Vita Chiesa

BENEDETTO XVI, UDIENZA: L’ESERCIZIO DELL’AUTORITA’ E’ SERVIZIO AL BENE COMUNE

“L’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune”. Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale di oggi – cui hanno partecipato circa 22 mila fedeli – ha definito santa Elisabetta d’Ungheria “un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida”. Figlia di Andrea II, ricco e potente re d’Ungheria, Elisabetta – ha ricordato Benedetto XVI ripercorrendone la biografia – nacque nel 1207 e fin dall’infanzia “mostrava già particolare attenzione verso i poveri, che aiutava con una buona parola o con un gesto affettuoso”. Andò in sposa a Ludovico IV, ma “nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di dio”. “Nella sua profonda sensibilità – ha detto il Papa – Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana”, perché “non sopportava i compromessi”, e “come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi”. Per questo “Elisabetta divenne oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte”.“Il suo fu un matrimonio profondamente felice”, ha proseguito il Santo Padre: “Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose”. Quella di Ludovico ed Elisabetta, secondo il Papa, è “una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale”. Grazie all’”appoggio spirituale” dei rati Minori, che dal 1222 si diffusero in Turingia, Elisabetta sentì “la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d’Assisi”, e da allora in poi “si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana” e “fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri”. Poi i te figli, la “dura prova” dell’addio al marito, morto al seguito della crociata dell’imperatore Federico II, l’usurpazione del governo della Turingia da parte del cognato, la cacciata dal castello di Wartburg e la riabilitazione, dopo un anno di peregrinazioni. All’inizio del 1228, Elisabetta potè finalmente ritirarci nel castello di famiglia a Marburgo, dove “rinunciò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo” e costruì un ospedale, dove “raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti”. In sintesi, quella di Elisabetta d’Ungheria fu un’”esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco”, ha osservato il Papa. Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni di vita – morì nel 1231 – nell’ospedale da lei fondato, “servendo i malati, vegliando con i moribondi” e cercando di “svolgere i servizi più umili e i lavori più ripugnanti”. “Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo – ha affermato Benedetto XVI – e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa”: “non a caso” è patrona del Terzo ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare. Le testimonianze sulla sua santità furono “tante e tali” che, solo quattro anni dopo la sua morte, papa Gregorio IX la proclamò santa. “La figura di questa grande santa della carità – l’auspicio finale del Pontefice – ispiri anche a noi un amore intenso verso Dio e verso il prossimo, soprattutto vero i poveri e gli ammalati, verso tutti coloro che hanno bisogno di aiuto materiale e spirituale”.Il Papa ha terminato la catechesi dell’udienza generale di oggi parlando a braccio. “Santa Elisabetta – le sue parole – ci insegna come la fede, l’amicizia con Cristo, crea il senso della giustizia, dell’uguaglianza di tutti gli uomini, dei diritti degli altri, e crea l’amore, la carità, e da questa carità nasce anche la speranza, la certezza di essere amati da Cristo e che l’amore di Cristo ci aspetta”. “Santa Elisabetta – ha proseguito Benedetto XVI, sempre fuori testo – ci renda capaci di vedere Cristo negli altri, di amare Cristo, di amare la fede e così di trovare la vera giustizia, l’amore e la certezza che un giorno saremo immersi nella gioia, nell’immensità di Dio”.Sir