, assumendo quindi le sue responsabilità, che egli si mette da parte per lasciare a Dio la libertà di realizzare la sua opera, senza frapporvi ostacolo. Giuseppe è un “uomo giusto” (Mt 1,19) perché la sua esistenza è “aggiustata” sulla parola di Dio.

La vita di san Giuseppe, trascorsa nell’obbedienza alla Parola, è un segno eloquente per tutti i discepoli di Gesù che aspirano all’unità della Chiesa. Il suo esempio ci sollecita a comprendere che è abbandonandosi pienamente alla volontà di Dio che l’uomo diventa un operatore efficace del disegno di Dio, il quale desidera riunire gli uomini in una sola famiglia, una sola assemblea, una sola ‘ecclesia‘. Cari amici membri delle altre Confessioni cristiane, questa ricerca dell’unità dei discepoli di Cristo è per noi una grande sfida. Essa ci porta anzitutto a convertirci alla persona di Cristo, a lasciarci sempre più attirare da Lui. E’ in Lui che siamo chiamati a riconoscerci fratelli, figli d’uno stesso Padre. In questo anno consacrato all’Apostolo Paolo, il grande annunciatore di Gesù Cristo, l’Apostolo delle Nazioni, rivolgiamoci insieme a lui per ascoltare e apprendere “la fede e la verità” nelle quali sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.

Terminando, rivolgiamoci alla sposa di san Giuseppe, la Vergine Maria, “Regina degli Apostoli“, perché questo è il titolo con il quale ella è invocata come patrona del Camerun. A lei affido la consacrazione di ciascuno e di ciascuna di voi, il vostro desiderio di rispondere più fedelmente alla chiamata che vi è stata fatta e alla missione che vi è stata affidata. Invoco infine la sua intercessione per il vostro bel Paese. Amen.

Incontro con i rappresentanti della Comunità Musulmana del Camerun nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé (19 marzo 2009)

Alle ore 8.45 del 19 marzo, Benedetto XVi ha incontrato nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé alcuni rappresentanti della Comunità Musulmana del Camerun. Dopo il saluto di Amadou Bello, Presidente dell’ACIC (Association Culturelle Islamique du Cameroun), il Papa ha pronuncia in francese questo saluto che riportiamo nella traduzione italiana.

Cari amici,

lieto dell’occasione che mi è data di incontrare rappresentanti della comunità musulmana in Camerun, esprimo il mio cordiale ringraziamento al Signor Amadou Bello per le gentili parole rivoltemi in vostro nome. Il nostro incontro è un segno eloquente del desiderio che condividiamo con tutti gli uomini di buona volontà – in Camerun, nell’intera Africa e in tutto il mondo – di cercare occasioni per scambiare idee su come la religione rechi un contributo essenziale alla nostra comprensione della cultura e del mondo ed alla coesistenza pacifica di tutti i membri della famiglia umana. Iniziative in Camerun come l’Association Camerounaise pour le Dialogue Interreligieux mostrano come tale dialogo accresca la comprensione vicendevole e sostenga la formazione di un ordine politico stabile e giusto.

Il Camerun è la Patria di migliaia di cristiani e di musulmani, che spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede nello stesso ambiente. I seguaci tanto dell’una quanto dell’altra religione credono in un Dio unico e misericordioso, che nel nell’ultimo giorno giudicherà l’umanità (cfr Lumen gentium, 16). Insieme essi offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio e dell’amore verso i malati e i sofferenti. Plasmando la loro vita secondo queste virtù e insegnandole ai giovani, cristiani e musulmani non solo mostrano come favoriscono il pieno sviluppo della persona umana, ma anche come stringono legami di solidarietà con i loro vicini e promuovono il bene comune.

Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede. Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso. Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto. Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda. Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è “ragionevole” va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il “ragionevole” include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.

Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri. In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.

Per questo vi incoraggio, cari amici musulmani, a penetrare la società con i valori che emergono da questa prospettiva ed accrescono la cultura umana, così come insieme lavoriamo per edificare una civiltà dell’amore. Che l’entusiastica cooperazione tra musulmani, cattolici ed altri cristiani in Camerun sia per le altre nazioni africane un faro luminoso sul potenziale enorme di un impegno interreligioso per la pace, la giustizia e il bene comune!

Con questi sentimenti esprimo ancora una volta la mia gratitudine per questa promettente opportunità di incontrarvi durante la mia visita in Camerun. Ringrazio Dio onnipotente per le benedizioni che Egli ha concesso a voi e ai vostri concittadini e prego affinché i legami che uniscono cristiani e musulmani nella loro profonda venerazione dell’unico Dio continuino a rafforzarsi così che essi diventino un riflesso più chiaro della saggezza dell’Onnipotente che illumina i cuori dell’intera umanità.

Omelia durante la Santa Messa in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum Laboris della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, nello Stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé (19 marzo 2009)

Alle 10 di giovedì 19 marzo, nello Stadio “Amadou Ahidjo” di Yaoundé, nella ricorrenza liturgica di San Giuseppe, e sua festa onomastica, Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Nel corso della Santa Messa, introdotta dall’indirizzo di omaggio dell’Arcivescovo di Yaoundé, mons. Simon-Victor Tonyé Bakot, dopo la proclamazione del Vangelo il Papa ha pronunciato in francese l’omelia che riportiamo nella traduzione italiana.

Cari Fratelli nell’Episcopato, Cari fratelli e sorelle,

sia lodato Gesù Cristo che ci riunisce oggi in questo stadio, per farci penetrare più profondamente nella sua vita! Gesù Cristo ci raduna in questo giorno in cui la Chiesa, qui in Camerun come su tutta la terra, celebra la festa di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria. Inizio coll’augurare un’ottima festa a tutti coloro che, come me, hanno ricevuto la grazia di portare questo bel nome, e chiedo a san Giuseppe di accordare loro una protezione speciale guidandoli verso il Signore Gesù Cristo tutti i giorni della loro vita. Saluto anche le parrocchie, le scuole e i collegi, le istituzioni che portano il nome di san Giuseppe. Ringrazio Mons. Tonyé Bakot, Arcivescovo di Yaoundé, per le sue gentili parole e rivolgo un saluto caloroso ai rappresentanti delle Conferenze Episcopali d’Africa venuti a Yaoundé in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Come possiamo entrare nella grazia specifica di questo giorno? Fra poco, a conclusione della Messa, la liturgia ci svelerà il punto culminane della nostra meditazione, quando ci farà dire: «Con questo nutrimento ricevuto al tuo altare, Signore, hai saziato la tua famiglia, gioiosa di festeggiare san Giuseppe; custodiscila sempre sotto la tua protezione e veglia sui doni che le hai fatto». Voi vedete, noi domandiamo al Signore di custodire sempre la Chiesa sotto la sua costante protezione – ed Egli lo fa! – esattamente come Giuseppe ha protetto la sua famiglia e ha vegliato sui primi anni di Gesù bambino.

Il Vangelo ce lo ha appena ricordato. L’Angelo gli aveva detto: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20), ed è esattamente quello che ha fatto: «Egli fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24). Perché san Matteo ha tenuto ad annotare questa fedeltà alle parole ricevute dal messaggero di Dio, se non per invitarci ad imitare questa fedeltà piena di amore?

La prima lettura che abbiamo appena ascoltato non parla esplicitamente di san Giuseppe, ma ci dice molte cose su di lui. Il profeta Natan va a dire a Davide su ordine del Signore stesso: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te» (2 Sam 7,12). Davide deve accettare di morire senza vedere la realizzazione di questa promessa, che si tradurrà in atto «quando i suoi giorni saranno compiuti» ed egli dormirà «con i suoi padri». Così vediamo che uno dei desideri più cari dell’uomo, quello di essere testimone della fecondità della sua azione, non è sempre esaudito da Dio. Penso a quelli tra di voi che sono padri e madri di famiglia: essi hanno molto legittimamente il desiderio di dare il meglio di loro stessi ai lori figli e li vogliono vedere pervenire ad una vera riuscita. Tuttavia, non bisogna ingannarsi circa questa riuscita: quello che Dio domanda a Davide è di darGli fiducia. Davide stesso non vedrà il suo successore, colui che avrà un trono «stabile per sempre» (2 Sam 7,16), perché questo successore annunciato sotto il velo della profezia è Gesù. Davide si fida di Dio. Ugualmente, Giuseppe dà fiducia a Dio quando ascolta il suo messaggero, il suo Angelo, dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe è, nella storia, l’uomo che ha dato a Dio la più grande prova di fiducia, anche davanti ad un annuncio così stupefacente.

E voi, cari padri e madri di famiglia che mi ascoltate, avete fiducia in Dio che fa di voi i padri e le madri dei suoi figli di adozione? Accettate che Egli possa contare su di voi per trasmettere ai vostri figli i valori umani e spirituali che avete ricevuto e che li faranno vivere nell’amore e nel rispetto del suo santo Nome? In questo nostro tempo, in cui tante persone senza scrupoli cercano di imporre il regno del denaro disprezzando i più indigenti, voi dovete essere molto attenti. L’Africa in generale, ed il Camerun in particolare, sono in pericolo se non riconoscono il Vero Autore della Vita! Fratelli e sorelle del Camerun e dell’Africa, voi che avete ricevuto da Dio tante qualità umane, abbiate cura delle vostre anime! Non lasciatevi affascinare da false glorie e da falsi ideali. Credete, si, continuate a credere che Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, è il solo ad amarvi come voi vi aspettate, che è il solo a potervi soddisfare, a poter dare stabilità alle vostre vite. Cristo è l’unico cammino di Vita.

Solo Dio poteva dare a Giuseppe la forza di far credito all’angelo. Solo Dio vi darà, cari fratelli e sorelle che siete sposati, la forza di educare la vostra famiglia come Egli vuole. DomandateGlielo! Dio ama che gli si domandi quello che egli vuole donare. DomandateGli la grazia di un amore vero e sempre più fedele, ad immagine del Suo amore. Come dice magnificamente il Salmo: il suo «amore è edificato per sempre, [la sua] fedeltà è più stabile dei cieli» (Sal 88, 3).

Come in altri continenti, oggi la famiglia conosce effettivamente, nel vostro Paese e nel resto dell’Africa, un periodo difficile che la sua fedeltà a Dio l’aiuterà a superare. Alcuni valori della vita tradizionale sono stati sconvolti. I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati. Troppo spesso si assiste ad un esodo rurale paragonabile a quello che numerosi altri periodi umani hanno conosciuto. La qualità dei legami familiari ne risulta profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i membri delle giovani generazioni, spesso –ahimè! – senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore. Messo a confronto col fenomeno di una urbanizzazione galoppante, egli abbandona la sua terra, fisicamente e moralmente, non come Abramo per rispondere alla chiamata del Signore, ma per una sorta di esilio interiore che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso.

Vi è dunque una fatalità, una evoluzione inevitabile? Certo che no! Più che mai dobbiamo «sperare contro ogni speranza» (Rm 4,18). Voglio rendere omaggio qui con ammirazione e riconoscenza al notevole lavoro realizzato da innumerevoli associazioni che incoraggiano la vita di fede e la pratica della carità. Ne siano calorosamente ringraziate! Trovino nella Parola di Dio un ritorno di forza per portare felicemente a termine tutti i loro progetti al servizio di uno sviluppo integrale della persona umana in Africa, e in particolare in Camerun.

La prima priorità consisterà nel ridare senso all’accoglienza della vita come dono di Dio. Per la Sacra Scrittura come per la migliore saggezza del vostro continente, l’arrivo di un bambino è una grazia, una benedizione di Dio. L’umanità è oggi invitata a modificare il suo sguardo: in effetti, ogni essere umano, anche il più piccolo e povero, è creato «ad immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,27). Egli deve vivere! La morte non deve prevalere sulla vita! La morte non avrà mai l’ultima parola!

Figli e figlie d’Africa, non abbiate paura di credere, di sperare e di amare, non abbiate paura di dire che Gesù è la Via, la Verità e la Vita, che soltanto da lui possiamo essere salvati. San Paolo è l’autore ispirato che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa per essere il «maestro dei pagani» (1Tm 2,7), quando ci dice che Abramo «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza» (Rm 4,18).

«Saldo nella speranza contro ogni speranza»: non è una magnifica definizione del cristiano? L’Africa è chiamata alla speranza attraverso voi e in voi! Col Cristo Gesù, che ha calpestato il suolo africano, l’Africa può diventare il continente della speranza. Noi tutti siamo membri dei popoli che Dio ha dato come discendenza ad Abramo. Ciascuno e ciascuna di noi è pensato, voluto e amato da Dio. Ciascuno e ciascuna di noi ha il suo ruolo da giocare nel piano di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Se lo scoraggiamento vi invade, pensate alla fede di Giuseppe; se l’inquietudine vi prende, pensate alla speranza di Giuseppe, discendente di Abramo che sperava contro ogni speranza; se vi prende l’avversione o l’odio, pensate all’amore di Giuseppe, che fu il primo uomo a scoprire il volto umano di Dio nella persona del bambino concepito dallo Spirito santo nel seno della Vergine Maria. Benediciamo Cristo per essersi fatto così vicino a noi e rendiamoGli grazie di averci dato Giuseppe come esempio e modello dell’amore verso di Lui.

Cari fratelli e sorelle, ve lo dico di nuovo di tutto cuore: come Giuseppe, non temete di prendere Maria con voi, cioè non temete di amare la Chiesa. Maria, Madre della Chiesa, vi insegnerà a seguire i suoi Pastori, ad amare i vostri Vescovi, i vostri preti, i vostri diaconi e i vostri catechisti, e a seguire ciò che vi insegnano e a pregare secondo le loro intenzioni. Voi che siete sposati, guardate l’amore di Giuseppe per Maria e per Gesù; voi che vi preparate al matrimonio, rispettate la vostra o il vostro futuro coniuge come fece Giuseppe; voi che vi siete consacrati a Dio nel celibato, riflettete sull’insegnamento della Chiesa nostra Madre: «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità soni i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero dell’Alleanza di Dio col suo popolo» (Redemptoris custos, 20).

