Vita Chiesa

BENEDETTO XVI, UDIENZA: DIETRO IL PRESENTE NON C’È IL NULLA

“Nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri defunti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimoniarla al mondo: dietro il presente non c’è il nulla”. Con queste parole, pronunciate al termine della catechesi, il Papa ha attualizzato la festa dei defunti, al centro dell’udienza generale, svoltasi in Aula Paolo VI davanti a circa 7 mila fedeli. “Proprio la fede nella vita eterna – ha proseguito Benedetto XVI – dà al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare per costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza”. “Nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio”, ha ammonito il Santo Padre, secondo il quale “davanti a questo mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia consolazione, che si apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro”. In questa prospettiva, “la strada della morte è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità”.“Abbiamo timore davanti alla morte perché abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conosciamo, che ci è igno­to”, ha affermato Benedetto XVI rispondendo alla domanda centrale della catechesi: “Perché proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla?”. “C’è in noi un senso di rifiuto – ha proseguito – perché non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisamente cancellato, cada nell’abisso del nulla”. Soprattutto, “sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga distrutto dalla morte in un solo momento”. Ancora, “abbiamo timore davanti alla morte perché, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo di rimuovere dalla nostra coscienza”. Per il Papa, “proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono state significative per lui e che non gli sono più accanto”, come avviene “nella maggior parte delle culture che caratterizzano la storia dell’uomo”. “Oggi il mondo è diventato molto più razionale, o meglio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fede, ma partendo da conoscenze sperimentabili, empiriche”, ha constatato il Papa, secondo il quale però “in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, è una copia di quella presente”. Molto diverso, invece, il significato profondo della pietà cristiana per i morti, ha osservato Benedetto XVI, ricordando che “in questi giorni ci si reca al cimitero per pregare per le persone care che ci hanno lasciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il nostro affetto, per sentirle ancora vicine. Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una sorta di seconda vita attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto. In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmente, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo sco­priamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ricordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo”. “Solamente chi può riconoscere una grande speranza nella morte, può an­che vivere una vita a partire dalla speranza”, la convinzione di fondo del Papa: “Se noi riduciamo l’uomo esclusivamente alla sua dimensione orizzontale, a ciò che si può percepire empiricamente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio”, che “è uscito dalla sua lontananza e si è fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: ‘Io so­no la risurrezione e la vita’”. “Dio si è mostrato, è diventato accessibile, ha tanto amato il mondo – ha affermato Benedetto XVI citando il Vangelo di Giovanni – da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, è risorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità”. “Cristo ci sostiene attraverso la notte della morte che gli stesso ha at­traversato”, ha concluso il Papa: “è il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare sen­za alcuna paura, poiché egli conosce bene la strada, anche attra­verso l’oscurità”. (Sir)