San Roberto Bellarmino, del quale desidero parlarvi oggi, ci porta con la memoria al tempo della dolorosa scissione della cristianità occidentale, quando una grave crisi politica e religiosa provocò il distacco di intere Nazioni dalla Sede apostolica. Lo ha ricordato, stamattina, Benedetto XVI nella catechesi dell’Udienza generale di oggi. San Roberto Bellarmino (1542-1621), ha spiegato il Papa, svolse un ruolo importante nella Chiesa degli ultimi decenni del secolo XVI e dei primi del secolo successivo. Le sue Controversiae costituirono un punto di riferimento ancora valido per l’ecclesiologia cattolica sulle questioni circa la rivelazione, la natura della Chiesa, i sacramenti e l’antropologia teologica. In esse appare accentuato l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni. Tuttavia Bellarmino chiarì gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo mistico e li illustrò con l’analogia del corpo e dell’anima, al fine di descrivere il rapporto tra le ricchezze interiori della Chiesa e gli aspetti esteriori che la rendono percepibile. In questa monumentale opera egli evita ogni taglio polemico e aggressivo nei confronti delle idee della Riforma, ma utilizzando gli argomenti della ragione e della tradizione della Chiesa, illustra in modo chiaro ed efficace la dottrina cattolica. L’eredità di san Bellarmino sta nel modo con cui concepì il suo lavoro. I gravosi uffici di governo non gli impedirono, infatti, di tendere quotidianamente verso la santità con la fedeltà alle esigenze del proprio stato di religioso, sacerdote e vescovo. Da questa fedeltà discende il suo impegno nella predicazione. Essendo, come sacerdote e vescovo, innanzitutto un pastore d’anime, sentì il dovere di predicare assiduamente. La sua predicazione e le sue catechesi ha chiarito Benedetto XVI – presentano quel medesimo carattere di essenzialità che aveva appreso dall’educazione ignaziana, tutta rivolta a concentrare le forze dell’anima sul Signore Gesù intensamente conosciuto, amato e imitato. Nei suoi scritti si avverte in modo molto chiaro, pur nella riservatezza dietro la quale cela i suoi sentimenti, il primato che egli assegna agli insegnamenti di Cristo. San Bellarmino offre così un modello di preghiera, anima di ogni attività: una preghiera che ascolta la Parola del Signore, che è appagata nel contemplarne la grandezza, che non si ripiega su se stessa, ma è lieta di abbandonarsi a Dio. Un segno distintivo della spiritualità del Bellarmino è la percezione viva e personale dell’immensa bontà di Dio, per cui il nostro santo si sentiva veramente figlio amato da Lui ed era fonte di grande gioia il raccogliersi, con serenità e semplicità, in preghiera, in contemplazione di Dio.Il Bellarmino, che vive nella fastosa e spesso malsana società dell’ultimo Cinquecento e del primo Seicento, da questa contemplazione ha proseguito il Papa – ricava applicazioni pratiche e vi proietta la situazione della Chiesa del suo tempo con vivace afflato pastorale. Nelle sue opere indica come norma sicura del buon vivere, e anche del buon morire, il meditare spesso e seriamente che si dovrà rendere conto a Dio delle proprie azioni e del proprio modo di vivere e il vivere semplicemente e con carità in modo da accumulare beni in Cielo, come pure richiama con forza clero e fedeli tutti ad una riforma personale e concreta della propria vita seguendo quello che insegnano la Scrittura e i santi. Il Bellarmino ha sottolineato il Santo Padre – insegna con grande chiarezza e con l’esempio della propria vita che non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’è la nostra personale riforma e la conversione del nostro cuore. Agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, poi, il Bellarmino attingeva consigli per comunicare in modo profondo, anche ai più semplici, le bellezze dei misteri della fede. Scrive: Se hai saggezza, comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Perciò stima vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa mancare’.Queste non sono ovviamente parole passate di moda ha sostenuto Benedetto XVI -, ma da meditare a lungo per orientare il nostro cammino su questa terra. Ci ricordano che il fine della nostra vita è il Signore, il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, nel quale Egli continua a chiamarci e a prometterci la comunione con Lui. Ci ricordano queste parole ha proseguito il Papa – l’importanza di confidare nel Signore, di spenderci in una vita fedele al Vangelo, di accettare e illuminare con la fede e con la preghiera ogni circostanza e ogni azione della nostra vita, sempre protesi all’unione con Lui. Prima di iniziare l’Udienza generale il Pontefice ha benedetto la statua di san Marone, fondatore della chiesa maronita, che è stata collocata in una nicchia esterna della basilica di San Pietro, in via delle Fondamenta. Erano presenti il card. Nasrallah Pierre Sfeir, patriarca della Maroniti, il presidente libanese Michel Suleiman e un gruppo di ministri libanesi di tutte le confessioni.Sir