Vorrei ancora rivolgere una esortazione particolare ai padri di famiglia, poiché san Giuseppe è il loro modello. San Giuseppe rivela il mistero della paternità di Dio su Cristo e su ciascuno di noi. E’ lui che può loro insegnare il segreto della loro stessa paternità, egli che ha vegliato sul Figlio dell’Uomo. Anche ogni padre riceve da Dio i suoi figli creati ad immagine e somiglianza di Lui. San Giuseppe è stato lo sposo di Maria. Anche ogni padre di famiglia si vede confidare il mistero della donna attraverso la sua propria sposa. Come San Giuseppe, cari padri di famiglia, rispettate e amate la vostra sposa, e guidate i vostri bambini, con amore e con la vostra presenza accorta, verso Dio dove essi devono essere (cfr Lc 2,49).

Infine, a tutti i giovani che sono qui, io rivolgo parole di amicizia e di incoraggiamento: davanti alle difficoltà della vita, mantenete il coraggio! La vostra esistenza ha un prezzo infinito agli occhi di Dio. Lasciatevi prendere da Cristo, accettate di donarGli il vostro amore e, perché no, voi stessi nel sacerdozio o nella vita consacrata! È il più alto servizio. Ai bambini che non hanno più un padre o che vivono abbandonati nella miseria della strada, a coloro che sono separati violentemente dai loro genitori, maltrattati e abusati, e arruolati a forza in gruppi militari che imperversano in alcuni Paesi, vorrei dire: Dio vi ama, non vi dimentica e san Giuseppe vi protegge! Invocatelo con fiducia.

Dio vi benedica e vi custodisca tutti! Vi dia la grazia di avanzare verso di Lui con fedeltà. Doni alle vostre vite la stabilità per raccogliere il frutto che Egli si aspetta da voi! Vi renda testimoni del suo amore, qui, in Camerun, e fino alle estremità della terra! Io Lo prego con fervore di farvi gustare la gioia di appartenerGli, ora e per i secoli dei secoli. Amen.

Parole del Santo Padre in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum Laboris (19 marzo 2009)

Al termine della Messa, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, mons. Nikola Eterović, ha rivolto al Papa alcune parole di ringraziamento. Quindi, all’atto di consegnare l’Instrumentum laboris della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ai Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali e regionali dell’Africa., il Papa ha pronunciato in francese queste parole.

Cari Fratelli nell’Episcopato, Presidenti delle Conferenze Episcopali nazionali e regionali di Africa e Madagascar,

Quattordici anni or sono, il 14 settembre 1995, il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, sottoscriveva proprio qui a Yaoundé l’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa. Oggi è per me motivo di grande gioia consegnarvi il testo dell’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma nel prossimo ottobre. Il tema di questa Assemblea “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace“, che si colloca in continuità con l’Ecclesia in Africa, è di grande importanza per la vita del vostro Continente, ma anche per la vita della Chiesa universale. L’Instrumentum laboris è frutto della vostra riflessione, a partire dagli aspetti rilevanti della situazione ecclesiale e sociale del vostro Paese d’origine. Esso rispecchia il grande dinamismo della Chiesa in Africa, ma anche le sfide con le quali essa deve confrontarsi e che il Sinodo dovrà esaminare. Stasera avrò l’opportunità di intrattenermi più a lungo su questo tema con i membri del Consiglio speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Auspico vivamente che i lavori dell’Assemblea sinodale contribuiscano a far crescere la speranza per i vostri popoli e per il Continente nel suo insieme; contribuiscano ad infondere a ciascuna delle vostre Chiese locali un nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo il programma formulato dal Signore stesso: “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo (Mt 5, 13.14). Che la gioia della Chiesa in Africa di celebrare questo Sinodo sia anche la gioia della Chiesa universale!

Invito voi, cari fratelli e sorelle che vi stringete intorno ai vostri Vescovi, rappresentando in qualche modo la Chiesa presente tra tutti i popoli dell’Africa, ad accogliere nella vostra preghiera la preparazione e lo svolgimento di questo grande avvenimento ecclesiale. Che la Regina della Pace sostenga gli sforzi di tutti gli “artigiani” di riconciliazione, di giustizia e di pace! Nostra Signora d’Africa, prega per noi!

Incontro con il mondo della sofferenza nel Centro Card. Paul Emile Léger – CNRH di Yaoundé (19 marzo 2009)

Nel pomeriggio del 19 marzo, Benedetto XVI ha visitato il Centro Card. Paul Emile Léger – Centre National de Réhabilitation des Handicapés di Yaoundé, dove è stato accolto dai Ministri degli Affari Sociali e della Salute, dal Direttore del Centro e dal Vescovo incaricato della Pastorale della Salute. Nella Cappella del Centro, dopo un breve momento di preghiera, il Papa ha salutato alcuni bambini malati e portatori di handicap. Poi, nel campo di basket all’esterno del Centro, si è svolto l’incontro con il mondo della sofferenza, con gruppi di malati in rappresentanza di diverse strutture ospedaliere del Paese. Dopo gli indirizzi di saluto del Ministro degli Affari Sociali e di mons. Joseph Djida, O.M.I., Vescovo di Ngaoundéré, incaricato della Pastorale della Salute, iBenedetto XVI ha pronunciato in francese questo discorso il discorso.

Signori Cardinali, Signora Ministro per gli Affari Sociali, Signor Ministro della Sanità, Cari fratelli nell’Episcopato e caro Monsignor Giuseppe Djida, Signor Direttore del Centro Cardinal Léger, Gentile personale assistenziale, cari malati,

ho vivamente desiderato trascorrere questi momenti con voi, e sono felice di potervi salutare. Un saluto particolare rivolgo a voi, fratelli e sorelle che portate il peso della malattia e della sofferenza. Voi sapete di non essere soli nella vostra sofferenza, perché Cristo stesso è solidale con coloro che soffrono. Egli rivela ai malati e agli infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società. L’evangelista Marco ci offre come esempio la guarigione della suocera di Pietro: “Senza attendere oltre – sta scritto – si parla a Gesù della malata. Gesù si avvicina a lei, la prende per mano e la fa alzare” (Mc 1,30-31). In questo passo del Vangelo noi vediamo Gesù vivere una giornata tra i malati per sollevarli. Egli ci rivela anche, con gesti concreti, la sua tenerezza e la sua benevola attenzione verso tutti quelli che hanno il cuore spezzato e il corpo ferito.

Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime, io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. Penso anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente. A voi che siete provati dalla malattia e dalla sofferenza, a tutte le vostre famiglie, desidero portare da parte del Signore un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a rivolgervi a Cristo e a Maria che egli ci ha dato come Madre. Ella ha conosciuto la sofferenza, ed ha seguito suo Figlio sul cammino del Calvario, conservando nel suo cuore l’amore medesimo che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini.

Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore, come ha fatto Giobbe, il cui nome significa ‘sofferente’ (cfr Gregorio Magno, Moralia in Job, I, 1, 15). Gesù stesso ha gridato poco prima di morire (cfr Mc 15,37; Eb 5,7). Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza. Giobbe, al contrario, è consapevole della presenza di Dio nella sua vita; il suo grido non si fa ribellione, ma, dal profondo della sua sventura, egli fa emergere la sua fiducia (cfr Gb 19;42,2-6). I suoi amici, come ognuno di noi davanti alla sofferenza di una persona cara, si sforzano di consolarlo, ma usano delle parole vuote.

In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi. Questa esperienza è stata vissuta da un piccolo gruppo di uomini e donne tra i quali la Vergine Maria e l’Apostolo Giovanni, che hanno seguito Gesù al culmine della sua sofferenza nella sua passione e morte sulla Croce. Tra costoro, ci ricorda il Vangelo, c’era un africano, Simone di Cirene. Egli venne incaricato di aiutare Gesù a portare la Sua Croce sul cammino verso il Golgota. Quest’uomo, anche se involontariamente, è venuto in aiuto all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca. La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori. Simone di Cirene non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi. Egli è stato “requisito” per aiutarlo (cfr Mc 15,21); egli fu costretto, forzato a farlo. E’ difficile accettare di portare la croce di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto. Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione, della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove.

Non si può forse dire che ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere, con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane. Io prego, cari fratelli e sorelle, perché vi sappiate riconoscere in questo ‘ Simone di Cirene’. Prego, cari fratelli e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale.

Dopo la risurrezione e fino ad oggi, molti sono i testimoni che si sono rivolti, con fede e speranza, al Salvatore degli uomini, riconoscendo la Sua presenza al centro della loro prova. Il Padre di tutte le misericordie accoglie sempre con benevolenza la preghiera di chi si rivolge a Lui. Egli risponde alla nostra invocazione e alla nostra preghiera come Egli vuole e quando vuole, per il nostro bene e non secondo i nostri desideri. Sta a noi discernere la sua risposta e accogliere i doni che Egli ci offre come una grazia. Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma.

I santi ce ne hanno dato un bell’esempio con la loro vita interamente affidata a Dio, nostro Padre. Santa Teresa d’Avila, che aveva messo il suo monastero sotto il patrocinio di san Giuseppe, è stata guarita da una sofferenza nel giorno stesso della sua festa. Ella ripeteva che non lo aveva mai pregato inutilmente e lo raccomandava a tutti quelli che pensavano di non saper pregare: ” Non comprendo, scriveva, come si possa pensare alla Regina degli Angeli e a tutto quello che ella ha dovuto affrontare durante l’infanzia del Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe della dedizione così perfetta con la quale egli è venuto in aiuto dell’uno e dell’altra. Colui che non trova nessuno che gli insegni a pregare scelga questo ammirabile santo per maestro e non avrà più a temere di smarrirsi sotto la sua guida” ( Vita, 6). Da intercessore per la salute del corpo, la santa vedeva in san Giuseppe un intercessore per la salute dell’anima, un maestro di orazione, di preghiera.

Scegliamolo anche noi come maestro di preghiera. Non solamente noi che siamo in buona salute, ma anche voi, cari malati e tutte le famiglie. Penso particolarmente a voi che fate parte del personale ospedaliero e a tutti coloro che lavorano nel mondo della sanità. Accompagnando coloro che soffrono con la vostra attenzione e con le cure che date loro, voi adempite un atto di carità e di amore che Dio riconosce: ” Ero malato e mi avete visitato” ( Mt 25,36). A voi, ricercatori e medici, spetta mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore; spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio. Voglio, assieme a voi, rendere grazie al Signore per tutti coloro che, in una maniera o in un’altra, operano a servizio delle persone che soffrono. Incoraggio i sacerdoti e i visitatori degli ammalati a impegnarsi con la loro presenza attiva ed amichevole nella pastorale sanitaria negli ospedali o per assicurare una presenza ecclesiale a domicilio, per il conforto e il sostegno spirituale dei malati. Secondo la sua promessa, Dio vi darà il giusto salario e vi ricompenserà in cielo.

Prima di salutarvi personalmente e congedarmi da voi, vorrei assicurare a ciascuno la mia vicinanza affettuosa e la mia preghiera. Desidero anche esprimere il mio desiderio che ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino. Affido tutti e tutte all’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre, e a quella di san Giuseppe. Che Dio ci conceda di essere gli uni per gli altri, portatori della misericordia, della tenerezza e dell’amore del nostro Dio e che Egli vi benedica!

Incontro con i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé (19 marzo 2009)

Nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé, alle 18.30 Benedetto XVI ha incontrato i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, composto da 12 membri appartenenti a diversi Paesi del continente: Nigeria, Tanzania, Sud Africa, Algeria, Camerun, Mozambico, Congo, Burkina Faso, Zambia, Madagascar ed Egitto. Dopo il saluto di mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ed alcune brevi presentazioni dei Membri del Consiglio, il Papa ha pronunciato in francese questo discorso.

Signori Cardinali, cari Fratelli nell’Episcopato!

E’ con profonda gioia che saluto tutti voi, in questa terra d’Africa. Per essa, nel 1994, una Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi è stata convocata dal mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, in segno di sollecitudine pastorale per questo continente ricco sia di promesse, sia di pressanti necessità umane, culturali e spirituali. L’ho chiamato questa mattina “il continente della speranza”. Ricordo con gratitudine la firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa, che ebbe luogo proprio qui 14 anni or sono, nella Festa dell’Esaltazione della Croce, il 14 settembre 1995.

La mia riconoscenza va a Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, per le parole che mi ha indirizzato a nome vostro, introducendo questo incontro in terra africana con voi, e sono molto riconoscente per ciò che mi avete detto; questo mi da un’idea più realistica della situazione su cui dobbiamo parlare e pregare soprattutto in questo Sinodo, cari membri del Consiglio Speciale per l’Africa. Tutta la Chiesa guarda con attenzione a questo incontro in vista della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che, a Dio piacendo, sarà celebrata nel prossimo ottobre. Il tema è: “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14)”.

 Ringrazio vivamente i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi membri del Consiglio Speciale per l’Africa, per la loro esperta collaborazione alla redazione dei Lineamenta e dell’Instumentum laboris. Vi sono riconoscente, cari Confratelli nell’Episcopato, per avere anche presentato nei vostri contributi aspetti importanti della situazione ecclesiale e sociale attuale dei vostri Paesi d’origine e della regione. Avete così sottolineato il grande dinamismo della Chiesa in Africa, ma al tempo stesso avete evocato le sfide, i grandi problemi dell’Africa che il Sinodo dovrà esaminare, affinché nella Chiesa in Africa la crescita non sia soltanto quantitativa ma anche qualitativa.

Cari Fratelli, in apertura della mia riflessione, mi sembra importante sottolineare che il vostro continente è stato santificato dallo stesso Signore nostro Gesù Cristo. All’alba della sua vita terrena, alcune tristi circostanze gli hanno fatto calcare il suolo africano. Dio ha scelto il vostro continente perché diventasse dimora del suo Figlio. Mediante Gesù, Dio è venuto incontro ad ogni uomo, certamente, ma in modo particolare, incontro all’uomo africano. L’Africa ha offerto al Figlio di Dio una terra che lo ha nutrito e una protezione efficace. Mediante Gesù, duemila anni fa, Dio stesso ha portato il sale e la luce all’Africa. Da allora, il seme della sua presenza è sepolto nelle profondità del cuore di questo amato continente ed esso germoglia a poco a poco al di là e attraverso le vicissitudini della sua storia umana. In conseguenza della venuta di Cristo che l’ha santificata con la sua presenza fisica, l’Africa ha ricevuto una chiamata particolare a conoscere Cristo. Che gli Africani ne siano fieri! Meditando e approfondendo spiritualmente e teologicamente questa prima tappa della kénosi, l’Africano potrà trovare le forze sufficienti per affrontare il suo quotidiano talvolta molto duro, e potrà allora scoprire immensi spazi di fede e di speranza che l’aiuteranno a crescere in Dio.

Alcuni momenti significativi della storia cristiana di questo Continente possono ricordarci il legame profondo che esiste tra l’Africa e il cristianesimo a partire dalle sue origini.

Secondo la venerabile tradizione patristica, l’evangelista san Marco, che ha “trasmesso per iscritto ciò che era stato predicato da Pietro” (Ireneo, Adversus haereses III, I, 1), venne ad Alessandria a rianimare la semente sparsa dal Signore. Questo Evangelista ha reso testimonianza in Africa della morte in croce del Figlio di Dio – ultimo momento della kénosi – e della sua elevazione sovrana, perché “ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,11). La Buona Novella della venuta del Regno di Dio si è diffusa rapidamente nel nord del vostro Continente, dove ha avuto illustri martiri e santi e ha generato insigni teologi.

Dopo essere stato messo alla prova da vicissitudini storiche, il cristianesimo, durante quasi un millennio, non è rimasto che nella parte nord-orientale del Continente. Con l’arrivo degli Europei che cercavano la via delle Indie, nei secoli XV e XVI, le popolazioni sub-sahariane hanno incontrato Cristo. Furono le popolazioni costiere a ricevere per prime il battesimo. Nei secoli XIX e XX, l’Africa sub-sahariana ha visto arrivare missionari, uomini e donne, provenienti da tutto l’Occidente, dall’America Latina e anche dall’Asia. Desidero rendere omaggio alla generosità della loro risposta incondizionata alla chiamata del Signore e dal loro ardente zelo apostolico. Qui vorrei andare oltre e parlare dei catechisti africani, compagni inseparabili dei missionari nell’evangelizzazione. Dio aveva preparato il cuore di un certo numero di laici africani, uomini e donne, persone giovani e più avanti negli anni, a ricevere i suoi doni e portare la luce della sua Parola ai loro fratelli e sorelle. Laici con i laici, hanno saputo trovare nella lingua dei loro padri le parole di Dio che hanno toccato il cuore dei loro fratelli e sorelle. Hanno saputo condividere il sapore del sale della Parola e far risplendere la luce dei Sacramenti che annunciavano. Hanno accompagnato le famiglie nella loro crescita spirituale, hanno incoraggiato le vocazioni sacerdotali e religiose e sono stati il legame tra le loro comunità e i sacerdoti e i vescovi. Con naturalezza, hanno operato un’efficace inculturazione che ha portato meravigliosi frutti (cfr Mc 4,20). Sono stati i catechisti a permettere che “la luce risplendesse davanti agli uomini ” (Mt 5,16), perché vedendo il bene che facevano, intere popolazioni hanno potuto rendere gloria al nostro Padre che è nei cieli. Sono Africani che hanno evangelizzato Africani. Evocando il loro glorioso ricordo, saluto e incoraggio i loro degni successori che lavorano oggi con la stessa abnegazione, lo stesso coraggio apostolico e la stessa fede dei loro predecessori. Che Dio li benedica generosamente! Durante questo periodo, la terra africana è stata anche benedetta da numerosi santi. Mi limito a nominare i gloriosi Martiri dell’Uganda, i grandi missionari Anna Maria Javouhey e Daniele Comboni, come pure Suor Anuarite Nengapeta e il catechista Isidoro Bakanja, senza dimenticare l’umile Giuseppina Bakhita.

Ci troviamo attualmente in un momento storico che coincide, dal punto di vista civile, con l’indipendenza ritrovata e, dal punto di vista ecclesiale, con l’evento del Concilio Vaticano II. La Chiesa in Africa ha preparato e accompagnato durante questo periodo la costruzione delle nuove identità nazionali e, parallelamente, ha cercato di tradurre l’identità di Cristo secondo vie proprie. Mentre la Gerarchia si era a poco a poco africanizzata, a partire dall’ordinazione da parte del Papa Pio XII di Vescovi del vostro continente, la riflessione teologica cominciò a svilupparsi. Sarebbe bene che i vostri teologi continuassero oggi ad esplorare la profondità del mistero trinitario e il suo significato per la vita quotidiana africana. Questo secolo permetterà forse, con la grazia di Dio, la rinascita, nel vostro continente, ma certamente sotto una forma diversa e nuova, della prestigiosa Scuola di Alessandria. Perché non sperare che essa possa fornire agli Africani di oggi e alla Chiesa universale grandi teologi e maestri spirituali che potrebbero contribuire alla santificazione degli abitanti di questo continente e della Chiesa intera? La Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha permesso di indicare le direzioni da prendere e ha messo in evidenza, tra l’altro, la necessità di approfondire e di incarnare il mistero di una Chiesa-Famiglia.

Vorrei ora suggerire qualche riflessione sul tema specifico della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, relativo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace.

Secondo il Concilio Ecumenico Vaticano II, “la Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). Per adempiere bene la propria missione, la Chiesa dev’essere una comunità di persone riconciliate con Dio e tra di loro. In questo modo, essa può annunciare la Buona Novella della riconciliazione alla società attuale, che conosce purtroppo in molti luoghi conflitti, violenze, guerre e odio. Il vostro continente non ne è stato risparmiato ed è stato ed è ancora triste teatro di gravi tragedie, che fanno appello ad una vera riconciliazione tra i popoli, le etnie, gli uomini. Per noi cristiani, questa riconciliazione si radica nell’amore misericordioso di Dio Padre e si realizza mediante la persona di Gesù Cristo che, nello Spirito Santo, ha offerto a tutti la grazia della riconciliazione. Le conseguenze si manifesteranno allora con la giustizia e la pace, indispensabili per costruire un mondo migliore.

In realtà, nel contesto sociopolitico ed economico attuale del continente africano, che cosa c’è di più drammatico della lotta spesso cruenta tra gruppi etnici o popoli fratelli? E se il Sinodo del 1994 ha insistito sulla Chiesa-Famiglia di Dio, quale può essere l’apporto di quello di quest’anno, alla costruzione dell’Africa, assetata di riconciliazione e alla ricerca della giustizia e della pace? I conflitti locali o regionali, i massacri e i genocidi che si sviluppano nel Continente devono interpellarci in modo tutto particolare: se è vero che in Gesù Cristo noi apparteniamo alla stessa famiglia e condividiamo la stessa vita, poiché nelle nostre vene circola lo stesso Sangue di Cristo, che fa di noi figli di Dio, membri della Famiglia di Dio, non dovrebbero dunque più esserci odio, ingiustizie, guerre tra fratelli.

Constatando lo sviluppo della violenza e l’emergere dell’egoismo in Africa, il Cardinale Bernardin Gantin, di venerata memoria, faceva appello, fin dal 1988, a una Teologia della Fraternità, come risposta al richiamo pressante dei poveri e dei più piccoli (cfr L’Osservatore Romano, ed. francese, 12 aprile 1988, pp. 4-5). Gli tornava forse alla memoria ciò che scriveva l’africano Lattanzio all’alba del IV secolo: “Il primo dovere della giustizia è riconoscere l’uomo come un fratello. Infatti, se lo stesso Dio ci ha fatti e ci ha generati tutti nella stessa condizione, in vista della giustizia e della vita eterna, noi siamo sicuramente uniti da legami di fraternità: chi non li riconosce è ingiusto” (Epitomé des Intitutions Divines, 54, 4-5: SC 335, p. 210). La Chiesa-Famiglia di Dio che è in Africa, già dalla Prima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi ha realizzato un’opzione preferenziale per i poveri. Essa manifesta così che la situazione di disumanizzazione e di oppressione che affligge i popoli africani non è irreversibile; al contrario, essa pone ciascuno di fronte ad una sfida, quella della conversione, della santità e dell’integrità.

Il Figlio, mediante il quale Dio ci parla, è Lui stesso Parola fatta carne. Ciò è stato l’oggetto delle riflessioni della recente XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Diventata carne, questa Parola è all’origine di ciò che noi siamo e facciamo; è il fondamento di ogni vita. E’ dunque a partire da questa Parola che bisogna valorizzare le tradizioni africane, correggere e perfezionare la loro concezione della vita, dell’uomo e della famiglia. Gesù Cristo, Parola di vita, è sorgente e compimento di tutte le nostre vite, perché il Signore Gesù è l’unico mediatore e redentore.

E’ urgente che le comunità cristiane diventino sempre più luoghi di ascolto profondo della Parola di Dio e di lettura meditativa della Sacra Scrittura. E’ attraverso questa lettura meditativa e comunitaria nella Chiesa che il cristiano incontra Cristo risorto che gli parla e gli ridona speranza nella pienezza di vita che Egli offre al mondo.

Quanto all’Eucaristia, essa rende il Signore realmente presente nella storia. Mediante la realtà del suo Corpo e del suo Sangue, il Cristo tutto intero si rende sostanzialmente presente nelle nostre vite. E’ con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi (cfr Mt 28,20) e ci rimanda alle nostre realtà quotidiane affinché possiamo riempirle della sua presenza. Nell’Eucaristia, è messo chiaramente in evidenza che la vita è una relazione di comunione con Dio, con i nostri fratelli e le nostre sorelle, e con l’intera creazione. L’Eucaristia è sorgente di unità riconciliata nella pace.

La Parola e il Pane di vita offrono luce e nutrimento, come antidoto e viatico nella fedeltà al Maestro e Pastore delle nostre anime, perché la Chiesa in Africa realizzi il servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, secondo il programma di vita dato dal Signore stesso: “Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13.14). Per esserlo veramente, i fedeli devono convertirsi e seguire Gesù Cristo, diventare suoi discepoli, per essere testimoni del suo potere salvifico. Durante la sua vita terrena, Gesù era “potente in opere e parole” (Lc 24,19). Con la sua risurrezione ha sottomesso ogni autorità e potere (cfr Col 2,15), ogni potenza del male per rendere liberi quanti sono stati battezzati nel suo nome. “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1). La vocazione cristiana consiste nel lasciarsi liberare da Gesù Cristo. Egli ha vinto il peccato e la morte e offre a tutti la pienezza della sua vita. Nel Signore Gesù non c’è più né giudeo né pagano, né uomo né donna (cfr Gal 3,28). Nella sua carne Egli ha riconciliato tutti i popoli. Con la forza dello Spirito Santo rivolgo a tutti questo appello: “Lasciatevi riconciliare!” (2 Cor 5,20). Nessuna differenza etnica o culturale, di razza, di sesso o di religione deve divenire tra voi motivo di contesa. Voi siete tutti figli dell’unico Dio, nostro Padre, che è nei cieli. Con questa convinzione sarà finalmente possibile costruire un’Africa più giusta e pacifica, all’altezza delle legittime attese di tutti i suoi figli.

Infine, vi invito a incoraggiare la preparazione dell’evento sinodale recitando anche con i fedeli la preghiera che conclude l’Instrumentum laboris che ho consegnato stamani, e ciò per la buona riuscita dell’Assemblea Sinodale. Preghiamo ora insieme, cari Fratelli:

Santa Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa, tu hai dato al mondo la luce vera, Gesù Cristo. Con la tua obbedienza al Padre e con la grazia dello Spirito Santo ci hai donato la sorgente della nostra riconciliazione e della nostra giustizia, Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia.

Madre di tenerezza e di sapienza, mostraci Gesù, Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il nostro cammino di conversione, affinché Gesù faccia brillare su di noi la sua Gloria in ogni ambito della nostra vita personale, familiare e sociale.

Madre piena di Misericordia e di Giustizia, per la tua docilità allo Spirito Consolatore, ottienici la grazia di essere testimoni del Signore Risorto, perché diventiamo sempre più il sale della terra e la luce del mondo.

Madre del Perpetuo Soccorso, alla tua materna intercessione affidiamo la preparazione e i frutti del Secondo Sinodo per l’Africa. Regina della Pace, prega per noi! Nostra Signora dell’Africa, prega per noi!“.

Cerimonia di Congedo all’Aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé (20 marzo 2009)

Nella mattina di venerdì 20 marzo, Benedetto XVI si è trasferito in auto dalla Nunziatura all’aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé dove alle 10 ha avuto luogo la Cerimonia di congedo. Dopo il discorso del Presidente della Repubblica del Camerun, Paul Biya, il Papa ha pronunciato in francese questo discorso.

Signor Presidente, onorevoli rappresentanti delle Autorità civili, Signori Cardinali, cari Confratelli nell’Episcopato, cari fratelli e sorelle!

Mentre mi preparo a lasciare il Camerun, avendo compiuto la prima fase della mia visita apostolica in Africa, desidero ringraziare tutti voi per la generosa accoglienza che mi avete riservato in questi giorni. Il calore del sole africano ha trovato il suo riflesso nel calore dell’ospitalità che mi è stata offerta. Ringrazio il Presidente e i membri del Governo per la loro cortese accoglienza. Ringrazio i miei Confratelli nell’Episcopato e tutti i fedeli cattolici che durante le liturgie vissute insieme hanno dato un esempio così suggestivo di un culto gioioso ed esuberante. Sono anche lieto che membri di altre comunità ecclesiali abbiano potuto essere presenti ad alcune delle nostre assemblee e rinnovo i miei saluti rispettosi a loro ed ai loro responsabili. Vorrei esprimere il mio grande apprezzamento per tutto il lavoro fatto dalle autorità civili per assicurare un andamento tranquillo della mia visita. Ma soprattutto voglio ringraziare tutti coloro che hanno pregato intensamente affinché questa visita pastorale potesse portare frutto per la vita della Chiesa in Africa. E vi chiedo di continuare a pregare perché la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi dia prova di essere un tempo di grazia per la Chiesa in tutto il Continente, un tempo di rinnovamento e di nuovo impegno nella missione di portare il messaggio salvifico del Vangelo ad un mondo lacerato.

Molte delle scene di cui sono qui stato testimone mi rimarranno profondamente impresse nella memoria. Nel Cardinal Léger Center era molto commovente osservare la cura riservata ai malati e ai disabili, alcuni tra i membri più vulnerabili della nostra società. Questa compassione simile a quella di Cristo è un segno sicuro di speranza per il futuro della Chiesa e per il futuro dell’Africa.

Il mio incontro con membri della comunità musulmana qui in Camerun è stato un altro momento culminante che porterò con me. Mentre continuiamo nel nostro cammino verso una più grande comprensione reciproca, prego affinché cresciamo anche nel vicendevole rispetto e stima e fortifichiamo la nostra decisione di collaborare per proclamare la dignità donata da Dio alla persona umana, un messaggio che un mondo in crescente secolarizzazione ha bisogno di sentire.

La ragione principale per venire in Camerun era naturalmente quella di visitare la comunità cattolica. È stata una grande gioia per me passare alcuni momenti fraterni con i Vescovi e celebrare la Liturgia della Chiesa insieme con tanti fedeli. Sono venuto qui precisamente per condividere con voi il momento storico della promulgazione dell’ Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi. Questo è veramente un momento di grande speranza per l’Africa e per il mondo intero. Popolo del Camerun, vi incito a cogliere l’importanza del momento che il Signore vi ha dato! Rispondete alla sua chiamata che vi impegna a portare riconciliazione, guarigione e pace alle vostre comunità ed alla vostra società! Operate per eliminare l’ingiustizia, la povertà e la fame ovunque le troviate! Dio benedica questo bellissimo Paese, “l’Africa in miniatura”, un Paese di promesse, un Paese di gloria. Dio benedica tutti voi!

Cerimonia di benvenuto all’Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda (20 marzo 2009)

All’arrivo all’aeroporto “4 de Fevereiro” di Luanda, alle ore 12.45, Benedetto XVI è stato accolto dal Presidente della Repubblica di Angola, José Eduardo dos Santos e dall’Arcivescovo di Luanda e Presidente della Conferenza Episcopale dell’Angola e São Tomé (CEAST), mons. Damião António Franklin. Presenti numerose Autorità politiche e civili; il Nunzio Apostolico mons. Giovanni Angelo Becciu; i Vescovi dell’Angola e un gruppo di giovani. Dopo il saluto del Presidente della Repubblica, il Papa ha pronunciato in portoghese questo  discorso.

Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica, Illustrissime Autorità civili e militari, Venerati Fratelli nell’Episcopato, Cari amici angolani!

Con vivi sentimenti di deferenza e amicizia, metto piede sul suolo di questa nobile e giovane Nazione nell’ambito di una visita pastorale che, nel mio spirito, ha per orizzonte il Continente africano, anche se i miei passi ho dovuto circoscriverli a Yaoundé e Luanda. Sappiano tutti però che, nel mio cuore e nella mia preghiera, ho presenti l’Africa in generale e il popolo di Angola in particolare, al quale desidero offrire un cordiale incoraggiamento a proseguire sulla via della pacificazione e della ricostruzione del Paese e delle istituzioni.

 Signor Presidente, inizio con il ringraziare per l’amabile invito che Ella mi ha fatto di visitare l’Angola e per le cordiali espressioni di benvenuto appena rivoltemi. Voglia gradire i miei deferenti saluti e i migliori auguri, che estendo alle altre Autorità qui gentilmente convenute ad accogliermi. Saluto tutta la Chiesa cattolica in Angola nella persona dei suoi Vescovi qui presenti, e ringrazio tutti gli amici angolani dell’affettuosa accoglienza che mi hanno riservato. A quanti mi seguono mediante la radio e la televisione, giunga pure l’espressione della mia amicizia, con la certezza della benevolenza del Cielo sopra la comune missione che c’è stata affidata: quella d’edificare insieme una società più libera, più pacifica e più solidale.

 Come non ricordare quell’illustre Visitatore che benedisse l’Angola nel mese di giugno 1992: il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II? Instancabile missionario di Gesù Cristo fino agli estremi confini della terra, egli ha indicato la via verso Dio, invitando tutti gli uomini di buona volontà ad ascoltare la propria coscienza rettamente formata e ad edificare una società di giustizia, di pace e di solidarietà, nella carità e nel perdono vicendevole. Quanto a me, vi ricordo che provengo da un Paese dove la pace e la fraternità sono care ai cuori di tutti i suoi abitanti, in particolare di quanti – come me – hanno conosciuto la guerra e la divisione tra fratelli appartenenti alla stessa Nazione a causa di ideologie devastanti e disumane, le quali, sotto la falsa apparenza di sogni e illusioni, facevano pesare sopra gli uomini il giogo dell’oppressione. Potete dunque capire quanto io sia sensibile al dialogo fra gli uomini come mezzo per superare ogni forma di conflitto e di tensione e per fare di ogni Nazione – e quindi anche della vostra Patria – una casa di pace e di fraternità. In vista di tale scopo, dovete prendere dal vostro patrimonio spirituale e culturale i valori migliori, di cui l’Angola è portatrice, e farvi gli uni incontro agli altri senza paura, accettando di condividere le personali ricchezze spirituali e materiali a beneficio di tutti.

 Come non pensare qui alle popolazioni della provincia di Kunene flagellate da piogge torrenziali e alluvioni, che hanno provocato numerosi morti e hanno lasciato tante famiglie prive di alloggio per la distruzione delle loro case? A quelle popolazioni provate desidero far giungere in questo momento l’assicurazione della mia solidarietà, insieme con un particolare incoraggiamento alla fiducia per ricominciare con l’aiuto di tutti.

 Cari amici angolani, il vostro territorio è ricco; la vostra Nazione è forte. Utilizzate queste vostre prerogative per favorire la pace e l’intesa fra i popoli, su una base di lealtà e di uguaglianza che promuovano per l’Africa quel futuro pacifico e solidale al quale tutti anelano e hanno diritto. A tale scopo vi prego: Non arrendetevi alla legge del più forte! Perché Dio ha concesso agli esseri umani di volare, al di sopra delle loro tendenze naturali, con le ali della ragione e della fede. Se vi fate sollevare da queste ali, non vi sarà difficile riconoscere nell’altro un fratello, che è nato con gli stessi diritti umani fondamentali. Purtroppo dentro i vostri confini angolani ci sono ancora tanti poveri che rivendicano il rispetto dei loro diritti. Non si può dimenticare la moltitudine di angolani che vivono al di sotto della linea di povertà assoluta. Non deludete le loro aspettative!

 Si tratta di un’opera immane, che richiede una più grande partecipazione civica da parte di tutti. È necessario coinvolgere in essa l’intera società civile angolana; questa però ha bisogno di presentarsi all’appuntamento più forte e articolata, sia tra le forze che la compongono come anche nel dialogo con il Governo. Per dare vita ad una società veramente sollecita del bene comune, sono necessari valori da tutti condivisi. Sono convinto che l’Angola li potrà trovare anche oggi nel Vangelo di Gesù Cristo, come accadde tempo addietro con un vostro illustre antenato, Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga; per opera sua, cinquecento anni fa è sorto in Mbanza Congo un regno cristiano che sopravvisse fino al XVIII secolo. Dalle sue ceneri poté poi sorgere, a cavallo dei secoli XIX e XX, una Chiesa rinnovata che non ha cessato di crescere fino ai nostri giorni; ne sia ringraziato Dio! Ecco il motivo immediato che mi ha portato in Angola: ritrovarmi con una delle più antiche comunità cattoliche dell’Africa sub-equatoriale, per confermarla nella sua fede in Gesù risorto ed associarmi alle suppliche dei suoi figli e figlie affinché il tempo della pace, nella giustizia e nella fraternità, non conosca tramonto in Angola, consentendole di adempiere alla missione che Dio le ha affidato in favore del suo popolo e nel concerto delle Nazioni. Dio benedica l’Angola!

Incontro con le Autorità politiche e civili e con il Corpo Diplomatico nel Salone d’onore del Palazzo Presidenziale di Luanda (20 marzo 2009)

Dopo un colloquio privato con il Presidente della Repubblica dell’Angola, Benedetto XVI ha incontrato, nel Salone d’onore del Palazzo Presidenziale di Luanda, le Autorità politiche e civili e i Membri del Corpo Diplomatico. Erano presenti anche i Vescovi del Paese. Dopo il discorso del Presidente della Repubblica, José Eduardo dos Santos, il Papa ha pronunciato in portoghese questo discorso.

Signor Presidente della Repubblica, Distinte Autorità, Illustri Ambasciatori, Venerati Fratelli nell’Episcopato, Signore e Signori, Con gentile gesto di ospitalità, il Signor Presidente ha voluto accoglierci nella sua residenza, offrendomi così la gioia di potere incontrare tutti voi, per salutarvi e augurarvi i migliori successi nell’esercizio delle formidabili responsabilità che ciascuno di voi porta su di sé nei settori governativo, civile e diplomatico, dove serve la propria nazione a bene dell’intera famiglia umana. Signor Presidente, grazie per la Sua accoglienza e per le parole appena rivoltemi, piene di stima verso la persona del Successore di Pietro e di fiducia nell’attività della Chiesa cattolica a beneficio di questa Nazione tanto amata. Amici miei, voi siete artefici e testimoni di un’Angola che si sta risollevando. Dopo ventisette anni di guerra civile che ha devastato questo Paese, la pace ha cominciato a mettere radici, portando con sé i frutti della stabilità e della libertà. Gli sforzi palpabili del Governo per stabilire le infrastrutture e rifare le istituzioni fondamentali per lo sviluppo e il benessere della società hanno fatto rifiorire la speranza tra i cittadini della Nazione. A sostegno di questa speranza sono intervenute diverse iniziative di agenzie multilaterali, decise a trascendere interessi particolari per operare nella prospettiva del bene comune. Non mancano in varie parti del Paese esempi di insegnanti, operatori sanitari e impiegati statali che, con magri stipendi, servono con integrità e dedizione le loro comunità umane; e vanno moltiplicandosi le persone impegnate in attività di volontariato al servizio dei più bisognosi. Voglia Iddio benedire e moltiplicare tutte queste buone volontà e le loro iniziative a servizio del bene! L’Angola sa che è arrivato per l’Africa il tempo della speranza. Ogni comportamento umano retto è speranza in azione. Le nostre azioni non sono mai indifferenti davanti a Dio; e non lo sono neanche per lo sviluppo della storia. Amici miei, armati di un cuore integro, magnanimo e compassionevole, voi potete trasformare questo Continente, liberando il vostro popolo dal flagello dell’avidità, della violenza e del disordine, guidandolo sul sentiero segnato dai principi indispensabili ad ogni moderna civile democrazia: il rispetto e la promozione dei diritti umani, un governo trasparente, una magistratura indipendente, una comunicazione sociale libera, un’onesta amministrazione pubblica, una rete di scuole e di ospedali funzionanti in modo adeguato, e la ferma determinazione, radicata nella conversione dei cuori, di stroncare una volta per tutte la corruzione. Nel Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale della Pace ho voluto richiamare all’attenzione di tutti la necessità di un approccio etico allo sviluppo. Infatti, più che semplici programmi e protocolli, le persone di questo continente stanno giustamente chiedendo una conversione profondamente convinta e durevole dei cuori alla fraternità (cfr n. 13). La loro richiesta a quanti servono nella politica, nella amministrazione pubblica, nelle agenzie internazionali e nelle compagnie multinazionali è soprattutto questa: stateci accanto in modo veramente umano; accompagnate noi, le nostre famiglie, le nostre comunità! Lo sviluppo economico e sociale in Africa richiede il coordinamento del Governo nazionale con le iniziative regionali e con le decisioni internazionali. Un simile coordinamento suppone che le nazioni africane siano viste non solo come destinatarie dei piani e delle soluzioni elaborate da altri. Gli stessi africani, lavorando insieme per il bene delle loro comunità, devono essere gli agenti primari del loro sviluppo. A questo proposito, vi è un numero crescente di efficaci iniziative che meritano di essere sostenute. Tra esse, la New Partnership for Africa’s Development (NEPAD), il Patto sulla sicurezza, la stabilità e lo sviluppo nella Regione dei Grandi Laghi, il Kimberley Process, la Publish What You Pay Coalition e l’Extractive Industries Transparency Iniziative: loro comune obiettivo è promuovere la trasparenza, l’onesta pratica commerciale e il buon governo. Quanto alla comunità internazionale nel suo insieme, è di urgente importanza il coordinamento degli sforzi per affrontare la questione dei cambiamenti climatici, la piena e giusta realizzazione degli impegni per lo sviluppo indicati dal Doha round e ugualmente la realizzazione della promessa dei Paesi sviluppati molte volte ripetuta di destinare lo 0,7 % del loro PIL (prodotto interno lordo) agli aiuti ufficiali per lo sviluppo. Questa assistenza è ancor più necessaria oggi con la tempesta finanziaria mondiale in atto; l’auspicio è che essa non sia una in più delle sue vittime. Amici, desidero concludere la mia riflessione confidandovi che la mia visita in Camerun e in Angola va suscitando in me quella gioia umana profonda che si prova nel trovarsi tra famiglie. Penso che tale esperienza possa essere il dono comune che l’Africa offre a quanti provengono da altri continenti e giungono qui, dove “la famiglia è il fondamento sul quale è costruito l’edificio sociale” (Ecclesia in Africa, 80). Eppure, come tutti sappiamo, anche qui numerose pressioni si abbattono sulle famiglie: ansia e umiliazione causate dalla povertà, disoccupazione, malattia, esilio, per menzionarne solo alcune. Particolarmente sconvolgente è il giogo opprimente della discriminazione sulle donne e ragazze, senza parlare della innominabile pratica della violenza e dello sfruttamento sessuale che causa loro tante umiliazioni e traumi. Devo anche riferire un’ulteriore area di grave preoccupazione: le politiche di coloro che, col miraggio di far avanzare 1’«edificio sociale», minacciano le sue stesse fondamenta. Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute “materna”! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva (cfr Protocollo di Maputo, art. 14)! La Chiesa, Signore e Signori, la troverete sempre – per volontà del suo divino Fondatore – accanto ai più poveri di questo continente. Posso assicurarvi che essa, attraverso iniziative diocesane e innumerevoli opere educative, sanitarie e sociali dei diversi Ordini religiosi, programmi di sviluppo delle Caritas e di altre organizzazioni, continuerà a fare tutto ciò che le è possibile per sostenere le famiglie – comprese quelle colpite dai tragici effetti dell’AIDS – e per promuovere l’uguale dignità di donne e uomini sulla base di un’armoniosa complementarità. Il cammino spirituale del cristiano è quello della quotidiana conversione; a questo la Chiesa invita tutti i leaders dell’umanità, affinché essa possa seguire i sentieri della verità, dell’integrità, del rispetto e della solidarietà. Signor Presidente, desidero confermarLe la mia viva riconoscenza per l’accoglienza che ci ha offerta nella Sua casa. Ringrazio ciascuno di voi per la gentilezza della presenza e dell’attento ascolto. Contate sulle mie preghiere per voi e per le vostre famiglie e per tutti gli abitanti di questa meravigliosa Africa! Il Dio del cielo vi sia propizio e tutti benedica!

Incontro con i Vescovi dell’Angola e São Tomé nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Luanda (20 marzo 2009)

Alle 19, nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Luanda, Benedetto XVI ha incontra i Vescovi dell’Angola e São Tomé, presente  anche l’Arcivescovo emerito di Luanda, card. Alexandre do Nascimento. Dopo l’indirizzo di saluto dell’Arcivescovo di Luanda e Presidente della Conferenza Episcopale dell’Angola e São Tomé (CEAST), mons. Damião António Franklin, il Papa ha pronunciato questo discorso.

Signor Cardinale, Carissimi Vescovi di Angola e São Tomé!

Provo una gioia immensa nel potervi incontrare in questa sede che l’Angola ha riservato al Successore di Pietro – di solito nella persona di un suo Rappresentante –, quale espressione visibile dei legami che uniscono i vostri Popoli alla Chiesa cattolica, la quale da più di cinquecento anni si rallegra di potervi annoverare tra i suoi figli. Si innalzino, concordi e ferventi, le nostre lodi a Dio Padre che, per opera e grazia dello Spirito Santo, non cessa di generare il Corpo mistico del suo Figlio con i lineamenti angolani e santomensi, senza perdere con ciò le fisionomie ebrea, romana, portoghese e tante altre acquistate prima, «poiché quanti siete stati battezzati in Cristo (…), siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27.28). Il buon Dio, per portare avanti oggi quest’opera della gestazione del Cristo totale mediante la fede e il battesimo, ha voluto avere bisogno di me e di voi, venerati Fratelli; non desti quindi stupore che le doglie del parto si facciano sentire in noi finché Cristo non sia completamente formato (cfr Gal 4, 19) nel cuore del vostro popolo. Dio vi ricompenserà di ogni fatica apostolica che avete portato avanti in condizioni difficili, sia durante la guerra sia nei giorni presenti a contatto con tante limitazioni, contribuendo in questo modo a dare alla Chiesa in Angola e in São Tomé e Príncipe quel dinamismo che tutti le riconoscono.

Consapevole del ministero che sono stato chiamato a svolgere al servizio della comunione ecclesiale, vi prego di farvi interpreti della mia costante sollecitudine verso le vostre comunità, che saluto con sincero affetto nella persona di ognuno dei membri di questa Conferenza episcopale. Rivolgo un saluto particolare al vostro Presidente, Mons. Damião Franklin, che ringrazio per le parole di benvenuto che a nome vostro mi ha rivolto, evidenziando il vostro impegno per un puntuale discernimento e per il conseguente piano unitario da attuare nelle vostre comunità diocesane «per rendere idonei i fratelli (…), finché arriviamo tutti allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 12.13). Infatti, contro un diffuso relativismo che nulla riconosce come definitivo e anzi tende ad erigere a misura ultima l’io personale e i suoi capricci, noi proponiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, che è anche vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo. Il cristiano di fede adulta e matura non è colui che segue le onde della moda e l’ultima novità, ma colui che vive profondamente radicato nell’amicizia di Cristo. Questa amicizia ci apre verso tutto ciò che è buono e ci offre il criterio per discernere tra errore e verità.

Certamente decisivo in ordine al futuro della fede e all’indirizzo globale della vita della Nazione è il campo della cultura, in cui la Chiesa gode di rinomate istituzioni accademiche, le quali devono proporsi come punto d’onore di far sì che la voce dei cattolici sia sempre presente nel dibattito culturale della Nazione, perché si rafforzino le capacità di elaborare razionalmente, alla luce della fede, le tante questioni che sorgono nei diversi ambiti della scienza e della vita. Inoltre la cultura e i modelli di comportamento si trovano oggi sempre più condizionati e caratterizzati dalle immagini proposte dai mezzi di comunicazione sociale; perciò è lodevole ogni vostro sforzo per avere, anche a questo livello, una capacità di comunicazione che vi metta in grado di offrire a tutti un’interpretazione cristiana degli eventi, dei problemi e delle realtà umane.

Una di queste realtà umane, oggi esposta a parecchie difficoltà e minacce, è la famiglia, la quale ha un particolare bisogno di essere evangelizzata e concretamente sostenuta, poiché, alla fragilità ed instabilità interna di tante unioni coniugali, si viene ad aggiungere la tendenza diffusa nella società e nella cultura di contestare il carattere unico e la missione propria della famiglia fondata sul matrimonio. Nella vostra sollecitudine di Pastori nei confronti di ogni essere umano, continuate ad alzare la voce in difesa della sacralità della vita umana e del valore dell’istituto matrimoniale e per la promozione del ruolo che ha la famiglia nella Chiesa e nella società, chiedendo misure economiche e legislative che le rechino sostegno nella generazione e nell’educazione dei figli.

Mi rallegro per la presenza nelle vostre Nazioni sia di tante comunità vibranti di fede, con un laicato impegnato che si dedica a parecchie opere di apostolato, sia di un numero consistente di vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, in special modo quella contemplativa: costituiscono un vero segno di speranza per il futuro. E mentre il clero diventa sempre più autoctono, desidero prestare omaggio al lavoro svolto pazientemente ed eroicamente dai missionari per annunziare Cristo e il suo Vangelo e per far nascere le comunità cristiane di cui oggi siete responsabili. Vi invito a seguire da vicino i vostri presbiteri, preoccupandovi della loro formazione permanente a livello sia teologico che spirituale, e mantenendovi attenti alle loro condizioni di vita e d’esercizio della propria missione, affinché siano autentici testimoni della Parola che annunziano e dei Sacramenti che celebrano. Possano, nel dono di se stessi a Cristo e al popolo di cui sono i pastori, rimanere fedeli alle esigenze del loro stato e vivere il loro ministero presbiterale come un vero cammino di santità, cercando di farsi santi per suscitare intorno a sé nuovi santi.

Venerati Fratelli, nell’affidarmi al vostro orante ricordo presso il Signore, vi assicuro da parte mia una speciale preghiera a Colui che è il vero Sposo della Chiesa, da Lui amata, protetta e nutrita: il Figlio unigenito del Dio vivente, Gesù Cristo Nostro Signore. Egli sostenga con la sua grazia i vostri impegni pastorali, perché diventino fecondi secondo l’esempio e sotto la protezione dell’Immacolato Cuore della Vergine Madre. Con tali sentimenti, imparto la mia Benedizione ad ognuno di voi, ai vostri presbiteri, alle persone consacrate, ai seminaristi, ai catechisti e a tutti i fedeli laici, membri del gregge che Dio vi ha affidato.

Omelia durante la Santa Messa con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e i catechisti dell’Angola e São Tomé nella Chiesa São Paolo di Luanda (21 marzo 2009)

Sabato mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica di Luanda, Benedetto XVI si è recato in auto alla Chiesa di São Paulo per la Messa con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i Movimenti ecclesiali ed i catechisti dell’Angola e São Tomé. L’indirizzo di saluto gli è stato rivolto da mons. Gabriel Mbilingi, C.S.Sp., Arcivescovo Coadiutore di Lubango e Vicepresidente della Conferenza Episcopale dell’Angola e São Tomé (CEAST). Questa l’omelia pronunciata in portoghese.

Carissimi fratelli e sorelle, Amati lavoratori della vigna del Signore!

Come abbiamo sentito, i figli d’Israele si dicevano l’un l’altro: «Affrettiamoci a conoscere il Signore». Essi si rincuoravano con queste parole, mentre si vedevano sommersi dalle tribolazioni. Queste erano cadute su di loro – spiega il profeta – perché vivevano nell’ignoranza di Dio; il loro cuore era povero d’amore. E il solo medico in grado di guarirlo era il Signore. Anzi, è stato proprio Lui, come buon medico, ad aprire la ferita, affinché la piaga guarisse. E il popolo si decide: «Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà» (Os 6, 1). In questo modo hanno potuto incrociarsi la miseria umana e la Misericordia divina, la quale null’altro desidera se non accogliere i miseri.

Lo vediamo nella pagina del Vangelo proclamata: «Due uomini salirono al tempio a pregare»; di là, uno «tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro» (Lc 18, 10.14). Quest’ultimo aveva esposto tutti i suoi meriti davanti a Dio, quasi facendo di Lui un suo debitore. In fondo, egli non sentiva il bisogno di Dio, anche se Lo ringraziava per avergli concesso di essere così perfetto e «non come questo pubblicano». Eppure sarà proprio il pubblicano a scendere a casa sua giustificato. Consapevole dei suoi peccati, che lo fanno rimanere a testa bassa – in realtà però egli è tutto proteso verso il Cielo –, egli aspetta ogni cosa dal Signore: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18, 13). Egli bussa alla porta della Misericordia, la quale si apre e lo giustifica, «perché – conclude Gesù – chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18, 14).

Di questo Dio, ricco di Misericordia, ci parla per esperienza personale san Paolo, patrono della città di Luanda e di questa stupenda chiesa, edificata quasi cinquant’anni fa. Ho voluto sottolineare il bimillenario della nascita di san Paolo con il Giubileo paolino in corso, allo scopo di imparare da lui a conoscere meglio Gesù Cristo. Ecco la testimonianza che egli ci ha lasciato: «Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo io ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, affinché «fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna» (1 Tm 1, 15-16). E, con il passare dei secoli, il numero dei raggiunti dalla grazia non ha cessato di aumentare. Tu ed io siamo di loro. Rendiamo grazie a Dio perché ci ha chiamati ad entrare in questa processione dei tempi per farci avanzare verso il futuro. Seguendo coloro che hanno seguito Gesù, con loro seguiamo lo stesso Cristo e così entriamo nella Luce.

Cari fratelli e sorelle, provo una grande gioia nel trovarmi oggi in mezzo a voi, miei compagni di giornata nella vigna del Signore; di questa vi occupate con cura quotidiana preparando il vino della Misericordia divina e versandolo poi sulle ferite del vostro popolo così tribolato. Mons. Gabriel Mbilingi si è fatto interprete delle vostre speranze e fatiche nelle gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. Con animo grato e pieno di speranza, vi saluto tutti – donne e uomini dediti alla causa di Gesù Cristo – che qui vi trovate e quanti ne rappresentate: Vescovi, presbiteri, consacrate e consacrati, seminaristi, catechisti, leaders dei più diversi Movimenti e Associazioni di questa amata Chiesa di Dio. Desidero ricordare inoltre le religiose contemplative, presenza invisibile ma estremamente feconda per i passi di tutti noi. Mi sia permessa infine una parola particolare di saluto ai Salesiani e ai fedeli di questa parrocchia di san Paolo che ci accolgono nella loro chiesa, senza esitare per questo a cederci il posto che abitualmente spetta ad essi nell’assemblea liturgica. Ho saputo che si trovano radunati nel campo adiacente e spero, al termine di quest’Eucaristia, di poterli vedere e benedire, ma fin d’ora dico loro: «Grazie tante! Dio susciti in mezzo a voi e per mezzo vostro tanti apostoli nella scia del vostro Patrono».

Fondamentale nella vita di Paolo è stato il suo incontro con Gesù, quando camminava per la strada verso Damasco: Cristo gli appare come luce abbagliante, gli parla, lo conquista. L’apostolo ha visto Gesù risorto, ossia l’uomo nella sua statura perfetta. Quindi si verifica in lui un’inversione di prospettiva, ed egli giunge a vedere ogni cosa a partire da questa statura finale dell’uomo in Gesù: ciò che prima gli sembrava essenziale e fondamentale, adesso per lui non vale più della «spazzatura»; non è più «guadagno» ma perdita, perché ora conta soltanto la vita in Cristo (cfr Fl 3, 7-8). Non si tratta di semplice maturazione dell’«io» di Paolo, ma di morte a se stesso e di risurrezione in Cristo: è morta in lui una forma di esistenza; una forma nuova è nata in lui con Gesù risorto.

Miei fratelli e amici, «affrettiamoci a conoscere il Signore» risorto! Come sapete, Gesù, uomo perfetto, è anche il nostro vero Dio. In Lui, Dio è diventato visibile ai nostri occhi, per farci partecipi della sua vita divina. In questo modo, viene inaugurata con Lui una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale viene integrata anche la materia e mediante la quale sorge un mondo nuovo. Ma questo salto di qualità della storia universale che Gesù ha compiuto al nostro posto e per noi, in concreto come raggiunge l’essere umano, permeando la sua vita e trascinandola verso l’Alto? Raggiunge ciascuno di noi attraverso la fede e il Battesimo. Infatti, questo sacramento è morte e risurrezione, trasformazione in una vita nuova, a tal punto che la persona battezzata può affermare con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gl 2, 20). Vivo io, ma già non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io, ma trasformato e aperto agli altri mediante il mio inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo spazio di vita. Che cosa è dunque avvenuto di noi? Risponde Paolo: Voi siete diventati uno in Cristo Gesù (cfr Gl 3, 28).

E, mediante questo nostro essere cristificato per opera e grazia dello Spirito di Dio, pian piano si va completando la gestazione del Corpo di Cristo lungo la storia. In questo momento, mi piace andare col pensiero indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre, allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla determinazione del re Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga, che regnò dal menzionato anno 1506 fino al 1543, anno in cui morì; il regno rimase ufficialmente cattolico dal secolo XVI fino al XVIII, con un proprio ambasciatore in Roma. Vedete come due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – hanno potuto trovare nella religione cristiana una piattaforma d’intesa, e si sono impegnate poi perché quest’intesa durasse a lungo e le divergenze – ce ne sono state, e di gravi – non separassero i due regni! Di fatto, il Battesimo fa sì che tutti i credenti siano uno in Cristo.

Oggi spetta a voi, fratelli e sorelle, sulla scia di quegli eroici e santi messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri concittadini. Tanti di loro vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare che Cristo ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr Ef 1, 19-23; 6, 10-12)? Qualcuno obietta: «Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità». Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna.

Venerati e amati fratelli e sorelle, diciamo loro come il popolo israelita: «Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà». Aiutiamo la miseria umana ad incontrarsi con la Misericordia divina. Il Signore fa di noi i suoi amici, Egli si affida a noi, ci consegna il suo Corpo nell’Eucaristia, ci affida la sua Chiesa. E allora dobbiamo essere davvero suoi amici, avere un solo sentire con Lui, volere ciò che Egli vuole e non volere ciò che Egli non vuole. Gesù stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che Io vi comando» (Gv 15, 14). Sia questo il nostro impegno comune: fare, tutti insieme, la sua santa volontà: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15). Abbracciamo la sua volontà, come ha fatto san Paolo: «Predicare il Vangelo (…) è un dovere per me: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cr 9, 16).

Incontro con i giovani nello Stadio dos Coqueiros di Luanda (21 marzo 2009)

Nel pomeriggio di sabato, Benedetto XVI ha incontrato i giovani allo Stadio dos Coqueiros di Luanda. All’incontro, che ha per tema: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap, 21,5), erano presenti anche rappresentanze di giovani orfani e mutilati, vittime della guerra civile. Introdotto dagli indirizzi di saluto di mons. Almeida Kanda, Vescovo di Ndalatando, incaricato della pastorale giovanile, e di due giovani, il Papa ha pronunciato in portoghese questo discorso.

Carissimi amici!

Siete venuti in gran numero, in rappresentanza di molti altri spiritualmente a voi uniti, per incontrare il Successore di Pietro e, insieme a me, proclamare davanti a tutti la gioia di credere in Gesù Cristo e rinnovare l’impegno di essere suoi fedeli discepoli in questo nostro tempo. Un identico incontro ha avuto luogo in questa stessa città, in data 7 giugno 1992, con l’amato Papa Giovanni Paolo II. Con lineamenti un po’ diversi, ma con lo stesso amore nel cuore, ecco davanti a voi l’attuale Successore di Pietro, che vi abbraccia tutti in Gesù Cristo, che “è lo stesso ieri, oggi e per sempre” (Eb 13,8).

Prima di tutto, voglio ringraziarvi per questa festa che voi mi fate, per questa festa che voi siete, per la vostra presenza e la vostra gioia. Rivolgo un saluto affettuoso ai venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio e ai vostri animatori. Di cuore ringrazio e saluto quanti hanno preparato quest’Incontro e, in particolare, la Commissione episcopale per la Gioventù e le Vocazioni con il suo Presidente, Mons. Kanda Almeida, che ringrazio per le cordiali parole di benvenuto rivoltemi. Saluto tutti i giovani, cattolici e non cattolici, alla ricerca di una risposta per i loro problemi, alcuni dei quali sicuramente riferiti dai vostri Rappresentanti, le cui parole ho ascoltato con gratitudine. L’abbraccio che ho scambiato con loro vale naturalmente per tutti voi.

Incontrare i giovani fa bene a tutti! Essi hanno a volte tante difficoltà, ma portano con sé tanta speranza, tanto entusiasmo, tanta voglia di ricominciare. Giovani amici, voi custodite in voi stessi la dinamica del futuro. Vi invito a guardarlo con gli occhi dell’apostolo Giovanni: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra (…) e anche la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini”» (Ap 21, 1-3). Carissimi amici, Dio fa la differenza. A cominciare dalla serena intimità fra Dio e la coppia umana nel giardino dell’Eden, passando alla gloria divina che irradiava dalla Tenda della Riunione in mezzo al popolo d’Israele durante la traversata del deserto, fino all’incarnazione del Figlio di Dio che si è indissolubilmente unito all’uomo in Gesù Cristo. Questo stesso Gesù riprende la traversata del deserto umano passando attraverso la morte e arriva alla risurrezione, trascinando con sé verso Dio l’intera umanità. Ora Gesù non si trova più confinato in un luogo e in un tempo determinato, ma il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da Lui e entra nei nostri cuori, unendoci così con Gesù stesso e con Lui al Padre – con il Dio uno e trino.

Sì, miei cari amici! Dio fa la differenza… Di più! Dio ci fa differenti, ci fa nuovi. Tale è la promessa che Egli stesso ci fa: «Ecco io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5). Ed è vero! Ce lo dice l’apostolo san Paolo: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con se mediante Cristo» (2 Cr 5, 17-18). Essendo salito al Cielo ed essendo entrato nell’eternità, Gesù Cristo è diventato Signore di tutti i tempi. Perciò, può farsi nostro compagno nel presente, portando il libro dei nostri giorni nella sua mano: in essa sostiene fermamente il passato, con le sorgenti e le fondamenta del nostro essere; in essa custodisce gelosamente il futuro, lasciandoci intravedere l’alba più bella di tutta la nostra vita che da lui irradia, ossia la risurrezione in Dio. Il futuro dell’umanità nuova è Dio; proprio un iniziale anticipo di ciò è la sua Chiesa. Quando ne avrete la possibilità, leggetene con attenzione la storia: potrete rendervi conto che la Chiesa, nello scorrere degli anni, non invecchia; anzi diventa sempre più giovane, perché cammina incontro al Signore, avvicinandosi ogni giorno di più alla sola e vera sorgente da dove scaturisce la gioventù, la rigenerazione, la forza della vita.

Amici che mi ascoltate, il futuro è Dio. Come abbiamo ascoltato poc’anzi, Egli «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 4). Nel frattempo, vedo qui presenti alcuni delle migliaia di giovani angolani mutilati in conseguenza della guerra e delle mine, penso alle innumerevoli lacrime che tanti di voi hanno versato per la perdita dei familiari, e non è difficile immaginare le nubi grigie che coprono ancora il cielo dei vostri sogni migliori… Leggo nel vostro cuore un dubbio, che voi rivolgete a me: «Questo è ciò che abbiamo. Quello che tu ci dici non si vede! La promessa ha la garanzia divina – e noi vi crediamo –, ma Dio quando si alzerà per rinnovare ogni cosa?». La risposta di Gesù è la stessa che Egli ha dato ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto?» (Gv 14, 1-2). Ma voi, carissimi giovani, insistete: «D’accordo! Ma quando accadrà questo?» Ad una domanda simile fatta dagli apostoli, Gesù rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni (…) fino agli estremi confini della terra» (At 1, 7-8). Guardate che Gesù non ci lascia senza risposta; ci dice chiaramente una cosa: il rinnovamento inizia dentro; riceverete una forza dall’Alto. La forza dinamica del futuro si trova dentro di voi.

Si trova dentro… ma come? Come la vita è dentro un seme: così ha spiegato Gesù, in un’ora critica del suo ministero. Era iniziato – il suo ministero – con grande entusiasmo, poiché la gente vedeva i malati guariti, i demoni cacciati, il Vangelo annunziato; ma, per il resto, il mondo andava avanti come prima: i romani dominavano ancora; la vita era difficile nel susseguirsi dei giorni, nonostante ci fossero quei segni, quelle belle parole. E l’entusiasmo si era andato spegnendo, fino al punto che parecchi discepoli avevano abbandonato il Maestro (cfr Gv 6, 66), che predicava ma non cambiava il mondo. E tutti si domandavano: In fondo che valore ha questo messaggio? Cosa ci porta questo Profeta di Dio? Allora Gesù parlò di un seminatore che semina nel campo del mondo, e spiegò poi che il seme è la sua Parola (cfr Mc 4, 3-20), sono le guarigioni operate: davvero poca cosa se paragonate con le enormi carenze e “macas” [difficoltà] della realtà di ogni giorno. Eppure nel seme è presente il futuro, perché il seme porta dentro di sé il pane di domani, la vita di domani. Il seme sembra quasi niente, ma è la presenza del futuro, è promessa presente già oggi; quando cade in terra buona fruttifica trenta, sessanta ed anche cento volte tanto.

Amici miei, voi siete un seme gettato da Dio nella terra; esso porta nel cuore una forza dell’Alto, la forza dello Spirito Santo. Tuttavia per passare dalla promessa di vita al frutto, la sola via possibile è offrire la vita per amore, è morire per amore. Lo ha detto lo stesso Gesù: «Se il seme caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (cfr Gv 12, 24-25). Così ha parlato Gesù, e così ha fatto: la sua crocifissione sembra il fallimento totale, ma non lo è! Gesù, animato dalla forza di «uno Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9, 14). E in questo modo, caduto cioè in terra, Egli ha potuto dar frutto in ogni tempo e lungo tutti i tempi. E in mezzo a voi si trova il nuovo Pane, il Pane della vita futura, la Santissima Eucaristia che ci alimenta e fa sbocciare la vita trinitaria nel cuore degli uomini.

Giovani amici, sementi dotate della forza del medesimo Spirito eterno, sbocciate al calore dell’Eucaristia, nella quale si realizza il testamento del Signore: Lui si dona a noi e noi rispondiamo donandoci agli altri per amore suo. Questa è la via della vita; ma sarà possibile percorrerla alla sola condizione di un dialogo costante con il Signore e di un dialogo vero tra voi. La cultura sociale dominante non vi aiuta a vivere la Parola di Gesù e neppure il dono di voi stessi a cui Egli vi invita secondo il disegno del Padre. Carissimi amici, la forza si trova dentro di voi, come era in Gesù che diceva: «Il Padre che è in me compie le sue opere. (…) Anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne fará di più grandi, perché io vado al Padre» (Gv 14, 10.12). Perciò non abbiate paura di prendere decisioni definitive. Generosità non vi manca – lo so! Ma di fronte al rischio di impegnarsi per tutta la vita, sia nel matrimonio che in una vita di speciale consacrazione, provate paura: «Il mondo vive in continuo movimento e la vita è piena di possibilità. Potrò io disporre in questo momento della mia vita intera ignorando gli imprevisti che essa mi riserva? Non sarà che io, con una decisione definitiva, mi gioco la mia libertà e mi lego con le mie stesse mani?». Tali sono i dubbi che vi assalgono e l’attuale cultura individualistica e edonista li esaspera. Ma quando il giovane non si decide, corre il rischio di restare un eterno bambino!

Io vi dico: Coraggio! Osate decisioni definitive, perché in verità queste sono le sole che non distruggono la libertà, ma ne creano la giusta direzione, consentendo di andare avanti e di raggiungere qualcosa di grande nella vita. Non c’è dubbio che la vita ha valore soltanto se avete il coraggio dell’avventura, la fiducia che il Signore non vi lascerà mai soli. Gioventù angolana, libera dentro di te lo Spirito Santo, la forza dall’Alto! Con fiducia in questa forza, come Gesù, rischia questo salto per così dire nel definitivo e, con ciò, offri una possibilità alla vita! Così verranno a crearsi tra voi delle isole, delle oasi e poi grandi superfici di cultura cristiana, in cui diventerà visibile quella «città santa che scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo». Questa è la vita che merita di essere vissuta e che di cuore vi auguro. Viva la gioventù di Angola!

Omelia durante la Santa Messa con i Vescovi dell’I.M.B.I.S.A. (Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa) nella Spianata di Cimangola a Luanda (22 marzo 2009)

Alle 10 di domenica 22 marzo, nella spianata di Cimangola, Benedetto XVI  ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con i Vescovi dell’IMBISA (Inter-regional Meeting of Bishops of Southern Africa), cui appartengono le Conferenze Episcopali di Angola e São Tomé, Botswana, Sud Africa e Swaziland, Lesotho, Mozambico, Namibia e Zimbabwe Nel corso della Santa Messa, introdotta dall’indirizzo di omaggio dell’arcivescovo di Luanda e Presidente della CEAST, mons. Damião António Franklin, ha pronunciato questa omelia in portoghese.

Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Cari fratelli e sorelle in Cristo!

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Queste parole ci colmano di gioia e di speranza, in quanto attendiamo il compimento delle promesse di Dio. Motivo di particolare gioia è, oggi, per me potere come Successore dell’Apostolo Pietro celebrare questa Messa con voi, miei fratelli e sorelle in Cristo venuti da varie regioni dell’Angola, di São Tomé e Príncipe e da molti altri Paesi. Con grande affetto nel Signore, saluto le comunità cattoliche di Luanda, Bengo, Cabinda, Benguela, Huambo, Huíla, Kuando Kubango, Kunene, Kwanza Norte, Kwanza Sul, Lunda Norte, Lunda Sul, Malanje, Namibe, Moxico, Uíje e Zaire.

In modo speciale, saluto i miei Fratelli Vescovi, i membri dell’Associazione Inter-regionale dei Vescovi dell’Africa Australe, raccolti intorno a questo altare del Sacrificio del Signore. Ringrazio il Presidente del CEAST, Arcivescovo Damião Franklin, per le sue gentile parole di benvenuto e, nelle persone dei loro Pastori, saluto tutti i fedeli della nazioni di Botswana, Lesotho, Mozambique, Namibia, South Africa, Swaziland e Zimbabwe.

La prima lettura di oggi ha una particolare risonanza per il Popolo di Dio in Angola. E’ un messaggio di speranza rivolto al Popolo eletto nella lontana regione del loro esilio, un invito a ritornare in Gerusalemme per ricostruire il Tempio del Signore. La vivace descrizione della distruzione e della rovina causata dalla guerra rispecchia l’esperienza personale di tante persone in questo Paese durante le terribili devastazioni della guerra civile. Com’è vero che la guerra può “distruggere tutto ciò che ha valore” (cfr 2 Cr 36,19): famiglie, intere comunità, il frutto della fatica degli uomini, le speranze che guidano e sostengono le loro vite e il loro lavoro! Questa esperienza è fin troppo familiare all’Africa nel suo insieme: il potere distruttivo della guerra civile, il precipitare nel vortice dell’odio e della vendetta, lo sperpero degli sforzi di generazioni di gente perbene. Quando la Parola del Signore – una Parola che mira all’edificazione dei singoli, delle comunità e dell’intera famiglia umana – è trascurata, e quando la Legge di Dio è “ridicolizzata, disprezzata e schernita” (cfr ibid., v. 16), il risultato può essere solo distruzione ed ingiustizia: l’umiliazione della nostra comune umanità e il tradimento della nostra vocazione ad essere figli e figlie del Padre misericordioso, fratelli e sorelle del suo Figlio diletto.

Traiamo quindi conforto dalle parole consolanti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura! La chiamata a ritornare e a ricostruire il tempio di Dio ha un significato particolare per ciascuno di noi. San Paolo, della cui nascita celebriamo quest’anno il bimillennario, ci dice che “siamo il tempio del Dio vivente” (2 Cor 6, 16). Come sappiamo, Dio dimora nei cuori di quanti pongono la loro fiducia in Cristo, sono rinati nel Battesimo e sono resi tempio dello Spirito Santo. Anche adesso, nell’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa, Dio ci chiama a riconoscere il potere della sua presenza in noi, a riappropriarci del dono del suo amore e del suo perdono e a diventare messaggeri di questo amore misericordioso entro le nostre famiglie e comunità, a scuola e al posto di lavoro, in ogni settore della vita sociale e politica.

Qui in Angola, questa Domenica è stata riservata come giorno di preghiera e di sacrificio per la riconciliazione nazionale. Il Vangelo ci insegna che la riconciliazione – una vera riconciliazione – può essere soltanto frutto di una conversione, di un cambiamento del cuore, di un nuovo modo di pensare. Ci insegna che solo il potere dell’amore di Dio può cambiare i nostri cuori e farci trionfare sul potere del peccato e della divisione. Quando eravamo “morti per i nostri peccati” (cfr Ef 2, 5) il suo amore e la sua misericordia ci hanno offerto la riconciliazione e la vita nuova in Cristo. È questo il nucleo dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo, ed è importante per noi richiamare alla memoria che solo la grazia di Dio può creare in n oi un cuore nuovo! Solo il suo amore può cambiare il nostro “cuore di pietra” (Ez 11, 19) e metterci in grado di costruire invece di demolire. Solo Dio può fare nuove tutte le cose!

Sono venuto in Africa proprio per predicare questo messaggio di perdono, di speranza e di una nuova vita in Cristo. Tre giorni fa, a Yaoundé, ho avuto la gioia di rendere pubblico l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, che sarà dedicata al tema: La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Vi chiedo oggi di pregare, in unione con tutti i nostri fratelli e sorelle in tutta l’Africa, per questa intenzione: che ogni cristiano in questo grande Continente sperimenti il tocco risanante dell’amore misericordioso di Dio e che la Chiesa in Africa diventi “per tutti, grazie alla testimonianza resa dai suoi figli e dalle sue figlie, luogo di autentica riconciliazione” (Ecclesia in Africa 79).

Cari amici, è questo il messaggio che il Papa porta a voi e ai vostri figli. Dallo Spirito Santo avete ricevuto la forza di essere i costruttori di un domani migliore per il vostro amato Paese. Nel Battesimo vi è stato dato lo Spirito per essere araldi del Regno di Dio, Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace (cfr Messale Romano, Prefazio di Cristo Re). Nel giorno del vostro Battesimo avete ricevuto la luce di Cristo. Siate fedeli a questo dono, certi che il Vangelo può confermare, purificare e nobilitare i profondi valori umani presenti nella vostra cultura nativa e nelle vostre tradizioni: famiglie unite, profondo senso religioso, gioiosa celebrazione del dono della vita, apprezzamento della saggezza degli anziani e delle aspirazioni dei giovani. E poi siate riconoscenti per la luce di Cristo! Mostratevi riconoscenti verso coloro che ve l’hanno portata: generazioni e generazioni di missionari che tanto hanno contribuito e continuano a contribuire allo sviluppo umano e spirituale di questo Paese. Siate riconoscenti per la testimonianza di tanti genitori ed insegnanti cristiani, di catechisti, sacerdoti, religiose e religiosi, che hanno sacrificato la loro propria vita per trasmettervi questo tesoro prezioso! Ed affrontate la sfida che questo grande patrimonio vi pone. Rendetevi conto che la Chiesa, in Angola e in tutta l’Africa, ha il compito di essere, davanti al mondo, un segno di quell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata mediante la fede in Cristo Redentore.

Nel Vangelo di oggi vi sono parole pronunciate da Gesù che suscitano una certa impressione: Egli ci dice che la sentenza di Dio sul mondo è già stata emessa (cfr Gv 3, 19ss). La luce è già venuta nel mondo. Ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Quanto grandi sono le tenebre in tante parti del mondo! Tragicamente, le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa, compresa questa amata Nazione di Angola. Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta – una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori. E che dire di quell’ insidioso spirito di egoismo che chiude gli individui in se stessi, divide le famiglie e, soppiantando i grandi ideali di generosità e di abnegazione, conduce inevitabilmente all’edonismo, all’evasione in false utopie attraverso l’uso della droga, all’irresponsabilità sessuale, all’indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e all’eliminazione di vite umane innocenti mediante l’aborto?

La parola di Dio, però, è una parola di speranza senza limiti. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito … perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 16–17). Dio non ci dà mai per spacciati! Egli continua ad invitarci ad alzare gli occhi verso un futuro di speranza e ci promette la forza per realizzarlo. Come dice san Paolo nella seconda lettura di oggi, Dio ci ha creati in Cristo Gesù per vivere una vita giusta, una vita in cui pratichiamo opere buone secondo la sua volontà (cfr Ef 2, 10). Ci ha donati i suoi comandamenti, non come un fardello, ma come una fonte di libertà: della libertà di diventare uomini e donne pieni di saggezza, maestri di giustizia e di pace, gente che ha fiducia negli altri e cerca il loro vero bene. Dio ci ha creati per vivere nella luce e per essere luce per il mondo intorno a noi! È questo che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: “Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3, 21).

“Vivete, dunque, secondo verità!” Irraggiate la luce della fede, della speranza e dell’amore nelle vostre famiglie e comunità! Siate testimoni della santa verità che rende liberi uomini e donne! Voi sapete in base ad un’amara esperienza che, rispetto alla repentina furia distruttrice del male, il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro. Richiede tempo, fatica e perseveranza: deve iniziare nei nostri cuori, nei piccoli sacrifici quotidiani necessari per essere fedeli alla legge di Dio, nei piccoli gesti mediante i quali dimostriamo di amare i nostri vicini – tutti i nostri vicini senza riguardo alla razza, all’etnia o alla lingua – nella disponibilità a collaborare con loro per costruire insieme su basi durevoli. Fate sì che le vostre parrocchie diventino comunità dove la luce della verità di Dio e il potere dell’amore riconciliante di Cristo non siano soltanto celebrati, ma espressi in opere concrete di carità. E non abbiate paura! Anche se questo significa essere un “segno di contraddizione” (Lc 2, 34) di fronte ad atteggiamenti duri e ad una mentalità che vede gli altri come strumenti da usare piuttosto che come fratelli e sorelle da amare, da rispettare e da aiutare lungo la via della libertà, della vita e della speranza.

Permettetemi di concludere con una parola rivolta in particolare ai giovani dell’Angola e a tutti i giovani dell’Africa. Cari giovani amici, voi siete la speranza del futuro del vostro Paese, la promessa di un domani migliore! Cominciate fin da oggi a crescere nella vostra amicizia con Gesù, che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6): un’amicizia nutrita ed approfondita mediante la preghiera umile e perseverante. Cercate la sua volontà su di voi, ascoltando quotidianamente la sua parola e permettendo alla sua legge di modellare la vostra vita e le vostre relazioni. In questo modo diventerete profeti saggi e generosi dell’amore salvifico di Dio; diventerete evangelizzatori dei vostri stessi compagni, guidandoli con il vostro esempio personale ad apprezzare la bellezza e la verità del Vangelo e verso la speranza di un futuro plasmato dai valori del Regno di Dio. La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza! Non abbiate paura di rispondere generosamente alla chiamata di Dio a servirlo sia come sacerdoti, religiose o religiosi, sia come genitori cristiani o in tante altre forme di servizio che la Chiesa vi propone.

Cari fratelli e sorelle! Alla fine della prima lettura di oggi, Ciro re di Persia, ispirato da Dio, ingiunge al Popolo eletto di ritornare nella sua amata Patria e di ricostruire il Tempio del Signore. Che queste parole del Signore siano un appello all’intero Popolo di Dio in Angola e in tutta l’Africa del Sud: Alzatevi! Ponde-vos a caminho! (2 Cr 36, 23). Guardate al futuro con speranza, confidate nelle promesse di Dio e vivete nella sua verità. In questo modo costruirete qualcosa destinato a perdurare e lascerete alla generazioni future un’eredità durevole di riconciliazione, di giustizia e di pace. Amen.

Recita dell’Angelus Domini nella Spianata di Cimangola a Luanda (22 marzo 2009)

Al termine della Celebrazione Eucaristica nella spianata di Cimangola, Benedetto XVI ha guida la recita dell’Angelus. Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana.

Cari fratelli e sorelle,

al termine della nostra Celebrazione eucaristica, mentre la mia Visita pastorale in Africa sta giungendo alla sua conclusione, ci volgiamo ora a Maria, la Madre del Redentore, per implorarne l’amorevole intercessione su di noi, sulle nostre famiglie, e sul nostro mondo.

In questa preghiera dell’Angelus, ricordiamo il “sì” incondizionato di Maria alla volontà di Dio. Attraverso l’obbedienza di fede della Vergine, il Figlio è venuto nel mondo per portarci perdono, salvezza e vita in abbondanza. Facendosi uomo come noi in tutto fuorché nel peccato, Cristo ci ha insegnato la dignità e il valore di ogni membro della famiglia umana. E’ morto per i nostri peccati, per raccoglierci insieme nella famiglia di Dio.

La nostra preghiera sale oggi dall’Angola, dall’Africa, ed abbraccia il mondo intero. A loro volta gli uomini e le donne di ogni parte del mondo che si uniscono alla nostra preghiera, volgano i loro occhi all’Africa, a questo grande Continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace.

Oggi io affido alle vostre preghiere il lavoro di preparazione per la prossima Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, la cui celebrazione prevista per la fine di quest’anno. Ispirati dalla fede in Dio e fiduciosi nelle promesse di Cristo, possano i cattolici di questo Continente diventare sempre più pienamente lievito di evangelica speranza per tutte le persone di buona volontà che amano l’Africa, sono dedite al progresso materiale e spirituale dei suoi figli, e alla diffusione della pace, della prosperità, della giustizia e della solidarietà in vista del bene comune.

La Vergine Maria, Regina della Pace, continui a guidare il popolo dell’Angola nel compito della riconciliazione nazionale dopo la devastante e disumana esperienza della guerra civile. Le sue preghiere ottengano per tutti gli Angolani la grazia di un autentico perdono, del rispetto per gli altri, della cooperazione che sola può portare avanti l’immensa opera della ricostruzione. La Santa Madre di Dio, che ci addita il Figlio suo, nostro fratello, ricordi a noi cristiani di ogni luogo il dovere di amare il nostro prossimo, di essere costruttori di pace, di essere i primi a perdonare a chi ha peccato contro di noi, così come noi siamo stati perdonati.

Qui, nell’Africa del Sud, vogliamo pregare Nostra Signora in modo particolare di intercedere per la pace, la conversione dei cuori e per la fine del conflitto nella vicina regione dei Grandi Laghi. Il Figlio suo, Principe della Pace, porti guarigione a chi soffre, conforto a coloro che piangono e forza a tutti coloro che portano avanti il difficile processo del dialogo, del negoziato e della cessazione della violenza.

Con questa fiducia, noi ora ci volgiamo a Maria, nostra Madre, e nel recitare la preghiera dell’Angelus, preghiamo per la pace e la salvezza dell’intera famiglia umana.

Incontro con i Movimenti Cattolici per la Promozione della Donna nella Parrocchia di Santo António di Luanda (22 marzo 2009)

Nel pomeriggio di domenica 22 marzo, Benedetto XVI si è recato in auto alla Parrocchia di Santo António, affidata ad una comunità di Frati minori Cappuccini, nella periferia di Luanda. Qui ha avuto luogo l’incontro con alcune rappresentanze di Movimenti cattolici per la promozione della donna. Erano presenti membri di numerose associazioni femminili tra cui “Promaica”, la maggiore associazione angolana per la promozione della donna. Dopo il saluto di mons. José de Queirós Alves, C.SS.R., Arcivescovo di Huambo e Presidente della Commissione per il Laicato, e di due donne in rappresentanza dei movimenti presenti, Benedetto XVI ha pronunciato in portoghese questo discorso.

Carissimi fratelli e sorelle,

«Non hanno più vino» – disse Maria supplicando Gesù affinché lo sposalizio potesse continuare nella festa, come del resto sempre deve essere: «Gli invitati a nozze non possono digiunare quando hanno con loro lo sposo» (cfr Mc 2, 19). Poi la Madre di Gesù si recò dai servi per raccomandar loro: «Fate quello che vi dirà» (cfr Gv 2, 1-5). E quella mediazione materna rese possibile il «vino buono», premonitore di una nuova alleanza tra l’onnipotenza divina e il cuore umano povero ma disponibile. È ciò che, del resto, era già successo in passato quando – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – «tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!”» (Es 19, 8).

Queste stesse parole salgano dal cuore di quanti siamo radunati qui in questa chiesa di Sant’Antonio, sorta grazie alla benemerita opera missionaria dei Frati minori cappuccini, i quali la vollero quale nuova Tenda per l’Arca dell’Alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo in cammino. Su di loro e su quanti collaborano e traggono beneficio dall’assistenza religiosa e sociale qui elargita, il Papa traccia una benevola e incoraggiante Benedizione. Saluto con affetto ciascuno dei presenti: Vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate, e in modo particolare voi, fedeli laici, che abbracciate consapevolmente i doveri d’impegno e di testimonianza cristiana che derivano dal sacramento del Battesimo e, per gli sposati, anche dal sacramento del Matrimonio. E, dettato dalla ragione principale che ci raduna qui, un mio saluto carico di affetto e di speranza va alle donne, alle quali Dio ha affidato le sorgenti della vita: Vivete e scommettete sulla vita, perché il Dio vivente ha scommesso su di voi! Con animo grato, saluto i responsabili e gli animatori dei Movimenti ecclesiali che hanno a cuore, tra l’altro, la promozione della donna angolana. Ringrazio Mons. José de Queirós Alves e ai vostri rappresentanti per le parole che mi hanno rivolto, illustrando gli affanni e le speranze di tante silenziose eroine quali sono le donne in questa Nazione amata.

Tutti esorto ad un’effettiva consapevolezza delle condizioni sfavorevoli a cui sono state – e continuano ad essere – sottoposte tante donne, esaminando in quale misura la condotta e gli atteggiamenti degli uomini, a volte la loro mancanza di sensibilità o di responsabilità, possano esserne la causa. I disegni di Dio sono diversi. Abbiamo sentito nella lettura che tutto il popolo rispose insieme: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» Dice la Sacra Scrittura che il Creatore divino, nell’esaminare l’opera compiuta, vide che qualcosa mancava: tutto sarebbe stato buono, se l’uomo non fosse stato solo! Come poteva l’uomo solo essere ad immagine e somiglianza di Dio che è uno e trino, di Dio che è comunione? «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (cfr Gn 2, 18). Dio di nuovo si mise all’opera per creare l’aiuto che mancava, e lo dotò in modo privilegiato introducendo l’ordine dell’amore, che non vedeva abbastanza rappresentato nella creazione.

Come sapete, fratelli e sorelle, quest’ordine dell’amore appartiene alla vita intima di Dio stesso, alla vita trinitaria, essendo lo Spirito Santo l’ipostasi personale dell’amore. Orbene, «nel fondamento del disegno eterno di Dio – come diceva il compianto Papa Giovanni Paolo II – la donna è colei in cui l’ordine dell’amore nel mondo creato delle persone trova un terreno per gettare la sua prima radice» (Lett. ap. Mulieris dignitatem, 29). Infatti, nel vedere l’affascinante incanto che irradia dalla donna a causa dell’intima grazia che Dio le ha donata, il cuore dell’uomo si illumina e si rivede in essa: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2, 23). La donna è un’altro «io» nella comune umanità. Bisogna riconoscere, affermare e difendere l’uguale dignità dell’uomo e della donna: sono ambedue persone, differentemente da ogni altro essere vivente del mondo attorno a loro.

Ambedue sono chiamati a vivere in profonda comunione, in un vicendevole riconoscimento e dono di se stessi, lavorando insieme per il bene comune con le caratteristiche complementari di ciò che è maschile e di ciò che è femminile. Chi non avverte, oggi, il bisogno di dare più spazio alle «ragioni del cuore»? In un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto. Si pensi alle terre dove abbonda la povertà, alle regioni devastate dalla guerra, a tante situazioni tragiche risultanti da migrazioni forzate e non… Sono quasi sempre le donne che vi mantengono intatta la dignità umana, difendono la famiglia e tutelano i valori culturali e religiosi.

Carissimi fratelli e sorelle, la storia registra quasi esclusivamente le conquiste dei maschi, quando in realtà una parte importantissima si deve ad azioni determinanti, perseveranti e benefiche poste da donne. Lasciate che, fra tante donne straordinarie, vi parli di due: Teresa Gomes e Maria Bonino. Angolana la prima, è deceduta l’anno 2004 nella città di Sumbe, dopo una vita coniugale felice da cui sono nati 7 figli; incrollabile è stata la sua fede cristiana e ammirevole il suo zelo apostolico, soprattutto negli anni 1975 e 1976 quando una feroce propaganda ideologica e politica si abbatté sopra la parrocchia di Nostra Signora delle Grazie di Porto Amboim, riuscendo quasi a far chiudere le porte della chiesa. Allora Teresa divenne la leader dei fedeli che non si arrendevano alla situazione, sostenendoli, proteggendo coraggiosamente le strutture parrocchiali e tentando ogni possibile strada per avere di nuovo la santa Messa. Il suo amore alla Chiesa la rese instancabile nell’opera dell’evangelizzazione, sotto la guida dei sacerdoti.

Quanto a Maria Bonino: era una pediatra italiana, offertasi volontaria per varie missioni in quest’Africa amata, e divenuta la responsabile del Reparto pediatrico dell’Ospedale provinciale d’Uíje negli ultimi due anni della sua vita. Votata alle cure quotidiane di migliaia di bambini lì ricoverati, Maria dovette pagare con il sacrificio più alto il servizio ivi reso durante una terribile epidemia della febbre emorragica di Marburg, finendo lei stessa contagiata; anche se trasferita a Luanda, qui decedette e qui riposa dal 24 marzo del 2005 – si compie dopodomani il quarto anniversario. La Chiesa e la società umana sono state – e continuano ad essere – enormemente arricchite dalla presenza e dalle virtù delle donne, in particolare di quelle che si sono consacrate al Signore e, poggiando su di Lui, si sono messe al servizio degli altri.

Carissimi angolani, oggi nessuno dovrebbe più dubitare del fatto che le donne, sulla base della loro dignità pari a quella degli uomini, hanno «pieno diritto di inserirsi attivamente in ogni ambito della vita pubblica, e il loro diritto deve essere affermato e protetto anche mediante strumenti legali, là dove questi appaiano necessari. Tuttavia il riconoscimento del ruolo pubblico delle donne non deve sminuire l’insostituibile funzione che esse hanno all’interno della famiglia: qui, infatti, il loro contributo per il bene e lo sviluppo sociale, anche se poco considerato, è di un valore realmente inestimabile» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace nel 1995, n. 9). Peraltro, a livello personale, la donna sente la propria dignità non tanto quale risultato dell’affermazione di diritti sul piano giuridico, quanto piuttosto come diretta conseguenza delle attenzioni materiali e spirituali ricevute nel cuore della famiglia. La presenza materna all’interno della famiglia è così importante per la stabilità e la crescita di questa cellula fondamentale della società, che dovrebbe essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile. E, per lo stesso motivo, la società deve richiamare i mariti e i padri alle loro responsabilità riguardo alla propria famiglia.

Carissime famiglie, certamente vi siete rese conto del fatto che nessuna coppia umana può da sola, unicamente con le proprie forze, offrire adeguatamente ai figli l’amore e il senso della vita. Infatti, per poter dire a qualcuno: «La tua vita è buona, nonostante non ne conosca il futuro», c’è bisogno di un’autorità e di una credibilità più alte di quanto possono offrire i genitori da soli. I cristiani sanno che quest’autorità più grande è stata assegnata a quella famiglia più ampia che Dio, per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e del dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, e cioè alla Chiesa. Vediamo qui al lavoro quell’Amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente, anche se non ne conosciamo il futuro. Per questo motivo, l’edificazione di ogni famiglia cristiana avviene all’interno di quella famiglia più grande che è la Chiesa, la quale la sostiene e la stringe al suo petto garantendo che sopra di essa si posa, ora e nel futuro, il «sì» del Creatore.

«Non hanno più vino» – dice Maria a Gesù. Carissime donne angolane, prendeteLa come Avvocata vostra presso il Signore. Così la conosciamo da quelle nozze di Cana: come la Donna benigna, piena di materna sollecitudine e di coraggio, la Donna che si accorge dei bisogni altrui e, volendo rimediare, li porta davanti al Signore. Presso di Lei, possiamo tutti, donne e uomini, ricuperare quella serenità e intima fiducia che ci fa sentire beati in Dio e instancabili nella lotta per la vita. Possa la Madonna di Muxima essere la stella della vostra vita; Essa vi custodisca uniti nella grande famiglia di Dio. Amen.

Cerimonia di congedo all’Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda (23 marzo 2009)

Lunedì 23 marzo, alle 10, all’aeroporto internazionale “4 de Fevereiro” di Luanda, cerimonia di congedo dall’Angola, alla presenza delle Autorità politiche e civili, dei Vescovi dell’Angola e di un gruppo di giovani. Dopo il discorso del Presidente della Repubblica dell’Angola, José Eduardo dos Santos, il Papa ha pronunciato in portoghese questo discorso.

Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica, Illustrissime Autorità civili, militari ed ecclesiastiche, Cari fratelli e sorelle in Cristo, Amici tutti di Angola!

Vivamente sensibile alla presenza di Vostra Eccellenza, Signor Presidente, in quest’ora della mia partenza, voglio esprimerLe il mio apprezzamento e la mia gratitudine tanto per il distinto trattamento che mi ha riservato quanto per le disposizioni prese per facilitare lo svolgimento dei diversi incontri che ho avuto la gioia di vivere. Sia alle Autorità civili e militari che ai Pastori e ai responsabili delle comunità ed istituzioni ecclesiali coinvolte nei suddetti incontri, rivolgo i più cordiali ringraziamenti per ogni gentilezza con cui hanno voluto onorare la mia persona durante questi giorni che ho potuto passare tra voi. Una parola di riconoscenza è dovuta agli operatori dei mezzi di comunicazione sociale, agli agenti dei servizi di sicurezza e a tutti i volontari che, con generosità, efficienza e discrezione, hanno contribuito al buon esito della mia visita.

Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno. È ora di congedarmi e di ripartire alla volta di Roma, rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà.

Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini.

E da Luanda allargo lo sguardo verso l’Africa intera, dandole appuntamento per il prossimo mese di ottobre nella Città del Vaticano, quando ci raduneremo per la II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente, dove il Verbo incarnato in persona ha trovato rifugio. Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: «Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai» (cfr Is 49, 15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni.

Fratelli e amici di Africa, carissimi angolani, coraggio! Non vi stancate di far progredire la pace, compiendo gesti di perdono e lavorando per la riconciliazione nazionale, affinché mai la violenza prevalga sul dialogo, la paura e lo scoraggiamento sulla fiducia, il rancore sull’amore fraterno. E ciò sarà possibile se vi riconoscerete a vicenda quali figli dello stesso e unico Padre del Cielo. Dio benedica l’Angola! Benedica ognuno dei suoi figli e figlie! Benedica il presente e il futuro di questa amata Nazione. Addio!

(fonte: www.vatican.va)